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Manovra, Confindustria: “Bene iperammortamento e Zes, ma servono certezze”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Manovra, Confindustria: “Bene iperammortamento e Zes, ma servono certezze”

Nell’aula parlamentare dove si discutono cifre e principi della nuova manovra, Confindustria sceglie la linea del realismo: promuove alcune misure chiave, ma chiede al governo una cornice più chiara e duratura per le politiche industriali.

Manovra, Confindustria: “Bene iperammortamento e Zes, ma servono certezze”

A parlare è Maurizio Tarquini, direttore generale dell’associazione, che davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato elenca i quattro pilastri ritenuti “imprescindibili” per la crescita: iperammortamento per l’innovazione, credito d’imposta per la Zes Unica, rilancio dei contratti di sviluppo e rafforzamento del Fondo di Garanzia per le Pmi.

«Sono interventi che possono davvero incidere sulla competitività del Paese
— spiega Tarquini — ma servono prospettiva, coerenza e semplicità. Le imprese non possono programmare investimenti su bonus che cambiano ogni anno».

Iperammortamento: misura giusta, visione corta
Sul piano tecnico, Confindustria promuove l’iperammortamento per l’innovazione digitale e tecnologica dei processi produttivi. È una delle poche misure che il mondo industriale considera pienamente coerente con l’obiettivo di modernizzare le fabbriche italiane.
Ma, avverte Tarquini, «manca una prospettiva pluriennale»: una misura efficace nel breve termine rischia di diventare inefficiente se non è inserita in una strategia di medio periodo.

In altre parole: bene gli incentivi alla transizione 4.0, ma non bastano i fondi se manca la continuità. «L’Italia ha bisogno di una politica industriale strutturale, non di interventi spot che si rinnovano a singhiozzo», sintetizza Tarquini.

Zes Unica, occasione da non sprecare
Altro capitolo cruciale, il Mezzogiorno. La proroga della Zona Economica Speciale Unica (Zes) viene accolta con favore, ma anche con prudenza.
Confindustria riconosce il valore della scelta del governo di superare la logica del finanziamento annuale, ritenuta da sempre uno dei punti deboli del sistema, e di garantire una dotazione triennale certa, seppure decrescente.

Ma l’associazione chiede chiarezza sui criteri di imputazione temporale e, soprattutto, la possibilità di integrare le risorse della Zes con i fondi europei per la coesione.
«La Zes può diventare un volano per gli investimenti al Sud — sottolinea Tarquini — ma servono regole stabili, procedure snelle e coordinamento tra Stato, Regioni e Unione europea. Il rischio, altrimenti, è che l’effetto annuncio superi quello reale».

Contratti di sviluppo: troppa burocrazia, pochi fondi

L’altra grande partita si gioca sui contratti di sviluppo, lo strumento attraverso cui le imprese accedono a risorse per nuovi progetti industriali.
Secondo Confindustria, la misura resta valida, ma «ha bisogno di più risorse e meno complicazioni».
In molti casi, i bandi si esauriscono in poche ore, e i tempi di valutazione superano spesso i 12 mesi.
Un paradosso che, nelle parole di Tarquini, «rischia di soffocare la spinta innovativa delle imprese proprio quando l’economia avrebbe bisogno di accelerare».

Per l’associazione, il rilancio dei contratti di sviluppo passa da un aumento dei fondi disponibili e da un processo decisionale più rapido e trasparente, magari con un’unica cabina di regia nazionale.

Fondo di garanzia: “Va reso strutturale”
Infine, il capitolo più delicato per le piccole e medie imprese: il Fondo di Garanzia.
Confindustria chiede che venga stabilizzato e potenziato, trasformandolo da strumento emergenziale a pilastro permanente del credito alle Pmi.
Il messaggio è chiaro: senza accesso facilitato ai finanziamenti, il tessuto produttivo rischia di indebolirsi.
«Il Fondo — ha ricordato Tarquini — è stato fondamentale durante la crisi pandemica, ma oggi deve diventare una leva stabile per sostenere gli investimenti e l’innovazione delle piccole imprese».

Un dialogo ancora aperto con il governo
Le parole di Tarquini si muovono sul filo dell’equilibrio: nessuna rottura con l’esecutivo, ma la richiesta esplicita di “non disperdere il patrimonio di misure efficaci”.
Il confronto con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e con il Mimit è aperto, e il clima resta collaborativo, ma la posizione di Confindustria è chiara: «Serve un quadro di certezza che consenta alle imprese di programmare».

Dietro la diplomazia delle audizioni parlamentari, si avverte una certa stanchezza per le manovre a scadenza annuale, che costringono gli imprenditori a vivere in una condizione di perenne precarietà normativa.

Tra bonus e strategia industriale
Nel fondo, il messaggio di Confindustria è anche politico.
Il sistema produttivo non chiede nuovi incentivi, ma una visione industriale coerente: incentivi pluriennali, procedure snelle, stabilità fiscale.
Solo così, spiegano da Viale dell’Astronomia, l’Italia potrà colmare il divario con Francia e Germania sul fronte degli investimenti in innovazione.

La manovra 2026 — con i suoi limiti di bilancio e le sue promesse selettive — rappresenta un test: capire se il governo vuole davvero costruire una politica industriale di lungo periodo, o se preferisce affidarsi a strumenti di breve respiro.

Il tempo dell’attesa è finito

«Le imprese sono pronte a fare la loro parte — ribadisce Tarquini — ma hanno bisogno di stabilità e di fiducia. L’incertezza è il primo nemico della crescita».
Una frase che sintetizza il pensiero di tutta Confindustria: l’Italia ha idee, risorse e talenti, ma serve una rotta.
E il tempo per trovarla non è infinito.

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