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Sì alla fusione Paramount‑Skydance, ma con il sigillo trumpiano

- di: Vittorio Massi
 
Sì alla fusione Paramount‑Skydance, ma con il sigillo trumpiano

Accordo da 8,4 miliardi, addio DEI e un “difensore civico” per la CBS. Svolta politica sull’informazione.

(Foto: da sinistra Davi Ellison, fondatore di Skydance, e l'attore Tom Cruise).

La Federal Communications Commission (FCC) ha approvato la fusione da 8,4 miliardi di dollari tra Paramount Global e Skydance Media, aprendo una nuova stagione dell’informazione televisiva americana, ma sotto la chiara influenza dell’amministrazione Trump. Il via libera non è stato solo l’ultimo tassello di un accordo finanziario: è diventato un caso politico e culturale, tra ritorsioni legali, ritrattazioni editoriali e l’eliminazione delle politiche DEI (diversity, equity and inclusion), ormai considerate una bestemmia nel vocabolario repubblicano.

Un’operazione blindata, ma fortemente condizionata

L’accordo porta nel portafoglio Skydance — la società di produzione fondata da David Ellison, figlio del magnate di Oracle Larry Ellison — asset di peso come la rete televisiva CBS, lo studio Paramount Pictures, Nickelodeon, MTV, Comedy Central e il servizio streaming Paramount+. La FCC ha approvato il trasferimento delle licenze di trasmissione di 28 emittenti CBS ai nuovi proprietari, dopo un lungo scrutinio cominciato a fine 2023.

Ma il via libera è arrivato a caro prezzo.

Skydance, insieme al partner finanziario RedBird Capital, ha assicurato all’agenzia l’impegno a difendere un giornalismo “imparziale e pluralista”. Il piano prevede la nomina di un ombudsman indipendente incaricato di raccogliere segnalazioni su eventuali “pregiudizi editoriali” nella programmazione CBS — un meccanismo inedito nel panorama mediatico americano, che secondo i critici potrebbe tradursi in una sorveglianza politica dell’informazione.

Il presidente della FCC, Brendan Carr, vicino a Trump, ha difeso l’operazione: “Non abbiamo subordinato l’esame della fusione alla causa tra Paramount e Trump”, ha dichiarato. Eppure, la coincidenza temporale lascia pochi dubbi: appena pochi giorni prima, Paramount ha versato 16 milioni di dollari a Donald Trump per chiudere una controversia legale legata a un’intervista di 60 Minutes con Kamala Harris, trasmessa durante la campagna elettorale 2024.

Paramount cancella le politiche DEI: “discriminatorie”

A rendere ancora più evidente la direzione imposta dall’esecutivo c’è la scelta, confermata da Paramount stessa, di eliminare tutte le iniziative DEI, cioè i programmi di promozione della diversità, equità e inclusione. Una mossa dettata dall’allineamento alla linea ideologica dell’amministrazione, secondo cui tali politiche sarebbero esse stesse una forma di discriminazione “al contrario”.

Il senatore democratico Edward Markey ha duramente criticato la decisione della FCC: “È uno scivolamento pericoloso verso un sistema mediatico piegato al potere politico”, ha dichiarato insieme al collega Ben Ray Luján, chiedendo l’apertura di un’indagine congressuale sul caso.

Una nuova era editoriale? I segnali d’allarme

Oltre alla censura strisciante, il timore espresso da molti analisti è che la fusione possa dare il via a una nuova fase di centralizzazione politica dei contenuti mediatici. La nomina di un ombudsman, presentata come garanzia di trasparenza, rischia di diventare uno strumento di controllo ideologico.

Il caso ha già avuto effetti tangibili: a fine giugno, CBS ha cancellato The Late Show with Stephen Colbert, uno dei talk show più critici nei confronti dell’ex presidente. Sebbene l’emittente abbia parlato di scelte “aziendali e strategiche”, in molti — compreso lo stesso Colbert — hanno letto la decisione come una ritorsione mascherata.

Cambio al vertice e addio Redstone

La fusione sancisce anche l’uscita definitiva della famiglia Redstone dal controllo di Paramount. Shari Redstone, erede di una dinastia che ha segnato la storia dell’intrattenimento americano, venderà le sue quote per una cifra stimata tra 1,75 e 2,4 miliardi di dollari, lasciando il consiglio di amministrazione.

Al timone della nuova società, denominata provvisoriamente “Paramount Skydance Corp.”, andranno David Ellison come CEO e presidente, e Jeff Shell (ex NBCUniversal) come presidente operativo. Un’accoppiata che segna un profondo cambiamento rispetto alla tradizione editoriale e politica della vecchia Viacom-CBS.

Wall Street approva, ma il giornalismo trema

Sul piano finanziario, il mercato ha reagito con favore: le azioni Paramount sono salite dell’1,4% nelle contrattazioni after hours. Gli investitori vedono nell’operazione l’inizio di una stagione di razionalizzazione e rilancio, soprattutto nel comparto streaming, dove Paramount+ fatica a tenere il passo con Disney+, Netflix e Amazon Prime Video.

Ma mentre gli azionisti festeggiano, l’interrogativo sulla libertà di stampa negli Stati Uniti resta aperto. Il messaggio che esce da questa vicenda è chiaro: per fare affari con l’America trumpiana, serve allinearsi, abbandonare i programmi inclusivi, evitare interviste scomode e magari creare organismi di vigilanza per dimostrare “neutralità”.

Il caso Paramount-Skydance è solo l’inizio?

L’operazione potrebbe diventare un precedente pericoloso. La decisione della FCC, pur formalmente autonoma, mostra quanto le dinamiche politiche pesino oggi sulle scelte editoriali e industriali. In una stagione segnata dalla ri-ideologizzazione dei media, anche Hollywood scopre di non essere immune alle logiche del potere.

Cosa accadrà ora? L’ombudsman vigilerà davvero sulla pluralità dell’informazione o sarà un “guardiano ideologico”? Le redazioni potranno continuare a lavorare liberamente o saranno sottoposte a nuovi filtri? E, soprattutto, chi sarà il prossimo a doversi piegare per ottenere un’autorizzazione?

La fusione è stata approvata. Il prezzo, però, potrebbe essere molto più alto degli 8,4 miliardi pattuiti.

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