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Petrolio fermo ma teso: Ucraina e Fed tengono con il fiato sospeso

- di: Vittorio Massi
 
Petrolio fermo ma teso: Ucraina e Fed tengono con il fiato sospeso
Petrolio fermo ma teso: Ucraina e Fed tengono il fiato sospeso
Il Brent galleggia sui 63 dollari, il Wti poco sotto i 60: mercati in modalità attesa tra diplomazia paralizzata e taglio dei tassi Usa dato quasi per certo.

Il petrolio oggi non corre, ma neppure arretra. Nella seduta asiatica il Brent oscilla attorno ai 63 dollari al barile, il West Texas Intermediate (Wti) resta appena sotto 60 dollari, con variazioni nell’ordine di pochi centesimi dopo il rialzo di circa l’1% messo a segno ieri. Su base settimanale, entrambe le qualità di riferimento sono impostate per un guadagno intorno all’1,5-2%, segnale di un mercato che non esplode ma continua a prezzare un premio di rischio geopolitico e una Fed sempre più orientata al taglio dei tassi.

Perché il petrolio oggi si muove poco

Secondo le quotazioni dei contratti di riferimento, in nottata i future sul Brent con consegna a febbraio hanno limato di circa lo 0,2%, intorno a 63 dollari al barile, mentre il Wti con le stesse scadenze ha ceduto un marginale 0,1-0,3% poco sopra i 59 dollari. Il movimento quasi impercettibile arriva dopo una chiusura in rialzo di circa l’1% nella sessione precedente.

In altre parole: il mercato si è fermato a fare il punto. Da un lato c’è uno scenario geopolitico ancora fragile, in cui lo stallo dei negoziati sulla guerra in Ucraina lascia sul tavolo il tema delle sanzioni sul greggio russo e dei possibili nuovi danni alle infrastrutture energetiche. Dall’altro lato c’è una Fed che, salvo sorprese, la prossima settimana dovrebbe tagliare ancora i tassi, con implicazioni potenzialmente positive per la domanda mondiale di carburanti.

Ucraina, colloqui bloccati e attacchi alle infrastrutture: il premio di rischio non scompare

I prezzi del greggio hanno trovato supporto dopo che i colloqui tra Stati Uniti e Russia tenuti all’inizio della settimana non hanno prodotto alcun passo avanti verso un cessate il fuoco in Ucraina. Nessun accordo, nessun allentamento delle sanzioni: per gli operatori questo significa che le limitazioni sull’export russo resteranno in piedi ancora a lungo, mantenendo un cuscinetto di rischio incorporato nelle quotazioni.

A complicare il quadro, negli ultimi giorni si sono intensificati gli attacchi ucraini a oleodotti, raffinerie e strutture logistiche russe, che hanno costretto Mosca a dirottare parte dei flussi e hanno alimentato il timore di interruzioni sulle rotte verso l’Europa e l’Asia. Diverse analisi notano come il premio geopolitico sul Wti e soprattutto sul Brent resti modesto rispetto alle fasi più acute della guerra, ma comunque sufficiente a impedire un vero crollo dei prezzi.

Anche le case di investimento parlano di un mercato “incastrato” fra due forze opposte: i possibili progressi della diplomazia, che potrebbero aprire a un allentamento delle sanzioni e quindi aumentare l’offerta, e il rischio di nuovi colpi alle infrastrutture che, al contrario, ridurrebbero i flussi di greggio disponibile. ING, per esempio, descrive il greggio come “intrappolato tra le speranze di pace e le scommesse sui tagli Fed”, sottolineando che qualsiasi svolta nei negoziati su Kiev avrebbe un impatto immediato sul sentiment degli operatori energetici.

Fed verso un nuovo taglio: perché conta per il greggio

Il secondo pilastro che sostiene il petrolio è la prospettiva di un nuovo taglio dei tassi d’interesse USA nella riunione del Federal Open Market Committee in calendario il 9-10 dicembre. I futures sui Fed funds prezzano una probabilità vicina al 90% di una riduzione di 25 punti base, dopo il ritocco di ottobre che ha portato il corridoio dei tassi al 3,75-4%.

Una Fed meno aggressiva significa, in prospettiva, dollaro più debole e condizioni finanziarie più accomodanti. Per il petrolio, che è prezzato in dollari, questo si traduce spesso in due effetti: valuta americana meno forte (e quindi greggio relativamente meno caro per chi compra in altre divise) e, sul medio periodo, sostegno alla domanda di carburanti grazie a un costo del credito più basso per imprese e consumatori.

Il segnale misto del mercato del lavoro Usa

A spingere le attese di un taglio contribuiscono dati macroeconomici che raccontano un’economia in rallentamento ma non ancora in sofferenza profonda. Nella settimana chiusa il 29 novembre le nuove richieste di sussidio di disoccupazione sono scese a 191 mila, minimo dai primi di settembre 2022: un livello sorprendentemente basso in pieno periodo festivo.

Allo stesso tempo, un report sui salari privati ha mostrato per novembre un taglio di circa 32 mila posti, la flessione più netta da oltre due anni. Il quadro è quello di un mercato del lavoro che non crolla ma inizia a presentare crepe, abbastanza perché una parte del board della Fed spinga per un allentamento della politica monetaria.

