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Multipolarismo in marcia: Stati Uniti messi all’angolo

- di: Bruno Coletta
 
Multipolarismo in marcia: Stati Uniti messi all’angolo
Multipolarismo in marcia: Stati Uniti messi all’angolo
Al vertice SCO di Tianjin Xi, Modi e Putin ridefiniscono il mondo, mentre l’America si scopre fragile e l’Europa dei ventisette nani resta muta. Uno schiaffo all'unilateralismo di Trump.

Tianjin, il summit che segna una svolta

Il summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO) tenutosi a Tianjin tra il 31 agosto e il 1° settembre 2025 non è stato uno dei tanti vertici diplomatici scanditi da foto di rito e comunicati anodini. È stato un momento di rottura, uno spartiacque che ha messo in chiaro quanto la geopolitica globale sia ormai entrata in una nuova fase.

Tre figure hanno dominato la scena: Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi. Insieme hanno dato vita a una coreografia studiata nei minimi dettagli, pensata per inviare un messaggio inequivocabile: il mondo non è più unipolare, e non lo sarà di nuovo.

La mossa è stata tanto simbolica quanto sostanziale. Nel mentre, da Washington, la reazione è apparsa nervosa e rabbiosa, segnata più da insulti e svalutazioni che da proposte. L’Unione europea, invece, ha scelto la via più comoda: quella dell’irrilevanza, incapace di alzare lo sguardo oltre le proprie dinamiche interne.

Xi rilancia la governance globale

Al centro del palcoscenico c’era Xi Jinping. Non solo in qualità di padrone di casa, ma come regista di un nuovo copione internazionale. Con la sua proposta della Global Governance Initiative (GGI), Xi ha delineato un progetto che si presenta come alternativa all’egemonia occidentale: un sistema multilaterale basato sulla cooperazione economica, sul rispetto reciproco e sulla condivisione delle risorse.

“Non può esserci pace se il mondo resta ostaggio del bullismo e delle sanzioni unilaterali”, ha affermato Xi Jinping.

Xi ha parlato di un ordine “più equo” e ha promesso risorse concrete: 1,4 miliardi di dollari di prestiti agevolati agli Stati membri SCO nei prossimi tre anni e la creazione di una banca di sviluppo regionale.

Non solo retorica, dunque, ma strumenti finanziari e infrastrutturali che consolidano il ruolo della Cina come pivot globale. Xi ha anche proposto la creazione di un polo energetico coordinato dalla SCO, destinato a ridurre la dipendenza dei Paesi membri dai mercati occidentali.

Modi tra il drago e l’orso

La posizione dell’India è stata la più osservata. Narendra Modi, stretto tra la pressione americana e il richiamo asiatico, ha scelto di sedere con Xi e Putin. Il gesto, sottolineato con una calorosa stretta di mano al leader del Cremlino e con toni distesi verso Pechino, non è passato inosservato.

“Il drago e l’elefante devono camminare insieme”, ha rimarcato Xi Jinping rivolgendosi a Narendra Modi.

Per Modi, si tratta di una mossa di equilibrio. Da un lato, l’India non vuole compromettere i rapporti con Washington, fondamentali per la tecnologia e la difesa. Dall’altro, la partnership energetica con la Russia e i mercati aperti dalla Cina rappresentano una realtà imprescindibile. In questo senso, la sua partecipazione al summit di Tianjin segna un riavvicinamento pragmatico che spinge New Delhi a riconsiderare le sue priorità geopolitiche.

Putin, il veterano del multipolarismo

Se Xi rappresenta il nuovo architetto e Modi l’equilibrista, Vladimir Putin ha giocato il ruolo del veterano. Nel suo intervento ha ribadito che il mondo non può restare ostaggio delle “militarizzazioni occidentali”, rivendicando la necessità di una diplomazia basata sul rispetto della sovranità.

“La sicurezza non può essere imposta da chi considera il pianeta il proprio cortile di casa”, ha dichiarato Vladimir Putin.

Putin ha insistito sul ruolo della SCO come piattaforma per la stabilità eurasiatica, sottolineando che la sicurezza collettiva è sostenibile solo se fondata su interessi reciproci e non su sfere d’influenza unilaterali.

Washington tra rabbia e paura

La reazione americana è stata un misto di fastidio e nervosismo. Scott Bessent, Segretario al Tesoro, ha definito Cina, Russia e India “bad actors” e ha liquidato il summit come “largely performative”.

John Bolton, già consigliere per la sicurezza nazionale, ha definito la presenza di Modi a Tianjin “un segnale pessimo per l’Occidente”, accusando l’amministrazione di aver spinto l’India verso Pechino con la politica dei dazi.

Peter Navarro, consigliere economico, ha bollato l’asse emerso come “problematic” e ha definito Xi e Putin “due dittatori”, attaccando anche l’India per i suoi legami energetici con Mosca.

Una retorica che denuncia più debolezza che forza: quando l’argomento si riduce all’insulto, significa che le opzioni strategiche si stanno esaurendo.

L’Europa invisibile

In tutto questo, l’Unione europea ha brillato per assenza. Nessuna voce forte, nessuna strategia. A Bruxelles si continua a discutere di regolamenti e bilanci, ma sul piano geopolitico la percezione esterna è quella di un blocco che ha rinunciato ad avere un ruolo.

Il summit di Tianjin ha mostrato con crudezza quanto l’Europa a 27 sia ormai percepita come irrilevante da chi sta ridisegnando il futuro ordine mondiale.

Multipolarismo contro unilateralismo

Il vero nodo è che lo scontro non è più tra democrazie e autocrazie, ma tra chi rivendica il multipolarismo e chi insiste sull’unilateralismo. La retorica americana del “mondo libero” ha perso credibilità, erosa dal protezionismo, dai dazi e da una politica estera che alterna minacce e ritirate.

La Cina, con il supporto di Russia e India, si propone come fulcro di un nuovo ordine. Non senza contraddizioni interne, certo, ma con un’agenda chiara e risorse da investire. Washington, invece, appare ripiegata su se stessa, prigioniera di un linguaggio da Guerra Fredda e di una visione che non riesce più a convincere.

Itempo dell’unipolarismo è scaduto

Il summit di Tianjin non è la fine dell’egemonia americana, ma è un segnale chiarissimo: il tempo dell’unipolarismo è scaduto. L’America può ancora contare sulla forza del dollaro, sulla potenza militare e sull’alleanza atlantica, ma deve fare i conti con una realtà che non controlla più.

La Cina, al contrario, ha capito che la forza non basta: servono progetti, reti di cooperazione, prestiti e investimenti. Ecco perché il suo messaggio risuona, mentre quello americano appare stanco.

L’Europa, nel frattempo, rimane nel limbo. Forse convinta che basti la sua dimensione economica per contare. Ma la geopolitica del XXI secolo non si fa con i regolamenti: si fa con visione, presenza e capacità di rischiare. E su questi fronti, a Tianjin, non c’era nessuno con la bandiera blu a stelle gialle.

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