“La Croce resta salda mentre il mondo gira”. Con buona pace del Cai

- di: Barbara Bizzarri
 
Chissà cosa avrebbe detto il Beato Pier Giorgio Frassati, figlio del fondatore de ‘La Stampa’ e alpinista provetto di cui è celebre il motto “Verso l’alto!”, e a cui il Cai ha perfino dedicato una serie di percorsi montani se, fra le molte miserie che affliggono questo Paese, avesse saputo anche l’ultima, inutile, assurda polemica sollevata proprio dal Cai, che sembrava volesse togliere le croci dalle cime di montagna o quantomeno non aggiungerne altre, completamente dimentico della religione di Stato, del credo dei nostri avi, del significato delle croci sulle vette e pure incurante del rispetto dovuto a uno sparuto manipolo di credenti (i cristiani, appunto) che ormai prende bordate da tutte le parti in un singolare silenzio generale, spesso dagli stessi che, altrove, corrono a baciare pantofole arabescate e indossare opportuni veli, che però non bastano a contenere le loro facce di bronzo. Dopo una sequela sconcertante di notizie folli, dal 9 in condotta ai delinquenti che hanno impallinato un’insegnante allo tsunami di licenziamenti a causa del’IA, all’Onu che accusa la dottrina cristiana di essere discriminatoria in un pastiche surreale senza senso, però è evidente che ormai argomentare le tesi con un minimo di logica non sia affatto necessario, dato che in tre anni gli ignari boccaloni si sono bevuti di tutto, anche il Cai ha deciso di partecipare al grande gioco intitolato ‘polverizza l’identità italiana’ (e vedi cosa se ne ottiene in cambio).  Dunque: secondo il Cai e a disastro avvenuto, tutto ha inizio giovedì scorso dopo un convegno sull’argomento svoltosi all'Università Cattolica di Milano e conseguente editoriale dell'antropologo Pietro Lacasella, curatore della testata online dell'associazione, "Lo Scarpone" (tutto un programma): “La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no. Innanzitutto perché l'Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale”. Insomma, il solito brodino woke che in patria non sopporta più nessuno ma che in Italia, forte del suo ritardo ventennale sugli USA, funziona ancora, prova ne è la laurea honoris causa a Fauci, che a casa sua rischia l’arresto. 

Un banale commento privo di logica e anche di conoscenza della simbologia religiosa: oltretutto, se la trazione fosse laica, la visione non sarebbe parziale, bensì univoca. Non è questo il punto, ovviamente, ma la questione è annosa. Le croci in vetta sono 372 sulle Alpi, più di settanta sugli Appennini e perfino gli ambientalisti blaterano che le croci “insidiano l'integrità naturale dei crinali”. Magari sono gli stessi che buttano zuppe sulle opere d’arte e devastano monumenti con liquidi indelebili sui monumenti, perché la cancellazione dell’identità nazionale e della memoria storica deve essere completa, mica stanno qui a smacchiare i giaguari, con le loro farse ridicole.  Alle prefiche dell’ambiente si è aggiunto anche Marco Albino Ferrari, da otto mesi direttore editoriale delle testate del Cai, che ha rilanciato: «È anacronistico l'innalzamento di nuove croci». Anacronistico nei confronti di cosa? Per chi? Non è dato sapere, ma le allegre follie continuano, con un «sulle vette bisogna cercare la neutralità affinché le persone con diverse culture possano integrarsi nel contesto», che si stenta a prendere sul serio senza invitare chi le proferisce a cercarsi un lavoro vero (eventualità non da escludere, viste le conseguenze).  A parte la curiosità di sapere a cosa si riferisca la giusta pertinenza invocata nel delirio, la croce sarebbe un simbolo “ingombrante” (anche in questo caso, per chi?), e la vetta dovrebbe essere inclusiva, magari ospitando i simboli di tutte le religioni: sembra quasi un rifacimento dell’ultima puntata di Lost, titolo presago a cui ci si avvicina a grandi passi, e pure privi di qualsiasi credibilità. Dato che la polemica dell’altroieri riguardava proprio il titolo che si dovrebbe avere per dire ciò che si pensa (copyright Zerocalcare), dal CAI ci si aspetterebbe la gestione dei sentieri, della didattica naturalistica, della sicurezza, oppure, che so, un commento sul fatto che i francesi si siano ascritti punta Helbronner senza che nessuno, men che meno loro, si sia preso la briga di denunciare il furto. Invece, con la paccottiglia contro il Cristianesimo si va sempre sul sicuro, scelta facile e a buon mercato, se la via percorsa è quella della compiacenza. 