PCE, il dato chiave in uscita oggi

Oggi il focus dei mercati è tutto sull’Indice dei prezzi per i consumi personali (PCE), la misura di inflazione preferita dalla Fed. Il dato – relativo al mese di ottobre – sarà pubblicato alle 8:30 ora di Washington e potrebbe risultare decisivo per confermare o raffreddare le scommesse sul taglio di dicembre.

Le stime degli analisti puntano su un aumento mensile del 0,2-0,3% per il PCE “core”, che esclude cibo ed energia, con un tasso annuo ancora nella fascia alta del 2% abbondante, quindi sopra il target del 2% ma in graduale raffreddamento. Anche i modelli di nowcasting della Federal Reserve di Cleveland indicano per fine anno una dinamica del PCE core attorno al 3%, in rallentamento ma non ancora del tutto sotto controllo.

Se il dato di oggi dovesse sorprendere al rialzo, il mercato sarebbe costretto a rivedere al ribasso le probabilità di una Fed più morbida, con potenziali effetti negativi immediati sulle quotazioni del greggio. Un PCE in linea o più debole, al contrario, darebbe nuova linfa al rimbalzo delle materie prime energetiche.

Opec+, Arabia Saudita e domanda globale: gli altri pezzi del puzzle

Oltre a Ucraina e Fed, gli operatori guardano con attenzione anche alle mosse dell’Opec+ e soprattutto dell’Arabia Saudita. Riyadh, tramite Saudi Aramco, ha da poco tagliato i prezzi ufficiali di vendita del proprio greggio per i clienti asiatici, una mossa interpretata dagli analisti come tentativo di difendere le proprie quote in un contesto di offerta abbondante e crescita della domanda meno esplosiva rispetto agli anni post-pandemia.

Il taglio dei listini sauditi conferma la percezione di un mercato globalmente ben rifornito, nonostante le sanzioni alla Russia e le tensioni in Medio Oriente. Allo stesso tempo, l’Opec+ ha dato segnali di voler mantenere una linea prudente sui volumi, pronta a intervenire con ulteriori aggiustamenti se i prezzi dovessero scivolare troppo in basso.

La domanda mondiale, intanto, continua a crescere ma senza strappi: le ultime stime per il 2025 indicano un rallentamento del ritmo di incremento dei consumi di petrolio, mentre prosegue la transizione verso fonti rinnovabili e veicoli elettrici. Il greggio resta però centrale per trasporti, industria e chimica e ogni segnale di rallentamento meno marcato del previsto – per esempio in Cina o negli Stati Uniti – viene immediatamente incorporato nelle curve dei futures.

Brent vs Wti: cosa dicono i livelli attuali

Il differenziale tra Brent e Wti – lo spread fra i due benchmark – resta contenuto ma positivo, con il greggio del Mare del Nord scambiato qualche dollaro sopra il riferimento americano. Questa configurazione conferma due elementi:

  • Il Brent incorpora un premio geopolitico maggiore, perché più esposto alle tensioni in Medio Oriente, Africa e Russia.
  • Il Wti beneficia di un’offerta domestica Usa ampia e di infrastrutture che, dopo anni di investimenti, hanno ridotto i colli di bottiglia nella distribuzione interna.

Per i trader, in questa fase, lo spread resta un indicatore utile per misurare quanto il mercato stia prezzando il rischio geopolitico rispetto ai fondamentali di domanda e offerta.

Cosa guardano adesso i mercati

Nel brevissimo termine, la bussola degli operatori sul greggio è chiara. I punti chiave da monitorare sono:

  • Dati PCE di oggi: un’inflazione più morbida consolida le scommesse di taglio Fed e può sostenere petrolio e asset rischiosi; un dato forte alza la probabilità di una Fed più cauta, con possibili prese di profitto sul greggio.
  • Esito della riunione Fed del 9-10 dicembre: oltre alla decisione sui tassi, conterà il tono di Powell in conferenza stampa e le nuove proiezioni su inflazione e crescita.
  • Sviluppi dei colloqui Usa-Russia sull’Ucraina: qualsiasi segnale di cessate il fuoco o allentamento delle sanzioni può spingere in basso i prezzi, mentre nuovi attacchi alle infrastrutture energetiche russe o escalation militari potrebbero farli risalire rapidamente.
  • Mosse di Opec+ e Arabia Saudita: eventuali modifiche alle quote di produzione o ai prezzi ufficiali di vendita possono cambiare l’equilibrio tra offerta e domanda percepita.
  • Dati sulle scorte Usa: i report settimanali dell’EIA restano un termometro immediato di consumi e flussi, soprattutto in piena stagione invernale nell’emisfero nord. :contentReference[oaicite:11]{index=11}

In sintesi, oggi il petrolio sembra fermo ma è tutt’altro che tranquillo. Il movimento dei prezzi è contenuto, ma la quantità di informazioni in arrivo – dal fronte ucraino, da Washington, da Riyadh – è tale che bastano poche righe in un comunicato della Fed o una notizia su un oleodotto colpito per riaccendere la volatilità. Gli operatori lo sanno e, per il momento, scelgono la prudenza: posizioni leggere, sguardo fisso sui dati e un dito pronto sul tasto “hedging”.

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