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Manovra 2026, Tobin Tax e PEX: scossa al mercato dei capitali

- di: Vittorio Massi
 
Manovra 2026, Tobin Tax e PEX: scossa al mercato dei capitali
Manovra 2026, Tobin Tax e PEX: scossa al mercato dei capitali
Il paradosso italiano: si aggiorna il TUF, ma si alzano i pedaggi.

Mentre Governo e Parlamento lavorano per rendere più competitivo il sistema finanziario con la riforma del Testo Unico della Finanza (TUF), la manovra 2026 porta in dote due interventi che nel mondo degli investitori suonano come un freno a mano tirato: da un lato la revisione della disciplina su dividendi e capital gain legata alla PEX, dall’altro il raddoppio della Tobin Tax, l’imposta sulle transazioni finanziarie.

La sensazione, diffusa tra operatori e società quotate, è netta: si prova a rendere più appetibile la piazza, ma contemporaneamente si aumenta il costo di usarla. Un mix che rischia di colpire soprattutto il tratto più delicato del mercato: PMI e small cap, già penalizzate da scambi sottili e copertura limitata dei fondi.

Dividendi e PEX: la stretta si ridimensiona, ma alza l’asticella

La revisione della norma sulla tassazione dei dividendi introduce criteri più selettivi per l’accesso al regime di esclusione pensato per evitare la doppia tassazione. In pratica, l’agevolazione diventa pienamente accessibile se la partecipazione è:

  • superiore al 5%, oppure
  • di importo superiore a 500.000 euro.

Il punto politicamente più sensibile riguarda il perimetro: l’intervento non si limita ai dividendi, ma si estende anche al capital gain con una precisazione temporale decisiva: le nuove regole sul guadagno in conto capitale si applicano alle partecipazioni assunte dopo il 1° gennaio 2026.

Tra i commenti più citati nel settore c’è quello di Simone Strocchi (Electa Ventures e IPO Club), che vede nella rimodulazione un miglioramento rispetto a un impianto più duro, ma non un segnale espansivo per il mercato: il rischio è disincentivare proprio quelle holding familiari che potrebbero portare in Borsa capitali stabili, fondamentali per aumentare la liquidità e rendere investibili le società più piccole.

L’argomento chiave è semplice: se il flottante resta basso e i volumi restano sottili, molte small cap rimangono “fuori radar” per una parte significativa dei fondi. E quando il mercato perde presidio, aumenta la probabilità che diventi una vetrina di occasioni per take-over e consolidamenti guidati dall’estero.

Tobin Tax: raddoppio secco e messaggio ambiguo al mercato

La manovra interviene in modo diretto sulla Tobin Tax. Le aliquote vengono raddoppiate:

  • 0,2% (da 0,1%) per i trasferimenti su mercati regolamentati;
  • 0,4% (da 0,2%) negli altri casi;
  • 0,04% (da 0,02%) per le negoziazioni ad alta frequenza.

L’obiettivo dichiarato è compensare gli effetti della rimodulazione su dividendi/PEX, riducendo la platea dei soggetti colpiti dalla stretta sui dividendi sotto soglia. Ma per gli operatori la questione è un’altra: aumentare il costo di negoziare titoli italiani significa, di fatto, spingere parte dell’operatività a cercare alternative.

Alberto Franceschini Weiss (Ambromobiliare) sintetizza la critica con un concetto che nel settore ricorre spesso: la Borsa è un’infrastruttura, e quando la rendi più costosa, incentivi lo spostamento di attività verso altri Paesi, a beneficio di intermediari e listini concorrenti.

I numeri del dibattito: la Tobin Tax ha davvero portato più gettito?

Il tema del gettito è il cuore politico della tassa. Secondo uno studio attribuito ad Ambromobiliare e richiamato nelle discussioni di mercato, l’imposta avrebbe prodotto un effetto controintuitivo: una possibile perdita netta di gettito stimata in circa 500 milioni di euro nel 2024, a causa della contrazione dei volumi e della conseguente riduzione di ricavi e imposte correlate nell’industria finanziaria e nell’indotto.

Sempre secondo la stessa analisi, il gettito effettivo nel 2024 sarebbe stato nell’ordine di 546 milioni, molto inferiore alle stime formulate all’avvio della misura (in passato si è parlato di un obiettivo vicino al miliardo annuo, poi ridimensionato).

L’elemento più discusso riguarda la dinamica di mercato: nonostante la crescita della capitalizzazione complessiva, i volumi scambiati avrebbero mostrato una riduzione significativa nel lungo periodo (2012-2024), con l’ipotesi che una parte degli investitori abbia preferito mercati esteri o strumenti non soggetti all’imposta, come alcuni ETF.

Nel ragionamento degli operatori la conclusione è brutale: se la tassa deprime i volumi, può deprimere anche l’ecosistema che genera imposte su lavoro, utili e servizi finanziari. E in parallelo alimenta un altro fenomeno temuto: la migrazione di competenze, con professionisti che seguono il business dove si spostano gli scambi.

Riforma del TUF: l’Italia accelera sulle regole, ma rischia di frenare sui costi

Nel frattempo procede la riforma del TUF, pensata per modernizzare il perimetro normativo dei mercati: regole più snelle, maggiore attrattività per le quotazioni, revisione di alcuni snodi su governance e operazioni straordinarie. Il messaggio di fondo è rendere il mercato più competitivo dentro l’Unione Europea.

Proprio per questo, la simultaneità delle misure fiscali risulta controversa: aggiornare le regole per attirare capitali e, nello stesso momento, aumentare il costo delle transazioni manda un segnale ambiguo. L’industria teme che l’effetto finale sia una pressione ulteriore sulle realtà più piccole, quelle che hanno più bisogno di liquidità e di investitori “pazienti”.

Il rischio “effetto domino”: meno scambi, meno interesse, più vulnerabilità

Il mercato italiano soffre da tempo un problema strutturale: la liquidità non è omogenea e tende a concentrarsi sui grandi nomi. Se la tassazione rende più oneroso negoziare, la paura è un circuito vizioso:

  • meno scambi sui titoli italiani;
  • meno copertura da parte di analisti e investitori istituzionali;
  • valutazioni più fragili e maggiore esposizione a operazioni ostili o a consolidamenti;
  • maggiore incentivo a spostare strutture societarie e legali in giurisdizioni più “market friendly”.

Non è un dettaglio: quando una piazza perde attrattività, recuperarla richiede anni, non mesi. E nel frattempo le imprese cercano capitali altrove.

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