Oppenheimer, la recensione del film di Christopher Nolan. Un capolavoro da non perdere

- di: Teodosio Orlando
 

Oppenheimer, regia di Christopher Nolan, tratto dalla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin.

Case di produzione: Universal Pictures, Syncopy Films, Atlas Entertainment

Musiche: Ludwig Göransson.

Affidare un film di carattere fondamentalmente storico a un regista come Christopher Edward Nolan poteva sembrare una scommessa alquanto ardita. Perché il cineasta anglo-americano è noto piuttosto per le sue saghe di carattere fantascientifico, con toni metafisici, dalla trilogia che rilegge Batman fino a Interstellar: film che affrontano temi epistemologici e ontologici, esplorano gli aspetti più problematici e controversi del comportamento umano, con i dilemmi etici connessi, e si avventurano verso tematiche come quella della costruzione del tempo (Tenet), l’aleatorietà della memoria e i confini mutevoli dell'identità personale (Inception e Interstellar). In realtà, il regista si era già cimentato in un film storico di grande impatto, ossia Dunkirk, in cui viene raccontata l’evacuazione di Dunkerque nel maggio del 1940, durante la Seconda guerra mondiale. Certo, conciliare alcuni elementi tipici del cinema di Nolan (come la non linearità della narrazione, l’utilizzo di effetti speciali combinati con la computer-grafica, la fotografia di grande formato) con le caratteristiche che lo spettatore si aspetta da una pellicola che si proponga la fedeltà storica non è un’impresa semplice: ma possiamo dire che essa è perfettamente riuscita con Oppenheimer, dedicato alla biografia del grande scienziato statunitense che coordinò il progetto Manhattan, ossia l’elaborazione della bomba atomica.

Più che come un biopic, il film si configura come una sorta di epic thriller: circostanza confermata dal fatto che è stato girato con il sistema di proiezione IMAX®, che trasporta subito il pubblico nelle vicende paradossali di un uomo e scienziato che deve cimentarsi con il più grande paradosso possibile: quello di chi è costretto a mettere in pericolo il mondo al fine di salvarlo. Del resto, la pellicola è di forte impatto visivo (con un montaggio veloce e non esente da una certa spettacolarizzazione, comunque mai fine a sé stessa), e rappresenta probabilmente la summa dell'intera cinematografia di Nolan.

Il film vede come protagonisti Cillian Murphy, che interpreta J. Robert Oppenheimer, ed Emily Blunt, nella parte di sua moglie, la biologa e botanica Katherine “Kitty” Oppenheimer, née Puening. Il più volte premio Oscar Matt Damon interpreta il generale Leslie Groves Junior, responsabile politico e militare del Progetto Manhattan, mentre Robert Downey Jr. veste i panni di Lewis Strauss, fondatore della Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti.

Tra gli altri personaggi rilevanti, troviamo la candidata al Premio Oscar Florence Pugh, che interpreta la psichiatra Jean Tatlock (prima amante di Oppenheimer), Benny Safdie, che assume il ruolo del fisico teorico Edward Teller, Michael Angarano, che veste i panni di Robert Serber, mentre Josh Hartnett interpreta il pionieristico scienziato nucleare americano Ernest Lawrence.

Ci ha sorpreso la presenza molto marginale del “nostro” Enrico Fermi, che pure compare in alcune scene, interpretato dall’attore Danny Deferrari. Notevoli anche alcune sequenze in cui Oppenheimer, nei viali dell’Institute for Advanced Study di Princeton, dialoga con Albert Einstein (Tom Conty), raffigurato più come un saggio moralista che come un eccentrico scienziato. La sua eccentricità, semmai, risalta dal fatto che di solito si accompagnava soltanto al logico e matematico Kurt Gödel (l’autore dei famosi teoremi di incompletezza che rivoluzionarono la logica matematica), che compare molto brevemente sotto le sembianze di James Urbaniak e che è alle prese con vari problemi esistenziali.

