Alla commemorazione per la strage di Acca Larentia, come ormai accade da anni, si sono levati i saluti romani. Anche quest’anno la celebrazione, svoltasi nel quartiere Tuscolano di Roma, è stata teatro di un rituale dichiaratamente neofascista che ha attirato l’attenzione delle autorità e delle procure. A seguito dell’evento, la Procura di Roma ha formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio per 31 persone, tutte identificate dalle forze dell’ordine come militanti legati a CasaPound e ad altri movimenti dell’estrema destra. Si tratta della risposta giudiziaria a un episodio che, secondo gli inquirenti, configura una manifestazione che inneggia al fascismo, in violazione delle leggi Scelba e Mancino, e potenzialmente anche dell’articolo 604-bis del codice penale per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale o ideologica.
Acca Larentia: la Procura di Roma chiede il processo per 31 militanti
Acca Larentia è il nome della via in cui il 7 gennaio 1978 furono uccisi a colpi d’arma da fuoco tre giovani militanti del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Da allora, ogni anno gruppi dell’estrema destra si riuniscono per commemorare i “martiri” di quella stagione, spesso mescolando memoria e propaganda. La cerimonia si tiene con una struttura precisa: formazione ordinata, torce accese, braccia tese. È proprio questa ritualità, sempre più curata e diffusa anche sui social, che ha spinto la magistratura a intensificare il monitoraggio e ad agire. Non è solo un fenomeno legato a una nicchia ideologica, ma una questione di ordine pubblico e rispetto della Costituzione antifascista.
La ricostruzione delle indagini e i capi d'accusa
Gli agenti della Digos, incaricati della sorveglianza dell’evento, hanno documentato con video e fotografie la cerimonia svoltasi il 7 gennaio scorso. Nelle immagini si vedono chiaramente decine di persone che compiono il saluto romano in un contesto pubblico, accompagnato da slogan riconducibili all’ideologia fascista. Le indagini hanno permesso di identificare 31 partecipanti, per i quali il Pubblico Ministero ha ritenuto sussistenti gli estremi per procedere con l’imputazione. Non si tratta solo di militanti occasionali: tra gli indagati ci sono dirigenti di CasaPound e di associazioni contigue, che da anni organizzano la commemorazione con modalità pressoché identiche. L’ipotesi accusatoria si basa sulla reiterazione del gesto, sulla sua valenza simbolica e sull’intento di propaganda politica antidemocratica.
Il dibattito politico e le reazioni pubbliche
La richiesta di processo ha acceso il dibattito politico, con reazioni contrastanti. I partiti dell’area progressista hanno espresso soddisfazione per l’iniziativa della magistratura. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha definito la cerimonia “una ferita alla memoria repubblicana” e ha chiesto al governo “una presa di posizione chiara contro ogni apologia del fascismo”. Dall’altro lato, alcune voci della destra parlamentare hanno parlato di “uso politico della giustizia” e di “tentativo di criminalizzare la memoria di giovani italiani uccisi negli anni di piombo”. In mezzo, l’opinione pubblica si interroga: dove finisce la commemorazione e dove inizia la propaganda? E quanto è compatibile con la democrazia una rappresentazione così evidente dell’ideologia fascista nello spazio pubblico?
Il nodo normativo e le sfide della Repubblica
Il caso Acca Larentia ripropone il tema, mai risolto del tutto, del rapporto tra memoria storica, libertà d’espressione e limiti imposti dalla Costituzione. Le leggi Scelba e Mancino vietano esplicitamente la riorganizzazione del disciolto partito fascista e l’esaltazione pubblica del suo simbolismo. Tuttavia, il confine tra gesto simbolico e reato non è sempre facilmente tracciabile, e la giurisprudenza in materia ha conosciuto oscillazioni. La richiesta di processo da parte della Procura di Roma segna un punto fermo: la ritualità di Acca Larentia, così come è oggi praticata, non può più essere tollerata come semplice atto commemorativo. Ora la parola passa ai giudici. Ma il significato civile e politico di questa vicenda interroga tutta la Repubblica.