Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di sospendere l’imposizione di dazi fino al 100% sui farmaci importati, misura annunciata in estate come strumento di pressione sulle grandi case farmaceutiche globali. Il rinvio arriva grazie a un accordo siglato con Pfizer, che si è impegnata a ridurre i prezzi dei medicinali sul mercato americano e ad aumentare gli investimenti produttivi negli Stati Uniti. In cambio, l’azienda avrà una sorta di “immunità” di tre anni rispetto all’eventuale applicazione delle tariffe.
Trump rinvia i dazi del 100% sui farmaci: accordo storico con Pfizer e mercati in rally
I dettagli completi dell’accordo restano riservati, ma il gruppo statunitense ha comunicato di aver accettato quattro richieste che l’amministrazione aveva posto, insieme ad altre 16 big pharma, fissando la scadenza a fine settembre. In particolare, Pfizer ha garantito che i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti saranno allineati a quelli praticati nei principali Paesi sviluppati, evitando così le accuse di sovrapprezzo a carico dei pazienti americani. Per i nuovi prodotti lanciati sul mercato, l’azienda si impegna a praticare prezzi in linea con quelli di altri mercati chiave.
Un pilastro dell’accordo riguarda inoltre la partecipazione di Pfizer alla piattaforma di acquisto diretto TrumpRx.gov, un portale governativo che consentirà ai pazienti americani di acquistare medicinali a prezzi fortemente scontati. La casa farmaceutica ha annunciato che gran parte delle sue terapie per la primary care e una selezione di farmaci specialistici saranno venduti con sconti medi del 50%, che in alcuni casi potranno arrivare fino all’85%. L’obiettivo dichiarato è di ridurre il differenziale di costo fra il mercato statunitense e quello europeo e asiatico, un tema diventato centrale nel dibattito politico negli Usa.
Reazioni immediate dei mercati
La notizia dell’intesa ha innescato un rally dei titoli farmaceutici europei. La mattina del 1° ottobre, alla Borsa di Zurigo, le azioni di Roche hanno guadagnato il 5%, Novartis è salita del 2,4% e Lonza ha segnato un rialzo dell’1,6%, beneficiando delle prospettive di maggiore accesso al mercato americano in un contesto di regole più chiare. L’accordo con Pfizer è stato letto dagli investitori come un segnale di distensione fra Washington e il settore, riducendo l’incertezza che aveva pesato sulle valutazioni delle big pharma negli ultimi mesi.
Una strategia di pressione negoziata
Il braccio di ferro tra la Casa Bianca e l’industria farmaceutica era cominciato a metà anno, quando Trump aveva minacciato l’introduzione di tariffe punitive per forzare le multinazionali a riportare negli Usa una quota maggiore della produzione e a tagliare i prezzi per i pazienti americani. L’amministrazione aveva presentato una lista di richieste a 17 grandi aziende, fissando la fine di settembre come scadenza per un’intesa, pena l’avvio delle tariffe.
Nel frattempo, la pressione della Casa Bianca aveva già prodotto alcuni effetti: Novartis e Roche avevano annunciato investimenti rispettivamente per 23 e 50 miliardi di dollari in progetti produttivi e di ricerca negli Stati Uniti. Sempre Novartis aveva inoltre comunicato la decisione di vendere un proprio farmaco di punta per alcune patologie autoimmuni direttamente ai pazienti attraverso una piattaforma dedicata, applicando uno sconto del 55% sul prezzo di listino.
Implicazioni per il settore e prospettive
L’accordo con Pfizer potrebbe rappresentare un modello per i negoziati con le altre aziende della lista di Trump. Il presidente ha dichiarato che “faremo accordi con tutti, sono in lista d’attesa”, lasciando intendere la volontà di replicare lo schema con altri big player per consolidare un nuovo quadro di regole. L’iniziativa segna anche un punto di svolta nelle politiche sanitarie Usa, dove da anni si discute del costo elevato dei farmaci rispetto agli standard internazionali.
Per l’industria farmaceutica globale, il rinvio dei dazi attenua il rischio di una frammentazione commerciale che avrebbe potuto rallentare le catene di fornitura e aumentare i costi di accesso al più grande mercato del mondo. Allo stesso tempo, la scelta di legare la riduzione dei prezzi a maggiori investimenti domestici riflette l’orientamento dell’amministrazione verso un nazionalismo economico negoziato, che punta a coniugare protezione del consumatore americano e attrazione di capitali industriali.