Il film si ispira al libro Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato (American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer), scritto da Kai Bird e dal compianto Martin J. Sherwin (vincitore del Premio Pulitzer nel 2006). Da un punto di vista tecnico, vale la pena osservare che è stato girato combinando le pellicole fotografiche IMAX® 65mm e 65mm di grande formato, con l’aggiunta, per la prima volta in assoluto, di sezioni realizzate con fotografia analogica in bianco e nero IMAX®., con una fotografia e dei primi piani impressionanti.

Queste peculiarità tecniche si sposano benissimo con lo stile tipico di Nolan, costruito su più registri narrativi e su inquadrature che privilegiano primi e primissimi piani (e qui Nolan ha sempre in mente la lezione di Stanley Kubrick, benché non si prefigga di emularlo): le diverse tappe che condussero alla costruzione della bomba atomica sono scandite perfettamente, con un’interpretazione davvero superiore alle aspettative da parte di  Cillian Murphy, un Oppenheimer tormentato e tuttavia intriso di spirito prometeico, riconsegnato alla sua dimensione interamente umana. Murphy domina il film, al punto che siamo quasi inseguiti dal suo sguardo anche quando la cinepresa inquadra altri personaggi: sembra quasi avere un volto flessibile in cui gli occhi azzurri dischiudono un’infinità di universi concentrici (a tratti può ricordare un attore di altra generazione, ossia Christopher Walken in film come La zona morta), e ritraggono un uomo lacerato da dubbi e scrupoli morali, pur nella consapevolezza che vi sono delle sfide che vanno affrontate a ogni costo. E qui bisogna sottolineare che alcuni dei dialoghi più interessanti sono quelli con le amanti e mogli di Oppenheimer, che quasi assurgono a un ruolo simile a quello del coro greco.

Il film è scandito da visioni apocalittiche, seppure per lo più confinate sul piano onirico. Anche la prefigurazione di scenari da incubo rimane soprattutto confinata nei dialoghi; del resto, il film si snoda con un ritmo narrativo ossessivo e incalzante, e nonostante la prolissità riesce a non annoiare, mescolando vari procedimenti: ad esempio le suggestioni provenienti dai film d'inchiesta (come J. F. K. di Oliver Stone) o l’alternarsi del bianco e nero artificioso e del colore nitido e senza sbavature, che conferiscono alla pellicola un fascino inquietante.

Per dare l’idea della personalità multiforme di Oppenheimer, come viene brillantemente rappresentata da Nolan, sarà forse opportuno citare un aneddoto raccontato dal fisico e storico della scienza Gino Segrè: nel 1927 Oppenheimer trascorse un periodo a Göttingen, prestigiosa università tedesca, durante il quale divenne amico di Paul Dirac. Un giorno, osservando Oppenheimer che leggeva Dante – naturalmente nell'originale italiano –- il sempre logico e razionale Dirac gli avrebbe detto: “Come puoi fare sia fisica che poesia? In fisica cerchiamo di spiegare in termini semplici qualcosa che nessuno sapeva prima. Nella poesia è l'esatto contrario”. Ma nonostante quest’osservazione critica, Oppenheimer non cambiò idea: per lui la dedizione esclusiva alla fisica non era in programma, né allora, né nel futuro. Del resto, come rilevano Bird e Sherwin nella loro biografia, “il fisico Freeman Dyson vedeva in Robert Oppenheimer profonde e commoventi contraddizioni. Aveva dedicato la sua vita alla scienza e al pensiero razionale. Ma la decisione di partecipare alla creazione di un’arma adatta al genocidio era «un patto faustiano (Faustian bargain), se mai ce n’è stato uno. E naturalmente a quel patto era ancora legato». Come Faust, Oppenheimer tentò di rinegoziare il patto, e fu punito per averci provato”. Per ironia della sorte, pur avendo sostenuto come pochi lo sforzo per liberare la potenza dell’atomo, quando tentò di avvisare i suoi concittadini dei pericoli connessi e di contrastare la dipendenza degli Stati Uniti dalle armi nucleari, il governo sollevò dubbi sulla sua lealtà e lo mise sotto processo. Alcuni arrivarono a paragonare la sua pubblica umiliazione a quella subita nel 1633 da Galileo Galilei, da parte di papa Urbano VIII; mentre altri non mancarono di scorgere lo spettro dell’antisemitismo, ricordando la vicenda del capitano Alfred Dreyfus nella Francia del 1890.

