Il sistema sanitario italiano vive una crisi silenziosa ma crescente, quella della carenza di medici di medicina generale. Secondo i dati più aggiornati, il numero di medici di famiglia in attività è in calo, mentre aumenta la quota di popolazione che resta senza un riferimento primario. Un’emergenza che riguarda non solo le zone montane o rurali, ma anche aree urbane e periferie metropolitane. Alla base di questo fenomeno c’è un insieme di fattori strutturali: pensionamenti non rimpiazzati, difficoltà burocratiche nell’accesso alla professione, carichi di lavoro disincentivanti e un modello organizzativo che non si è evoluto di pari passo con le trasformazioni demografiche e sociali.
Medici di famiglia cercasi: il cuore del sistema sanitario sotto stress
I medici di base rappresentano il primo presidio di cura, il volto umano della sanità, il filtro che consente al sistema di non collassare sotto il peso degli accessi impropri agli ospedali. Non sono solo prescrittori di ricette o compilatori di certificati, ma veri e propri gestori della salute dei cittadini, soprattutto delle persone anziane e fragili. La loro funzione di prevenzione, monitoraggio, accompagnamento terapeutico e anche psicologico è insostituibile. Tuttavia, sempre più spesso i pazienti si trovano senza un medico assegnato, oppure con un medico sovraccarico che fatica a garantire visite tempestive e approfondite. Il principio dell’assistenza territoriale, uno dei pilastri della riforma sanitaria post-Covid, rischia così di restare sulla carta.
Il paradosso della formazione e della burocrazia
Il numero di giovani medici che vorrebbero diventare medici di famiglia non è basso, ma si scontra con un sistema di accesso lento, rigido e poco attrattivo. Il corso triennale di formazione specifica in medicina generale è considerato meno competitivo rispetto alle specializzazioni ospedaliere, anche per via di una remunerazione iniziale meno favorevole. Inoltre, la gestione amministrativa degli ambulatori, la mole di adempimenti e la solitudine gestionale scoraggiano molti aspiranti. Non va dimenticato che in alcune regioni italiane la percentuale di pensionamenti previsti nei prossimi cinque anni supera il 40% del totale dei medici di famiglia oggi in attività.
Le risposte possibili e i nodi ancora aperti
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha promesso investimenti per rafforzare la medicina del territorio, attraverso la creazione di Case di Comunità e la digitalizzazione dei servizi. Ma gli edifici e le tecnologie non bastano senza il personale. Alcune Regioni stanno tentando soluzioni straordinarie: aumento delle borse, forme contrattuali più flessibili, modelli di lavoro in équipe. Tuttavia, la risposta strutturale richiede una riforma nazionale condivisa, che ridia valore e dignità a una professione essenziale. I cittadini, intanto, si trovano sempre più spesso costretti a ricorrere a guardie mediche, pronto soccorso o visite private, con un impatto economico e sociale che aumenta le disuguaglianze.
Una sanità di prossimità da rifondare con urgenza
Il medico di famiglia non è un optional del welfare, ma il punto di accesso e di continuità fondamentale per milioni di italiani. La sua crisi è il sintomo più chiaro di un sistema sanitario che rischia di smarrire il suo volto più umano. È necessario intervenire con decisione per evitare che la medicina territoriale venga definitivamente erosa, e con essa la fiducia dei cittadini. Restituire centralità a questa figura professionale, innovandone ruolo e strumenti, è il primo passo per garantire davvero il diritto alla salute. Non è solo una questione di numeri, ma di civiltà.