Il dolore a due anni dalla strage del Nova festival riapre la ferita: il caso di Roei Shalev si aggiunge a quello di Shirel Golan. La comunità dei sopravvissuti invoca più assistenza psicologica e continuità delle cure.
(Foto: il memoriale del 7 ottobre, quando Hamas effettuò la strage di circa 8mila israeliani, in gran parte giovani).
Cosa è accaduto
Roei Shalev, 30 anni, scampato all’attacco del 7 ottobre 2023 durante il Nova festival vicino a Re’im, è stato trovato senza vita in un’auto bruciata a Netanya. Quel giorno aveva perso la fidanzata Mapal e un amico mentre fuggivano; lui stesso era stato ferito e si era salvato fingendosi morto per sette ore. Seguito da specialisti, non era riuscito a recuperare un equilibrio. Poche settimane dopo l’attacco si era tolta la vita anche sua madre, molto legata alla compagna del figlio.
Il precedente di Shirel Golan
Qualche mese fa si era tolta la vita Shirel Golan, 22 anni, anche lei sopravvissuta al Nova. La sua morte aveva già acceso i riflettori sulle conseguenze di lungo periodo del trauma tra i giovani che erano a Re’im.
Il messaggio d’addio
Poco prima di morire, Shalev ha lasciato un post sui social: “Sono vivo ma dentro sono morto. Non sono più in grado di sopportare il dolore. Perdonatemi”. In passato si era definito “un caso ambulante di disturbo post-traumatico” e aveva parlato del senso di colpa del sopravvissuto.
La comunità dei sopravvissuti
I membri della Nova tribe hanno dato l’allarme e si sono messi a cercarlo dopo il messaggio. Il cordoglio è stato affidato a una frase condivisa sui loro canali: “Chiediamo di ricordarlo nei suoi momenti più belli”.
La politica e il dovere di cura
La morte di Shalev ha rilanciato il confronto sul sostegno pubblico alla salute mentale di sopravvissuti e familiari. Il leader di Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, ha scritto: “È tempo che lo Stato di Israele tratti coloro che soffrono di problemi di salute mentale come eroi, non come statistiche”. Gli fa eco Yair Golan, alla guida dei Democratici di sinistra: “Roei non ha potuto sopportare il dolore, ma altri sono ancora là fuori, a lottare, a reagire, a cercare di vivere. Dobbiamo dare loro tutto l’aiuto possibile, affinché non si sentano soli”.
Ferite che non si chiudono
Alla vigilia dell’anniversario, l’associazione dei sopravvissuti aveva segnalato che per molti la situazione non stava migliorando. Ricordi intrusivi, insonnia, ipervigilanza e difficoltà a riprendere la quotidianità compongono un quadro che, a due anni dall’attacco, resta critico.