L’incipit del film sembra piuttosto quello di un possibile scenario post-apocalittico, ma è un’ambiguità chiaramente voluta, se non addirittura sapientemente ricercata: da un vortice di fuoco e fiamme emerge improvvisamente, ruotando lentamente, il capo di Robert Oppenheimer, finché non ci mostra il volto di colui che il regista ha definito “la persona più importante che sia mai vissuta., perché ha modellato il mondo in cui viviamo, nel bene o nel male: non è un caso che la realizzazione della bomba atomica abbia rappresentato il trionfo dell’ingegnosità umana, che ha prodotto percorsi di apprendimento prima impensabili e poi seminato processi di innovazione in innumerevoli aree della scienza e della tecnologia”. Non possiamo però dimenticare che tra i suoi risultati c’è anche l’inizio di una corsa alle armi con esiti incontrollati e potenzialmente distruttivi per il mondo intero, accompagnati a una nuova paura esistenziale che non è più svanita. La definizione di Oppenheimer come un Prometeo americano (American Prometheus) ci riporta inevitabilmente al mito antico dei due titani, Prometeo ed Epimeteo: mito raccontato da Apollodoro di Atene nella sua Biblioteca, dove si allude al dono che Prometeo fece ai mortali: il fuoco. Mito poi ripreso da Platone con alcune varianti nel dialogo Protagora, dove Prometeo (in greco antico: Προμηθεύς, nome connesso con il sostantivo

προμήθεια [prométheia], previsione) è colui che pre-vede razionalmente e fornisce all’uomo il fuoco e le arti. Ma spetta poi all’organizzazione politica dotarsi di quelle virtù (pudore e giustizia), propiziate dal dio Ermes, che consentiranno agli uomini di evitare la mutua distruzione. E veniamo riportati anche al Frankenstein di Mary Shelley, che ha come sottotitolo “The Modern Prometheus”, in riferimento all’eccessiva espansione (over-reaching) dell’umanità moderna in aree pericolose della conoscenza. O al Prometheus Unbound del marito Percy Bysshe Shelley – autore caro al giovane Oppenheimer –, che, come il Prometeo di Goethe, si discosta da quello classico perché sottolinea la ribellione dell’intelletto umano rispetto alla tirannia religiosa. Ma oltre a questi riferimenti letterari, colpisce nel film la scena in cui, dialogando con la sua amante, Jean Tatlock (una superba Florence Pugh) – psichiatra americana, giornalista comunista del Western Worker e morta suicida nel 1944 a soli 29 anni –, mostra di saper leggere in sanscrito l’antico testo induista Bhagavadgītā: appare Visnu che cercava di convincere il principe a fare il suo dovere e, per far colpo su di lui, assume la sua forma a molte braccia, dicendo: “Sono diventato Morte, il distruttore del mondo”. E qui si potrebbe chiamare in causa anche il filosofo tedesco Günther Anders, il quale ha parlato di “dislivello prometeico”, per designare l’incapacità umana di accordarsi, da un punto di vista etico, con la velocità di trasformazione e i continui aggiornamenti e perfezionamenti dei prodotti della tecnica; l’esito tragico è un’asincronia irrisolvibile e destinata a farsi ogni giorno più pronunciata (intuizione già prefigurata da Giacomo Leopardi in una delle Operette morali, intitolata La scommessa di Prometeo).

