Il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), in corso oggi a Kuala Lumpur, riporta in primo piano il nodo irrisolto della crisi in Myanmar. A tre anni dal golpe che ha destituito Aung San Suu Kyi, il Paese resta in pieno conflitto interno, con un’escalation militare che ha ormai superato i confini di una rivolta popolare trasformandosi in guerra civile. La presidenza malese dell’ASEAN, quest’anno più attiva rispetto ai precedenti tentativi regionali, propone una mediazione a due vie, con colloqui separati tra la giunta di Min Aung Hlaing e i gruppi armati dell’opposizione.
ASEAN, vertice a Kuala Lumpur: si riapre il dossier Myanmar, tensioni sui dazi Usa e allarme nel Mar Cinese Meridionale
Al centro della proposta malese figura la nomina di un inviato permanente dell’ASEAN con mandato triennale, una figura che garantisca continuità diplomatica dopo il fallimento del "Consenso in cinque punti" adottato nel 2021 ma rimasto lettera morta. L’annunciata intenzione della giunta di organizzare elezioni entro la fine del 2025 è vista con scetticismo da diversi membri del blocco, che temono un’operazione di facciata destinata a consolidare il potere militare sotto forma elettiva. L’ASEAN, finora divisa sulla questione, tenta ora di produrre una posizione comune sul futuro del Myanmar.
Politiche tariffarie Usa, rischio frammentazione nella regione
In parallelo, il vertice di Kuala Lumpur è anche teatro di una delicata discussione economica. L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump ha annunciato un nuovo pacchetto di tariffe doganali, con aliquote fino al 49% su una gamma di beni provenienti da sei Paesi membri dell’ASEAN. La misura, che dovrebbe entrare in vigore a luglio salvo intese bilaterali, minaccia di rallentare l’export e aggravare il clima di incertezza commerciale già esistente.
Il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ha sollecitato una posizione coordinata tra i membri dell’ASEAN, mentre l’ex ministro degli Esteri indonesiano Marty Natalegawa ha sottolineato la necessità di stabilire criteri guida comuni per negoziare con Washington. In assenza di una risposta coesa, il rischio è quello di una competizione disallineata tra i singoli Paesi, con ricadute sulla stabilità del mercato regionale.
Tensioni marittime e diplomazia a più livelli
L’agenda del vertice prevede anche un incontro trilaterale con il premier cinese Li Qiang e rappresentanti delle monarchie del Golfo, a conferma della crescente centralità del Sud-est asiatico nello scenario geopolitico globale. Ma le tensioni nel Mar Cinese Meridionale tornano a preoccupare: gli scontri tra la marina cinese e navi delle Filippine, le proteste di Malesia e Vietnam per le incursioni nelle rispettive zone economiche esclusive, mostrano un’area attraversata da frizioni strategiche difficili da gestire.
La Cina rivendica il controllo quasi totale delle acque, mentre l’ASEAN cerca di mantenere una postura autonoma e pragmatica, evitando scontri diretti ma senza rinunciare alla tutela dei propri interessi marittimi. L’intesa su un codice di condotta regionale resta lontana, e le divergenze tra i membri sul grado di assertività da adottare rendono complessa l’elaborazione di una linea comune.
Un blocco tra leadership fluida e urgenze sistemiche
Il vertice di oggi conferma che l’ASEAN, pur nel suo ruolo spesso prudente e intergovernativo, è chiamata oggi a ridefinire il proprio posizionamento strategico. Le transizioni politiche interne, le pressioni esterne da Washington e Pechino, la crisi democratica in Myanmar e la vulnerabilità economica di fronte a politiche commerciali unilaterali richiedono alla regione una capacità decisionale più strutturata.
L’equilibrio tra neutralità diplomatica e difesa degli interessi collettivi è sempre più fragile. E mentre la globalizzazione si riconfigura su nuovi assi, il Sud-est asiatico si trova a essere non più semplice periferia del gioco geopolitico, ma snodo centrale da cui possono derivare nuovi modelli di stabilità — o nuove fratture.