Un’Italia che lavora di più ma si fa anche meno male. È l’immagine che restituiscono i numeri dell’Inail analizzati dal Cresme: in settant’anni gli infortuni sono scesi da oltre un milione e mezzo di casi l’anno – la cifra record degli anni Cinquanta – a meno di mezzo milione. Il Paese è cambiato, le fabbriche sono meno pericolose, i controlli più presenti. Eppure, dietro la tendenza al ribasso, restano sacche di fragilità. A cominciare dai cantieri, dove le morti sul lavoro pesano ancora per un quinto del totale nazionale.
L’Italia e il nodo sicurezza sul lavoro: meno infortuni ma i cantieri restano il fronte caldo
Il grafico della serie storica segna una curva discendente quasi continua, interrotta solo da uno scarto improvviso: il 2022. Nel primo anno di ripartenza dopo la pandemia, la spinta del superbonus, delle grandi opere e della logistica ha riportato le denunce di infortunio a 609 mila, con un balzo del 22 per cento rispetto al 2021. Una parentesi, dicono gli analisti: già nel 2023 e nel 2024 si è tornati sotto quota mezzo milione e nel primo semestre del 2025 i casi si fermano a 237 mila, sostanzialmente stabili.
La fotografia diventa più nitida se si guarda al rapporto tra infortuni e occupati: nel 2001 si contavano 45,6 casi ogni mille lavoratori, oggi sono scesi a 20,5 e nei primi sei mesi del 2025 il dato arretra ancora, a 19,6. Significa che un mercato del lavoro cresciuto come mai negli ultimi decenni riesce a produrre con un’incidenza di incidenti dimezzata.
Morti sul lavoro, un indicatore ancora dolente
Il calo riguarda anche i decessi: da 1.274 nel 2018 a 1.166 nel 2024. Ma il primo semestre del 2025 registra 492 morti, in aumento rispetto ai 451 dello stesso periodo dell’anno precedente. Un campanello d’allarme che ricorda come i progressi non siano irreversibili.
Se si rapportano i decessi al numero complessivo di infortuni, il tasso si colloca a 2,07 per mille, più basso che nel triennio precedente ma ancora sopra i livelli pre-Covid. Considerando la popolazione occupata, il dato migliora: da 5,64 morti ogni 100 mila lavoratori nel 2018 a 5,02 nel 2024. È il segno di un cambiamento strutturale, ma resta la necessità di consolidare la cultura della prevenzione.
Costruzioni, il settore più esposto
Il comparto edile resta il fronte più delicato. Spinto dai bonus e dai cantieri del Pnrr, ha conosciuto un incremento degli addetti ma anche una contrazione, negli ultimi anni, del rischio infortunistico. Gli incidenti “in occasione di lavoro” passano da 41 mila nel 2022 a 39.356 nel 2024 e a 17.740 nel primo semestre del 2025, un dato in linea con l’anno precedente.
Ancora più rilevante la discesa dell’incidenza: da 31 infortuni ogni mille addetti nel 2019 a 24,5 nel 2024, il minimo dell’ultimo decennio. Anche le vittime diminuiscono: 198 nel 2019, 182 nel 2024 e 53 nei primi sei mesi di quest’anno, con un calo del 22 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024. Il comparto resta più pericoloso della media nazionale ma la curva finalmente si piega verso il basso.
La lezione della prevenzione
Dietro la discesa dei numeri ci sono tecnologie più sicure, procedure più stringenti, vigilanza più capillare. Ma soprattutto un cambio culturale: la sicurezza non è più vista come un freno alla produttività, bensì come fattore di competitività.
Gli esperti avvertono: i progressi non sono scontati. L’alta rotazione della manodopera, il peso del lavoro irregolare, la corsa a completare i cantieri rischiano di far riaffiorare vecchie fragilità. «Il vero salto – spiegano dal Cresme – si fa solo mantenendo alti gli standard e non abbassando la guardia».
Sicurezza e sviluppo, un equilibrio da mantenere
L’Italia che costruisce di più e produce di più riesce oggi a farlo con meno infortuni e meno vittime rispetto a vent’anni fa. È un risultato che riguarda non solo la salute dei lavoratori ma anche la competitività delle imprese: meno incidenti significano meno giornate perse e meno costi assicurativi.
La sfida, avvertono gli analisti, è non considerare questo traguardo definitivo. La storia recente dimostra che un’accelerazione dell’economia può far tornare indietro l’orologio della sicurezza. Prevenzione e controlli restano il vero investimento da non tagliare.