Le vicende successive vengono da Nolan raccontate con una sorta di montaggio alternato: ci troviamo  con un film a colori per raccontare la storia del progetto Manhattan, ossia del programma di ricerca e di sviluppo che portò alla costruzione delle due bombe a fissione nucleare usate contro il Giappone, il 6 e 9 agosto del 1945, a Hiroshima e Nagasaki. Con una serie di flashback, vengono anche ripercorsi gli anni di formazione del grande fisico (nato il 22 aprile 1904 a New York da una famiglia di origini ebreo-tedesche), che svolse i suoi studi di chimica e fisica prima a Harvard, poi a Cambridge e a Göttingen, per poi diventare professore nel 1936 all’università di Berkeley. Ebbe come maestri e colleghi alcuni dei massimi fisici del Novecento, come Percy Williams Bridgman, Ernest Rutheford, Max Born, Wolfgang Pauli, Paul Dirac, Werner Heisenberg. Impressionante la scena in cui lascia una mela intrisa di veleno sulla scrivania del suo tutor di Cambridge, Patrick Blackett, con cui aveva dei contrasti, salvo poi ritirarla all’ultimo momento. O il momento in cui, invitato all’università di Leida dal fisico Paul Ehrenfest, riesce a tenere una lezione in olandese, lingua appresa in poche settimane. Di grande rilievo concettuale è poi la scena in cui Oppenheimer accoglie il primo studente nel suo corso di fisica teorica all’università di Berkeley, osservando: “È contraddittorio, ma è vero”. Si riferisce al problema della doppia natura della luce, a un tempo ondulatoria e corpuscolare, e che introduce al principio di indeterminazione nella fisica quantistica. Lo stesso regista Nolan, in un’intervista al New York Times, ha evidenziato come questo dualismo, apparentemente contraddittorio, si può riferire anche agli esseri umani: a Oppenheimer, che può essere allo stesso tempo sia un eroe, sia un criminale di guerra; ma, paradossalmente, anche al regista, il quale può al contempo incarnare il ruolo dell’apologeta e del giudice.

Al film a colori viene, per così dire, interpolata una pellicola in bianco e nero, incentrata sul processo che Lewis Strauss (interpretato da Robert Downey Jr.), presidente della Commissione americana per l’energia atomica, cercò di istruire contro Oppenheimer, insieme con il direttore dell’FBI, J. Edgar Hoover: nel clima del cosiddetto maccartismo (quando anche Dalton Trumbo e altri famosi registi di Hollywoood furono accusati di essere “cospiratori o agenti sovietici” solo perché erano di idee più liberali e meno capitalistiche), si voleva dimostrare come Oppenheimer avesse avuto ambigui rapporti con alcune cellule comuniste americane. In realtà, si trattava di una sorta di ritorsione per i dubbi e le perplessità espresse dallo scienziato a proposito dell’utilizzo della bomba atomica da parte degli Stati Uniti. Non a caso, ebbe una forte crisi di coscienza che lo indusse a rifiutarsi di lavorare alla costruzione della bomba termonucleare. Come riferisce il filosofo Karl Jaspers nel suo libro fondamentale La bomba atomica e il futuro dell’umanità (Die Atombombe und die Zukunft des Menschen), Oppenheimer vedeva in Edward Teller (che costruì la bomba all’idrogeno senza scrupoli e limitazioni, qui interpretato dal regista-attore Benny Safdie) l’esempio vivente e l’incarnazione del tradimento degli ideali della scienza. Nel 1956 Oppenheimer ebbe a dichiarare: “Abbiamo fatto il lavoro del diavolo. Ma adesso torniamo ai nostri compiti reali, ossia a dedicarci esclusivamente alla scienza”. In queste scene, la personalità di Lewis Strauss, un altro dei protagonisti della politica nucleare degli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale, assume un ruolo rilevante (nel 1959, il Presidente Dwight D. Eisenhower – già generale supremo delle forze alleate in Europa – gli assegnò il ruolo di Segretario di Stato al Commercio): Strauss fu membro fondatore della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti nel 1947 ed ebbe avuto un ruolo chiave nel modellare la politica nucleare dopo la guerra. Il primo incontro con Oppenheimer è avvenuto nello stesso anno, perché Strauss ricopriva anche il ruolo di direttore dell’Institute for Advanced Study di Princeton. Nel film il rapporto tra i due assume le vesti della relazione tra due uomini testardi, incredibilmente ambiziosi e, ognuno a modo proprio, pervasi da uno spirito sinceramente patriottico. Ma Strauss era un uomo del Sud, religiosamente devoto, che si era fermato agli studi liceali e per questo sempre profondamente insicuro per l’assenza di una vera formazione culturale; era un conservatore dogmaticamente anticomunista. Oppenheimer, nato nel Nord-Est, aveva un’istruzione di livello elevatissimo ed era noto per le sue posizioni nettamente liberali, con una decisa tendenza verso le politiche di sinistra. Robert Downey Jr., che interpreta Strauss, riesce a renderlo come figura stratificata con una visione del mondo a chiaroscuro: il fatto che, dopo aver scoperto che i Russi avevano a disposizione armi atomiche, iniziasse a lavorare per far partire i test per la bomba a idrogeno, mentre Oppenheimer si oppose, viene letto alla luce della sua convinzione orientata a salvare le vite umane, non a una mera politica di potenza, cosa che dimostrò anche quando volle introdurre dispositivi come la spoletta di prossimità o nuovi modelli di siluri.

