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Il restauro del Sarcofago degli Sposi: viaggio nel cuore dell’identità etrusca

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il restauro del Sarcofago degli Sposi: viaggio nel cuore dell’identità etrusca

C’è un’opera che da sola riesce a raccontare la profondità, la delicatezza e la modernità di un intero popolo. È il Sarcofago degli Sposi, conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma. Due figure sdraiate su un letto rituale, la donna e l’uomo che sorridono al tempo con una serenità che sembra parlare ancora. Il gesto delle mani che si sfiorano, la postura accogliente, lo sguardo rivolto verso chi osserva: tutto nel Sarcofago degli Sposi ci restituisce la visione di un’umanità distante ma vicina, capace di rappresentare l’amore, l’uguaglianza, la morte e la memoria in un’unica immagine.

Il restauro del Sarcofago degli Sposi: viaggio nel cuore dell’identità etrusca

Oggi quell’opera straordinaria torna al centro di un progetto di restauro che non è solo tecnico, ma profondamente culturale. Un lavoro che intreccia conservazione, conoscenza e partecipazione pubblica. Un cantiere aperto, visibile, condiviso. Un modo per rimettere al centro il senso stesso della tutela: non nascondere, ma mostrare. Non chiudere, ma raccontare.

Una storia iniziata alla Banditaccia

Il 9 aprile 1881, durante uno scavo condotto a Cerveteri, nella necropoli della Banditaccia, vennero rinvenuti più di quattrocento frammenti in terracotta. Erano i resti di un sarcofago etrusco, destinato a ospitare le ceneri di una coppia. Quel ritrovamento colpì profondamente Felice Barnabei, archeologo, intellettuale, figura chiave della politica culturale postunitaria. Fu lui a volere l’acquisto del reperto per 4.000 lire e a destinarlo alle collezioni statali. Il sarcofago entrò nel patrimonio del Museo Etrusco – all’epoca in via di costituzione – e divenne uno dei capolavori più rappresentativi dell’arte antica italiana. La prima ricomposizione risale proprio agli anni dell’acquisto, ma fu nel Novecento che si operarono interventi più estesi, fino al restauro degli anni Sessanta che ne restituì la forma attuale. Da allora, però, l’opera non ha più subito manutenzioni strutturali. Il tempo ha lasciato segni visibili: crepe, instabilità, alterazioni dei materiali utilizzati nei vecchi interventi. Da qui l’urgenza di una nuova azione conservativa.

Un cantiere aperto a tutti
L’innovazione principale del progetto – firmato dal Museo in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Restauro – è l’idea di un cantiere aperto, visibile dai visitatori. Ogni martedì e giovedì, dalle 10 alle 13, sarà possibile osservare i restauratori all’opera all’interno del museo. Non si tratta solo di una finestra tecnica, ma di una scelta di metodo e di missione. Il pubblico potrà seguire, passo dopo passo, le fasi del restauro: dall’analisi dei materiali alle scelte conservative, dal rilievo delle criticità all’applicazione delle tecniche più aggiornate. L’intervento comincia dalle gambe della coppia, una delle zone più delicate, ma è destinato a estendersi in un percorso più ampio, che tiene insieme rigore scientifico e narrazione museale. Il cantiere non è un’eccezione, ma parte integrante del progetto di valorizzazione. Lo conferma la direttrice Luana Toniolo: “Non vogliamo solo conservare, ma raccontare. Questo restauro sarà una narrazione continua, visibile, aperta. Vogliamo che il pubblico diventi parte del processo”.

Tra scienza e mecenatismo

La complessità dell’intervento è affidata all’Istituto Centrale per il Restauro, uno dei centri di eccellenza più prestigiosi in Europa. Le tecnologie impiegate spaziano dalle indagini multispettrali alla modellazione digitale 3D, dalle prove di adesione ai test di resistenza meccanica. Ogni frammento, ogni incollaggio, ogni lacuna viene analizzata, documentata, affrontata con uno sguardo che combina memoria storica e nuove tecnologie. Fondamentale è anche il ruolo della Banca Popolare del Cassinate, che ha finanziato il restauro attraverso l’Art Bonus, uno strumento che negli ultimi anni ha dimostrato quanto la collaborazione tra pubblico e privato possa fare la differenza. “Il patrimonio culturale – ha ricordato Alfonsina Russo, direttrice del Parco Archeologico del Colosseo e tra le protagoniste del progetto – è una responsabilità collettiva. Sostenere il restauro di un’opera come il Sarcofago degli Sposi significa entrare in dialogo con la storia e con il futuro del Paese”.

Un’opera che ci riguarda
Lo ha detto con forza Massimo Osanna, Direttore generale Musei del Ministero della Cultura: “I musei non sono più luoghi di esposizione passiva, ma spazi vivi. Luoghi dove si fa ricerca, si conserva, si comunica”. In questo senso, il restauro del Sarcofago degli Sposi diventa anche un modello. Un modo per restituire centralità al museo come laboratorio civico, dove si può apprendere, partecipare, riflettere. È una sfida che riguarda tutti: studiosi, cittadini, istituzioni, imprese. Il passato non è un oggetto fermo da custodire in una teca, ma una materia viva, che ci interroga, che ci sfida, che ci accompagna. Ogni gesto del restauro – ogni pennello, ogni colla, ogni riflessione – è anche un atto di fiducia nel valore della cultura.

Una coppia senza tempo
Il Sarcofago degli Sposi non è solo un capolavoro archeologico. È una testimonianza unica dell’idea etrusca di amore, di uguaglianza, di ritualità. È un’opera che rompe i canoni del tempo e li supera. Che parla a chi guarda oggi, come parlava a chi la scolpì oltre duemila anni fa. Il restauro non è solo un modo per salvarla, ma per farla parlare ancora, con voce più chiara. Perché dietro quei volti sereni, dietro quella postura composta, c’è un messaggio che ci riguarda tutti: la bellezza non è solo forma, ma relazione. La memoria non è solo ciò che resta, ma ciò che siamo disposti a comprendere e a custodire.

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