Le croci sono divisive: e che avrebbe detto di così tanto divisivo il Cristo? Ama il prossimo tuo come te stesso? Bene ha fatto quella famiglia islamica che, iscritto il figlio a una scuola cattolica italiana, lo ha prontamente ritirato quando ha saputo che, proprio a causa della presenza di quell’unico bimbo musulmano, ‘per non offenderlo’, la recita di Pasqua era stata cancellata: “Non ci si può fidare di voi”, hanno spiegato con molta semplicità, “se non siete in grado di rispettare il vostro Dio”. Hanno ragione da vendere, naturalmente. 
Da sempre le montagne sono viste come un innalzarsi verso l’infinito: le croci di vetta, realizzate per resistere alle condizioni estreme dei rilievi alpini su cui sorgono, sono un simbolo religioso molto frequente che testimonia la volontà di avvicinarsi al divino, presente in tutte le culture, come le montagne dell’Himalaya, dove sono presenti numerosi simboli religiosi che ricordano il corpo di Buddha. Cancelliamo anche quelli, perché anacronistici e poco inclusivi? Il Tibet toglierà le coloratissime bandierine di preghiera dalle vette e dai picchi himalayani?  La Mongolia cesserà di costruire in cima alle montagne gli ovoo, cumuli di pietre che segnano i luoghi di culto sciamanico? Cosa dire poi degli altari presenti sui picchi più alti dell’ex URSS, eretti per un Dio non venerato ma comunque presente laddove si è più vicini al Cielo? L’ex alpinista Messner, che tanto decanta gli omini di pietra come alternativa laica alle croci, ha una vaga idea di cosa rappresentino? Si tratta di idoli pagani, alcuni risalenti a migliaia di anni fa, attorno ai quali si narra che si siano mosse forze oscure: la croce equilibra l'oscurità con la luce divina. Messner è stato anche sulla cima del Monte Schöneck, dove la croce è circondata da oltre cento omini di pietra: ci si augura che conosca quel documento del 1540, conservato negli archivi locali, che descrive, secondo le credenze di allora, incontri di streghe e demoni tra gli omini di pietra, con la croce che svetta e vince su di essi.

La croce è simbolo dell’irraggiungibile, di un cammino verso l’alto; di un sacrificio di amore portato alle conseguenze estreme. Come tutti i simboli posti in cima alle montagne, indica spiritualità: l'uomo, anche se non credente, non può prescindere da essa. Non è necessario essere buddisti per rispettare le bandierine di preghiera tibetane, non si deve essere sciamani per rispettare i cumuli di pietra, né russi per comprendere il significato profondo degli altari muti, né cattolici per rispettare le croci sulle vette italiane. Rispetto è la parola chiave, ma di rispetto, oggi, ce n’è sempre meno. Il simbolo "divisivo" della croce esprime in Italia una identità culturale, ancor prima che religiosa, ed equivale alla bandiera. Il Cai dovrebbe togliere la ‘I’ di Italiano dal proprio acronimo, se ritiene anacronistici e vuoti i valori fondanti del Paese. Molte croci di vetta furono piazzate sulle cime delle montagne europee alla fine del secondo conflitto mondiale, come simbolo e speranza di pace. Altre sono state posizionate in memoria di persone legate a un luogo o alla loro passione per la montagna. Proprio per questo, anche tra i frequentatori della montagna non credenti, è sempre presente quel fascino derivante dal raggiungimento di un obiettivo, del raggiungere una vetta spesso indicata con una croce. Ma in Italia, evidentemente, si prova un gusto particolare a calarsi le braghe in ossequio a qualsiasi tradizione, purché non autoctona, con uno sprezzo del ridicolo che rasenta il patetico: non c’è da stupirsi, poi, se tutti si aspettano che qui si venga via anche per meno di trenta denari. Intanto, come prevedibile, a questa esternazione infelice è seguita una valanga di polemiche politiche (‘atto arrogante’, ‘ideologismo talebano’): ovvia conseguenza anche del fatto che il CAI non è una associazione privata. È un ente pubblico non economico vigilato dal Ministero del Turismo, ovvero, dal governo, anche se si esprime come un circolo Arci qualsiasi.  Parlare di egemonia culturale è difficile, se non si ha il controllo delle proprie strutture amministrative. La questione, per ora, si è conclusa con tante scuse e presa di distanza dai vertici (e vorrei vedere): «Non abbiamo mai trattato l'argomento delle croci in vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Sono dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro», ha precisato il presidente del Cai Antonio Montani, probabilmente terrorizzato dalla slavina di proteste e improperi che gli è piombata sulla testa: «Dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina», aveva tuonato Matteo Salvini, mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in un tweet, ha dichiarato: «Esiste un minimo comune denominatore che lega l'Europa ed è il cristianesimo. Difendiamo i nostri valori, le nostre radici». 

Ecco: un modello di pensiero il cui scopo palese è distruggere i valori e i simboli, non solo religiosi, ma soprattutto umani, morali e etici della nostra tradizione culturale definendoli “divisivi e anacronistici” non può essere considerato accettabile: altrimenti si è responsabili e complici. Queste dichiarazioni a dir poco incaute, però, hanno già fatto presa sui più fragili: nella fattispecie, le prime vittime sono le guide alpine di Alagna, che hanno già cominciato a rimuovere alcune croci. Riprendetevi, fratelli, e ragionate prima che sia troppo tardi, perché l’ideologia che punta a eliminare qualsiasi dissenso, nel nome chimerico dell'inclusività, si chiama dittatura.

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