Del resto, il desiderio alla base della volontà di Nolan di realizzare il film è strettamente imparentato, per ammissione dello stesso regista, con il terrore che pervase la mente degli scienziati del Progetto Manhattan allorché si resero conto di poter realizzare anche una bomba a fusione dopo quella a fissione; una paura che Oppenheimer aveva denominato con l’espressione “la terribile possibilità.”

“Nella preparazione al Trinity Test [nome in codice della prima detonazione di un'arma nucleare della storia], Oppenheimer e la sua squadra hanno dovuto accettare che ci fosse una minima possibilità che alla pressione sul bottone per attivare la prima bomba, si sarebbe potuto dare fuoco all’atmosfera terrestre e distruggere l’intero pianeta,” spiega Nolan. “Non c’era alcuna certezza matematica o teorica che potesse annullare completamente quella possibilità, per quanto minima. E nonostante questo elemento, hanno comunque deciso di premere quel tasto. Si tratta di un momento straordinario nella storia dell’umanità. Ho voluto portare gli spettatori in quella stanza per assistere alla conversazione e provare le emozioni una volta che il bottone è stato premuto. Il rapporto fra scienza, teoria, intelletto (inteso anche come capacità di immaginare) contro la difficoltà pratica di trasformare idee astratte nel mondo reale, fare i conti con la loro esistenza e le loro conseguenze.”

Intento, a nostro parere, ben realizzato e decisamente riuscito: la biografia dello scienziato, con tutti i suoi paradossi e dilemmi etici, si traduce in un film che accompagna quasi inavvertitamente lo spettatore nella comprensione delle scelte prese dalle persone e lo stimola sull’opportunità di quelle decisioni: il pubblico, mentre compie l’esperienza soggettiva della visione cinematografica, diventa quasi giudice dei percorsi dei personaggi, illudendosi di riferirsi a un elemento di oggettività fondamentale. Con un ultimo interrogativo: fino a che punto la conoscenza si può trasformare in arroganza e le scoperte in dannazione? Risulta drammatico, e insieme quasi patetico, un incontro con il Presidente Harry S. Truman (interpretato da Gary Oldman), che sarà sul punto di espellerlo dallo Studio Ovale, rivendicando la superiorità di chi il bottone lo preme rispetto a chi costruisce l’ordigno: “Sento le mani sporche di sangue”, dice lo scienziato al presidente. Ma Truman replica, quasi beffardo: “Lei pensa che a qualcuno a Hiroshima o Nagasaki interessi chi ha costruito la bomba? Interessa chi l’ha sganciata. E sono io”. Per citare il poeta inglese Peter Sinfield, autore di una delle più belle liriche del gruppo progressive King Crimson: “Knowledge is a deadly friend/If no one sets the rules/The fate of all mankind, I see/Is in the hands of fools” (La conoscenza è un’amica mortale/Se nessuno stabilisce le regole/Il destino di tutta l’umanità, lo vedo/È nelle mani di pazzi).

