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Patrick Zaki non tornerà in carcere: arriva la grazia di al-Sisi

- di: Diego Minuti
 
Patrick Zaki non tornerà in carcere: arriva la grazia di al-Sisi
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha concesso la grazia allo studente dell'Università di Bologna Patrick Zaki, che ieri è stato condannato a tre anni di reclusione (ha già scontato 22 mesi in carcere) per avere pubblicato notizie definite false sulle condizioni della minoranza copta nel Paese nordafricano.  Il gesto di al-Sisi, come lo si voglia guardare, probabilmente non è stato mosso da un senso di pietà nei confronti del giovane, ma da ragioni politiche, che attengono ai rapporti - in svariati dossier - che l'Egitto ha con l'Italia, ma anche dalla necessità di non dare altre ragioni al dissenso che, seppure tra mille difficoltà, si manifesta nei confronti del presidente e del regime che ha istituito. 
Tanto che le vicende processuali che hanno avuto come involontario protagonista Zaki sono state chiamate in causa dalle parti sociali, che stanno partecipando al ''dialogo nazionale'', perseguito dal governo per allargare la base del confronto con le opposizioni. Le quali, però fino a ieri sera, dopo la sentenza, avevano minacciato di abbandonare il tavolo di dialogo se non fosse finita quella che per loro era una vera e propria persecuzione nei confronti dello studente. Patrick Zaki tornerà libero nelle prossime ore (dopo che ieri, a seguito della lettura della sentenza, è stato ammanettato in aula e trasferito in un commissariato di polizia di New Mansoura), anche se non potrà raggiungere l'Italia, dove l'intera comunità dell'università di Bologna, che ha ormai eletto a sua alma mater, lo aspetta con ansia, considerandolo come un figlio. 

Patrick Zaki ha ottenuto la grazia

Perché possa salire su un aereo e tornare in Italia, Zaki dovrà presentare la grazia presidenziale davanti alla corte d'assise che, in sostanza, dovrà delibare l'atto firmato da al-Sisi e, quindi, cancellare il divieto di espatrio per lo studente.  Come accade sempre nel caso di buone notizie (di quelle cattive si fa sempre a gara a sottolineare la propria estraneità) , quando è arrivata dal Cairo la buona novella c'è stato un plauso generalizzato, in cui tutti si sono attribuiti parte o tutto il merito della buona riuscita delle pressioni nei confronti dell'Egitto. Come ha fatto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha indicato solo nel governo il demiurgo della liberazione. ''Grazie alla politica estera del Governo abbiamo dato un contributo decisivo per liberare questo giovane studente. Risultati concreti attraverso il lavoro ed una credibilità internazionale'', ha detto Tajani.
Quale che sia la realtà, è comunque partita, come sempre accade, la corsa a interpretare l'accaduto, con parecchi (soprattutto a sinistra) che ritengono l'atto di clemenza del presidente egiziano come la pietra tombale delle pressioni che il governo e l'opinione pubblica italiani hanno fatto sino ad oggi per cercare la verità sulla morte di Giulio Regeni. Le due vicende, seppure lontanissime (Regeni, italiano, è stato rapito, torturato e ucciso da uomini degli apparati di sicurezza del Cairo; Zaki, egiziano, è stato arrestato e condannato da suoi connazionali sostanzialmente per un  reato d'opinione). hanno un evidente punto di contatto nella circostanza che i due giovani hanno pagato, uno con la vita l'altro con il carcere, il fatto di non avere accettato le verità ufficiali del regime, parlandone o riferendone in articoli o saggi.  Ma forse, in tutto, giocano molto rapporti tra Paesi che spesso passano per interessi economici (energia) o di sicurezza (migrazioni irregolari). E in questo campo, quando accadono cose gravi come quelle di Giulio Regeni e Patrick Zaki, alla fine non c'è mai un solo vincitore o un solo sconfitto.
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