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Fringe benefit: il secondo pilastro della retribuzione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Fringe benefit: il secondo pilastro della retribuzione

I fringe benefit sono diventati un elemento strategico della retribuzione in Italia. Non si tratta di un semplice “bonus in busta paga”, ma di beni e servizi che il datore di lavoro concede come parte del pacchetto retributivo, utilizzabili anche per esigenze personali.

Fringe benefit: il secondo pilastro della retribuzione

L’esempio classico è l’auto aziendale in uso promiscuo, a disposizione sia per attività professionali sia per la vita privata. A fianco dell’auto, troviamo il telefono cellulare aziendale, il computer portatile, le carte carburante, i buoni acquisto, i rimborsi scolastici o le agevolazioni per l’assistenza familiare.

Nell’attuale fase di inflazione e pressioni sul costo del lavoro, i fringe benefit rappresentano un ponte tra retribuzione e welfare aziendale: sostengono il potere d’acquisto dei dipendenti e consentono alle imprese di modulare meglio il costo del lavoro.

Il nodo fiscale: un vantaggio per entrambe le parti
La leva fiscale è la chiave del successo di questo strumento. La normativa italiana stabilisce che i fringe benefit, entro un certo tetto annuo di esenzione – modificato più volte dal legislatore negli ultimi anni – non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

In pratica, ciò significa che non vengono tassati né per il dipendente né gravano sui contributi previdenziali. Il risultato è un vantaggio reciproco: per l’impresa, il costo è inferiore a quello di un aumento salariale equivalente; per il dipendente, il beneficio ricevuto è netto, non eroso da tasse o contributi.

Per questo, soprattutto nelle grandi e medie aziende, i fringe benefit sono entrati stabilmente negli accordi contrattuali e nei rinnovi di categoria, diventando parte della contrattazione integrativa.

Dal bonus all’ecosistema di welfare

Negli ultimi anni l’offerta di fringe benefit si è evoluta. Oltre ai beni tradizionali, molte imprese includono oggi contributi per la mobilità sostenibile, rimborsi per le bollette domestiche, voucher per l’istruzione e l’infanzia, programmi di salute e benessere.

Questa trasformazione li ha resi un pilastro del welfare aziendale, con un impatto che va oltre il reddito: contribuiscono al benessere complessivo del lavoratore e migliorano il clima aziendale.

In un mercato del lavoro in cui le competenze qualificate sono scarse, i fringe benefit sono diventati anche uno strumento per attrarre e trattenere i talenti, soprattutto tra le nuove generazioni, più attente a flessibilità e qualità della vita.

Una leva per la competitività d’impresa
Per le aziende, il pacchetto di fringe benefit non è più solo un costo ma un investimento competitivo. Diversi studi delle società di consulenza HR mostrano come la presenza di benefit adeguati incida positivamente su produttività, fidelizzazione e employer branding.

Tuttavia, il loro utilizzo richiede pianificazione fiscale e chiarezza normativa, per rispettare i limiti di esenzione ed evitare contenziosi. L’uso di piattaforme digitali ha reso la gestione più semplice e personalizzabile, consentendo ai lavoratori di scegliere i servizi più adatti alle proprie esigenze.

Dalla busta paga a un nuovo contratto sociale

L’ascesa dei fringe benefit segnala un cambiamento strutturale: la retribuzione non è più soltanto un salario mensile, ma un insieme di strumenti economici, sociali e di welfare.

Se fino agli anni Ottanta l’auto aziendale era un privilegio riservato ai manager, oggi la logica si è estesa a molte categorie di lavoratori. Per le imprese, la sfida è integrare i benefit in strategie ESG e di responsabilità sociale, garantendo sostenibilità economica e impatto positivo sul personale.

Un alleato contro l’erosione del potere d’acquisto
Nel contesto di inflazione elevata e crescita moderata, i fringe benefit si confermano un alleato prezioso per sostenere i redditi delle famiglie e la competitività delle imprese.

Il loro sviluppo non dipende solo dalle norme fiscali, ma anche dalla capacità di aziende e parti sociali di ridefinire i modelli di retribuzione, affiancando al salario strumenti mirati al benessere e alla produttività.

Quello che un tempo era percepito come un “extra” oggi è diventato un tassello centrale del nuovo contratto sociale tra impresa e lavoratore, destinato a crescere di peso nel futuro prossimo.

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