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Capitali in fuga: come cambia la mappa dei paradisi fiscali nel nuovo ordine globale

- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore
 
Capitali in fuga: come cambia la mappa dei paradisi fiscali nel nuovo ordine globale
Ancora una volta il superego dello “zar” della Cgil, Maurizio Landini, è riuscito a intortare la segretaria del Pd Elly Schlein.
A meno di un mese dalle urne vedo i tabelloni montati dal Comune di Roma, nelle strade attorno a dove abito, desolatamente vuoti. Non un manifesto pro o contro, niente: solo la ruggine che corrode inesorabilmente.
Il merito dei quesiti non interessa nessuno, tutta la partita si gioca sul raggiungimento o meno del quorum. Se il 50% più uno degli aventi diritto andasse a votare – cosa assolutamente improbabile – il solo vincitore sarebbe Landini, per la semplice ragione che solo lui e i suoi alleati hanno fatto campagna elettorale, con uno straordinario impiego di risorse e l’appoggio mediatico di quello che resta della sgangherata sinistra italiana.
La scelta della Schlein di sostenere a spada tratta i referendum landiniani ha spaccato ancora una volta il Pd, che aveva fortemente voluto le norme sub iudice approvate dal governo Renzi, il cosiddetto “Jobs Act”.
Oltretutto, se i “Sì” passassero, non è affatto vero che si tornerebbe alle norme in vigore prima del provvedimento di Renzi. Infatti, se qualcuno si prendesse la briga di andarsi a rileggere la sentenza con la quale la Consulta ha ammesso i referendum, scoprirebbe che la normativa che andrebbe in vigore non è quella dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori del 1970, bensì la legge n. 92 del 2012, che in generale stabilisce che il regime normale per i licenziamenti ritenuti illegittimi è l’indennità risarcitoria e non il reintegro nel posto di lavoro sic et simpliciter, come cerca di propalare la propaganda di Landini & Associati.
Ma tant’è, ancora una volta si utilizzano i referendum per la lotta politica interna alla sinistra.
Nel caso di specie, dunque, la maggioranza al governo non poteva che chiamarsi fuori dalla competizione, per la semplice ragione che essa non aveva avuto e non ha nessuna responsabilità sulle norme in vigore che le opposizioni vogliono abrogare. Tanto è vero che il governo ha evitato perfino di fare ricorso all’Avvocatura dello Stato per una difesa d’ufficio delle norme sottoposte a referendum.
Senza contare che se la Meloni e i suoi avessero sostenuto il “No”, avrebbero messo a serio rischio la tenuta del governo in caso di raggiungimento del quorum e della possibile vittoria di Landini e compagni.
La scelta dell’astensione invece lascia ai promotori l’onere di portare la gente a votare e, nel caso del mancato raggiungimento del quorum, di scannarsi tra loro a urne chiuse. Insomma: chi rompe paga e i cocci sono suoi.
Ancora una volta la sinistra, per correre dietro alle ambizioni politiche di un presunto capopopolo qual è Landini, porterà acqua alla tanto odiata Giorgia Meloni, mai come in questo momento in difficoltà, sia sul piano interno che su quello internazionale.
Per dirla con Nanni Moretti: continuiamo a farci del male.

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