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Pubblica amministrazione, boom di spesa ma stipendi fermi

- di: Giuseppe Castellini
 
Pubblica amministrazione, boom di spesa ma stipendi fermi
Nel 2025 la spesa sale a 201 miliardi: salari erosi, dipendenti sempre più anziani, dubbi sullo smart working. I docenti restano i meno pagati.

Pubblica amministrazione sotto pressione: più spesa, ma resta il nodo qualità

La macchina pubblica italiana costa sempre di più, ma non ingrana. Lo evidenzia la nuova Relazione 2025 della Corte dei Conti sul costo del lavoro pubblico, approvata dalle Sezioni riunite il 5 agosto: la spesa per gli stipendi nella Pa ha raggiunto 201 miliardi di euro, segnando un aumento del +2,3% rispetto al 2024. Un record che, tuttavia, non si traduce in un miglioramento della qualità o in un ricambio della forza lavoro.

Secondo la magistratura contabile, rispetto al 2015 l’aumento complessivo è stato del 19,4%, ma il potere d’acquisto resta eroso dall’inflazione, soprattutto dopo il biennio 2022-2023. E a fronte dell’incremento di spesa, la Corte lancia un allarme netto: “A causa del lungo blocco del turn-over, la Pa invecchia e rischia di perdere competenze essenziali”.

Inflazione più veloce dei contratti

Dal 2015 al 2024, i salari pubblici hanno seguito l’andamento dei prezzi. Ma la fiammata inflazionistica del post-Covid ha cambiato tutto: nei due anni 2022-2023 il potere d’acquisto è sceso bruscamente, sia nel pubblico che nel privato.

La Corte ricorda anche che il blocco contrattuale iniziato nel 2009 ha azzerato quel leggero vantaggio salariale che i dipendenti pubblici avevano storicamente sui privati. E anche se i contratti 2022-2024 sono entrati a regime nel 2025, con un incremento medio del 5,78%, l’erosione precedente non è stata recuperata.

Le previsioni, tra l’altro, mostrano una spesa in crescita costante: +2,4% nel 2026, +0,5% nel 2027, +1,7% nel 2028.

Chi guadagna meno? Ancora una volta gli insegnanti

I dati 2023 rivelano un’Italia della Pa a due velocità. Lo stipendio medio lordo è stato di 39.890 euro, ma con forti differenze tra comparti:

  • Insegnanti: 33.124 euro (+4,9%)
  • Enti locali: 33.769 euro (+3%)
  • Funzioni centrali (ministeri, agenzie fiscali): 41.710 euro (+6%)
  • Sanità pubblica: 43.883 euro (+1,8%)
  • Comparti autonomi o fuori comparto: 52.469 euro (+3,6%)

Nonostante l’aumento percentuale, la scuola resta il fanalino di coda. Un dato che pesa anche sulla difficoltà a reclutare giovani docenti, soprattutto nelle aree interne o più disagiate.

Età media sopra i 50: senza giovani non c’è Pa che tenga

L’altro fronte critico riguarda l’età media dei lavoratori pubblici, ormai stabilmente oltre i 50 anni, con la sola eccezione del personale sanitario e dei comparti in regime di diritto pubblico. Il blocco delle assunzioni, iniziato nel 2009 e protratto per oltre un decennio, ha lasciato un vuoto difficile da colmare.

Nel 2023, i dipendenti pubblici erano 3.327.854 (+1,7% rispetto al 2022), grazie anche alle assunzioni legate al Pnrr. Ma la Corte frena gli entusiasmi: “Per abbassare davvero l’età media serviranno ancora anni”.

Nel frattempo, avverte la Relazione, è urgente rafforzare la formazione, riqualificare le competenze e soprattutto valorizzare il merito.

Smart working: occasione o rischio?

Nel mirino della Corte anche il lavoro da remoto. “Lo smart working può rappresentare un’opportunità per la Pa, ma va usato con attenzione”, si legge nel rapporto. Tradotto: bene la flessibilità, ma serve evitare che diventi sinonimo di inefficienza o di minor presidio del servizio pubblico.

La questione è tutt’altro che marginale. Dopo l’esperienza pandemica, molte amministrazioni faticano ancora a trovare un equilibrio tra presenza e distanza, tra diritto alla conciliazione e obbligo di garantire servizi all’altezza.

Spesa in crescita, qualità stagnante

Il messaggio della Corte dei Conti è chiaro: spendere di più non basta. Se i salari non tornano competitivi, se il capitale umano non si rinnova, se il merito non viene premiato, il rischio è un sistema pubblico sempre più costoso ma sempre meno efficace.

E le risorse – anche quelle europee – non sono infinite. Il salto di qualità dipende da come si gestisce il cambiamento, non da quanto si spende per subirlo.

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