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Istat, Rapporto BES 2025: l’Italia che vive a lungo ma fatica a crescere

- di: Alberto Venturi
 
Istat, Rapporto BES 2025: l’Italia che vive a lungo ma fatica a crescere

Secondo l’Istat, che diffonde la dodicesima edizione del Rapporto BES – Benessere equo e sostenibile, l’Italia appare come un Paese che sa proteggere la vita ma non riesce a costruire futuro. La fotografia è nitida: ottimi risultati nella salute e nella sicurezza, difficoltà profonde laddove si decide davvero la competitività di una nazione — istruzione, mercato del lavoro, ricerca, innovazione. Un contrasto che, da anni, disegna la traiettoria del Paese e che oggi l’Istat descrive con ancora maggiore chiarezza.

Istat, Rapporto BES 2025: l’Italia che vive a lungo ma fatica a crescere

Speranza di vita a 84,1 anni e mortalità evitabile tra le più basse d’Europa
L’Italia conferma una vocazione che sembra inscritta nel Dna del Paese: vivere molto e, tutto sommato, vivere bene. La speranza di vita raggiunge gli 84,1 anni, superando ampiamente gli 81,7 della media Ue27.

Ancora più eloquente è il dato sulla mortalità evitabile: 17,6 decessi ogni 10mila abitanti contro 25,8 europei. E persino il tasso di omicidi, uno degli indicatori più brutali e impersonali, ci consegna un vantaggio: 0,6 ogni 100mila abitanti, contro lo 0,9 dell’Unione.

La salute degli italiani, quindi, tiene. E tiene grazie a un mix di fattori: la rete sanitaria pubblica, pur affaticata; la qualità alimentare; e una cultura della cura che resiste malgrado il divario generazionale e territoriale.

Istruzione: il punto più fragile della struttura nazionale
Laureati e diplomati troppo pochi, un freno che si ripercuote su tutto il Paese
La forza della salute lascia presto spazio a una debolezza più profonda. Nel campo dell’istruzione, il Paese resta indietro. Solo il 31,6% dei giovani tra 25 e 34 anni è laureato — un dato che si scontra con il 44,1% europeo.

Nei diplomi la situazione non migliora: 66,7% degli italiani tra 25 e 64 anni ha concluso la scuola secondaria superiore, rispetto all’80,5% Ue27.

Non è una statistica neutra: significa meno competenze, meno possibilità di mobilità sociale, minore accesso ai lavori ben retribuiti. L’Istat ricorda che questi ritardi, stratificati negli anni, sono la radice di molte delle difficoltà italiane.

Ricerca e innovazione: investimenti insufficienti
L’Italia ferma all’1,37% del Pil in R&S, troppo lontana dal 2,22% europeo
Le fragilità del sistema formativo si riflettono immediatamente sui numeri dell’innovazione. L’Italia investe solo l’1,37% del Pil in ricerca e sviluppo, mentre il resto d’Europa vi destina il 2,22%.

La carenza di capitale umano qualificato è un altro elemento che pesa: nelle professioni tecnico-scientifiche i lavoratori con formazione universitaria rappresentano appena il 26,7%, contro il 34,1% della Ue27.

Non è solo un ritardo statistico: è una crepa che rischia di allargarsi in un’epoca in cui la crescita economica corre sulle gambe della tecnologia e della conoscenza.

Un mercato del lavoro che continua a non includere
Occupazione al 67,1%, donne penalizzate e part-time involontario tra i più alti d’Europa
Il mercato del lavoro non offre segnali migliori. Il tasso di occupazione italiano si ferma al 67,1%, mentre l’Unione corre a 75,8%.

Le donne pagano il prezzo più alto: il loro tasso di occupazione precipita al 57,4%, contro il 70,8% europeo.

E il part-time involontario rimane un’anomalia: l’8,5% degli occupati non riesce ad accedere a un lavoro a tempo pieno, quasi tre volte la media Ue. Per le donne il dato si fa ancora più severo: 13,7%, a fronte del 4,8% europeo.

L’Istat parla di un mercato rigido, incapace di assorbire il lavoro femminile e di offrire condizioni di impiego adeguate. Una zavorra che pesa sulla crescita e sulla coesione sociale.

Un Paese spaccato in due, in quasi tutti gli indicatori
Centro-Nord avanti su metà degli indici, Mezzogiorno in ritardo quasi ovunque
La cartina dell’Italia, disegnata dal BES, ripropone la vecchia frattura territoriale. Le regioni del Centro-Nord mostrano valori migliori della media nazionale in almeno metà degli indicatori: salute, istruzione, lavoro, benessere economico, qualità dei servizi.

Nel Mezzogiorno accade l’opposto: più della metà degli indicatori è peggiore del dato nazionale.

Non mancano però smentite alle scorciatoie interpretative: nei domini Politica e istituzioni, Sicurezza e Benessere soggettivo, il divario Nord-Sud non è lineare. E colpisce che le regioni con i grandi agglomerati metropolitani — Lazio, Toscana, Lombardia, Campania, Emilia-Romagna — presentino criticità sulla sicurezza maggiori di alcune regioni meridionali.

Il confronto con l’Europa: 11 indicatori migliori, 18 peggiori
L’Italia vive a lungo, ma rischia di restare ai margini della competizione globale
Il bilancio europeo è chiaro: 11 indicatori migliori, 18 peggiori. Un Paese che eccelle nell’arte della sopravvivenza ma non altrettanto in quella dello sviluppo.

L’Italia — avverte l’Istat — invecchia bene, ma innova poco. E mentre la popolazione avanza nell’età, il sistema rischia di non avere abbastanza forza per sostenere pensioni, welfare e produttività.

Il BES 2025 racconta un’Italia che sa proteggere la vita, ma fatica a produrre futuro. È qui che si gioca la partita decisiva dei prossimi anni: restare un Paese longevo ma stanco, oppure diventare una nazione capace di allungare non solo la vita, ma anche le opportunità.

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