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Pensioni medio-alte, dieci anni di svalutazione. L’allarme di Cida e Itinerari Previdenziali

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Pensioni medio-alte, dieci anni di svalutazione. L’allarme di Cida e Itinerari Previdenziali

La Legge di Bilancio approvata per il 2024, combinata con l’inflazione record degli ultimi due anni, ha ridotto in modo significativo il valore delle pensioni medio-alte. È quanto emerge dal nuovo rapporto “La svalutazione delle pensioni in Italia”, redatto dall’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate di Cida e Itinerari Previdenziali.

Pensioni medio-alte, dieci anni di svalutazione. L’allarme di Cida e Itinerari Previdenziali

Le perdite stimate oscillano da 13 mila euro fino a oltre 115 mila euro nell’arco di dieci anni, per assegni superiori ai 2.500 euro lordi mensili. Dal 2012 al 2025, il susseguirsi di blocchi e tagli ha portato a una svalutazione complessiva superiore al 21%.

Assegni pesanti, perdite pesanti
I calcoli del rapporto mettono in evidenza numeri rilevanti. Una pensione da 10 mila euro lordi al mese ha accumulato una perdita vicina ai 178 mila euro, l’equivalente di un anno intero di rendita. Chi percepisce 5.500 euro lordi ha perso circa 96 mila euro nello stesso arco di tempo. Eppure, nonostante queste decurtazioni, 1,8 milioni di pensionati con redditi oltre i 35 mila euro lordi annui – appena il 14% del totale – contribuiscono da soli per il 46,33% dell’Irpef pagata dalla categoria.

Il principio di equità rovesciato

«In trent’anni le pensioni medio-alte hanno perso oltre un quarto del loro potere d’acquisto»
, denuncia Stefano Cuzzilla, presidente di Cida. «Chi ha versato per decenni e oggi sostiene gran parte del carico fiscale è proprio chi viene penalizzato maggiormente». Cuzzilla parla di un vero e proprio “rovesciamento del principio di equità” e ribadisce che le pensioni non rappresentano privilegi, ma salario differito: il frutto di una vita di lavoro e di tasse. “Un patto intergenerazionale”, aggiunge, che oggi rischia di incrinarsi.

Il nodo della perequazione
Al centro della contestazione c’è il meccanismo di rivalutazione. Secondo Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, «i pensionati hanno meno strumenti per difendersi dall’inflazione, e il mantenimento del potere d’acquisto dipende dai meccanismi di indicizzazione». Il problema è che la perequazione sfavorevole è stata applicata sull’intero reddito e non per scaglioni. Nel 2023, ad esempio, un assegno compreso tra 2.627 e 3.152 euro è stato rivalutato al 4,3%, contro un’inflazione reale dell’8,1%. Una forbice che, ripetuta negli anni, diventa erosione sistematica.

Il ruolo della politica e della magistratura
Cuzzilla ha rivolto un appello alla politica e alla magistratura. «La fiducia nel sistema previdenziale si regge sulla certezza del diritto e sulla stabilità delle regole. Colpire chi ha versato quarant’anni di contributi significa rompere il patto sociale». Non a caso, la Corte Costituzionale ha già richiamato il legislatore sul rischio di squilibri, e di recente il Tribunale di Trento ha rimandato la questione a un nuovo esame. Segnali che, secondo Cida, aprono uno spiraglio per rimediare agli effetti delle ultime manovre.

Pensionati e redistribuzione
L’analisi di Cida e Itinerari Previdenziali riporta al centro il ruolo dei pensionati medio-alti nella tenuta fiscale del Paese. Sono loro, con contributi Irpef significativi, a garantire una parte consistente delle entrate statali. Eppure, l’erosione subita negli ultimi dieci anni ne riduce la capacità di spesa e il ruolo di sostegno alle famiglie. «Non bisogna dimenticare – osserva Brambilla – che le pensioni non sono solo redditi individuali, ma anche un presidio sociale, che sostiene figli e nipoti in un contesto di fragilità economica».

Il rischio per il patto sociale
La questione non è solo contabile ma politica. Se la percezione di iniquità si consolida, cresce la sfiducia nei confronti del sistema previdenziale. La riduzione del potere d’acquisto degli assegni medio-alti rischia di alimentare tensioni tra generazioni, proprio nel momento in cui il Paese deve garantire stabilità a un welfare sotto pressione. La richiesta delle associazioni è chiara: regole stabili, meccanismi di perequazione equi e una narrazione che non dipinga i pensionati come privilegiati ma come pilastri fiscali e sociali.

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