• IFIS 8501 sett 25
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Finanza pubblica appesa al Pnrr: l’Upb dà l’ok ma avverte, “rischi forti, incertezze estreme”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Finanza pubblica appesa al Pnrr: l’Upb dà l’ok ma avverte, “rischi forti, incertezze estreme”

In foto, Lilia Cavallari, Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio

Il Documento di economia e finanza ottiene il via libera dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Una validazione tecnica, non politica. Un’approvazione condizionata, quasi forzata. Il messaggio è chiaro: i numeri tornano solo se tutto va per il verso giusto. Se il Pnrr procede “in modo pieno e tempestivo”. Se lo scenario internazionale resta sotto controllo. Se, cioè, non succede nulla. Un’approvazione che è anche un avvertimento. E che dice al governo: il terreno sotto i piedi è scivoloso.

Finanza pubblica appesa al Pnrr: l’Upb dà l’ok ma avverte, “rischi forti, incertezze estreme”

La nota inviata ai presidenti di Camera e Senato è asciutta, ma pesante. “Lo scenario macroeconomico – scrive l’Upb – è scosso da eventi recentissimi, difficili da quantificare ma potenzialmente molto rilevanti”. Si parla di incertezza “straordinariamente elevata” e di rischi “netti al ribasso”. La cornice è quella di una finanza pubblica che galleggia sulle promesse di Bruxelles e su previsioni modellate con equilibrio precario. Una manovra costruita sulla fiducia, più che su basi solide.

Il Pnrr è la colonna vertebrale
Senza il Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’intero impianto economico previsto dal governo si affloscerebbe. Il documento lo dice chiaramente: “La validazione presuppone il pieno e tempestivo utilizzo dei fondi del Pnrr”. Ogni ritardo, ogni revisione, ogni attrito con l’Europa rischia di aprire una crepa nei conti. Non è solo una questione tecnica: è politica. Perché la tenuta del governo – e la credibilità dell’Italia sui mercati – passa dalla capacità di non perdere il treno europeo.

Le incognite globali
A preoccupare non è solo il cronoprogramma interno. È il contesto. I dazi tra Stati Uniti e Cina, il conflitto in Ucraina, le tensioni nel Medio Oriente, la fragilità delle banche centrali. Tutto questo può impattare – e già lo sta facendo – su tassi di interesse, inflazione, export, investimenti. Variabili fuori dal controllo nazionale, ma che si riflettono sui saldi pubblici come onde lunghe. Nessun modello previsionale, avverte l’Upb, può prevedere quanto forte sarà l’impatto. Né quando colpirà.

Un equilibrio che si regge sul filo
Il governo scommette su una crescita moderata, una discesa lenta del debito e una riduzione graduale del deficit. Ma il percorso è stretto, minato da scostamenti potenziali. Le entrate tributarie devono mantenersi stabili, gli investimenti pubblici devono decollare, il costo del debito non deve impennarsi. In questo equilibrio millimetrico, basta poco per sforare. E non ci sono margini per correttivi improvvisati, con un’Europa che chiede rigore e una Commissione che ha già richiamato Roma più volte.

La politica al bivio
La validazione del Def arriva mentre il governo si prepara alla Nota di aggiornamento in autunno. Ma intanto il dibattito interno si accende. Una parte della maggioranza chiede margini per nuove spese, dall’altro lato le opposizioni denunciano un impianto “basato su ipotesi ottimistiche”. L’Upb non prende posizione, ma il suo giudizio tecnico pesa: i conti non sono sbagliati, ma stanno in piedi solo se tutti i pezzi funzionano insieme. Come un meccanismo di precisione. Che però, nella realtà, può incepparsi in ogni momento.

L'ombra della revisione del Patto di Stabilità
Sul futuro incombe anche l’incognita della riforma del Patto di Stabilità europeo. L’Italia, con il suo debito che sfiora il 140% del Pil, sarà tra i sorvegliati speciali. E ogni eventuale irrigidimento delle regole potrebbe trasformarsi in una tagliola. Per questo il Def non è solo un esercizio di programmazione. È un test politico. Sulla capacità di Roma di stare dentro il perimetro europeo senza sacrificare troppo. E sulla credibilità del governo nel tenere insieme conti pubblici, investimenti e consenso.

Un via libera che chiede cautela
L’approvazione del Def da parte dell’Upb non è una promozione. È più simile a una licenza provvisoria. Il Parlamento ora dovrà valutare le scelte strategiche che ne deriveranno. E la vera sfida sarà dare gambe a quei numeri. Perché al netto delle formule e dei grafici, resta una domanda: cosa succede se anche solo una delle condizioni previste viene meno? Nessuno, nemmeno l’Upb, ha una risposta.

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