Un’altra scommessa riuscita è quella con cui la psiche di Oppenheimer viene scandagliata, anche attraverso una straordinaria sequenza di eventi distruttivi, che costituiscono una sorta di correlativo oggettivo, per mutuare un’espressione cara al poeta Thomas Stearns Eliot, uno degli autori preferiti dallo stesso Oppenheimer, e di cui all’inizio del film viene mostrata la copertina del poema The Waste Land (La terra desolata), unitamente ad alcuni versi finali:These fragments I have shored against my ruins” (Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine). Alla lettura di Eliot, Oppenheimer accompagnava la visione dei quadri di Picasso (Donna con le braccia incrociate) e della musica di Igor Stravinskij (La sagra della primavera). E in una scena l’autorevole scienziato Niels Bohr chiede a un giovane Oppenheimer: “riesci a sentire la musica?”, alludendo in realtà alla fisica teorica, con una significativa analogia. E anche la colonna sonora, affidata al compositore svedese Ludwig Göransson (vincitore di un Premio Oscar), riesce perfettamente ad accompagnare il mondo emotivo concepito da Nolan e che Hoyte van Hoytema ha catturato con la macchina da presa, dirigendo il pubblico nei dilemmi emotivi dei personaggi e delle loro interazioni con le difficoltà geopolitiche con cui sono costretti a confrontarsi. Il tutto sfruttando, in modo che oserei appunto dire stravinskiano, il potenziale espressivo del violino, con cui  Göransson declina il  fragile legame fra bellezza e terrore: oltre alle risorse espressive dell’orchestra e delle strumentazioni elettroniche (i sintetizzatori sono stati impegnati come elemento simbolico per accompagnare le profonde conseguenze della creazione di Oppenheimer, creando un’atmosfera ultraterrena per il motivo di Los Alamos), è all’intimo assolo del violino che ricorre, come se fosse un Leitmotiv, per catturare l’essenza del personaggio. A mano a mano che la storia si evolve, l’orchestra espande gradualmente il suo intervento passando a un quartetto e poi a un ottetto e infine a una grande ensemble di archi e ottoni. Perfetto connubio tra musica e immagini e sigillo ideale di una grande creazione cinematografica, sicura pietra miliare della storia della settima arte.

Titolo completo:

Oppenheimer

Lingua originale:    inglese

Paese di produzione:    Regno Unito, Stati Uniti d’America

Anno:    2023

Durata:   180 minuti

Genere:    storico, drammatico, biografico

Regia:    Christopher Nolan

Soggetto:   dalla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin

Sceneggiatura:    Christopher Nolan

Produttore:    Christopher Nolan, Emma Thomas, Charles Roven

Produttore esecutivo:    Thomas Hayslip

Casa di produzione:   Syncopy Films, Atlas Entertainment

Distribuzione in italiano:    Universal Pictures

Fotografia:    Hoyte van Hoytema

Montaggio:  Jennifer Lame

Effetti speciali:    Andrew Jackson, Giacomo Mineo, Scott R. Fisher

Musiche:    Ludwig Göransson

Scenografia:   Ruth De Jong, Islam Gamal, Claire Kaufman, Olivia Peebles, Adam Willis

Costumi:  Ellen Mirojnick

Trucco:    Christy Falco

Interpreti e personaggi

    Cillian Murphy: Robert Oppenheimer

    Emily Blunt: Katherine "Kitty" Oppenheimer

    Matt Damon: Leslie Groves

    Robert Downey Jr.: Lewis Strauss

    Florence Pugh: Jean Tatlock

    Josh Hartnett: Ernest Lawrence

    Casey Affleck: Boris Pash

    Rami Malek: David Hill

    Kenneth Branagh: Niels Bohr

    Benny Safdie: Edward Teller

    Dylan Arnold: Frank Oppenheimer

    Gustaf Skarsgård: Hans Bethe

    David Krumholtz: Isidor Isaac Rabi

    Matthew Modine: Vannevar Bush

    David Dastmalchian: William L. Borden

    Tom Conti: Albert Einstein

In uscita al cinema il 23 agosto 2023

Il testo al quale Nolan si è ispirato è: Oppenheimer. Trionfo e caduta dell'inventore della bomba atomica, l'acclamata biografia scritta da Kai Bird e Martin J. Sherwin nel 2005 (pubblicata in Italia a giugno 2023, da Garzanti). In originale: American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer, New York, Vintage Books, 2006.

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