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Trump ci ripensa ancora e gioca allo sfascio del commercio mondiale: il 2 aprile via a dazi del 25% su auto

- di: Jole Rosati
 
Trump ci ripensa ancora e gioca allo sfascio del commercio mondiale: il 2 aprile via a dazi del 25% su auto
Contrordine alla Casa Bianca: dopo settimane di ambiguità e dichiarazioni contraddittorie, Donald Trump impone dazi pesanti sull’auto e agita il mondo. L’America torna a colpire, ma stavolta rischia di colpirsi da sola.
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Annunci contraddittori e mosse imprevedibili
Soltanto poche settimane fa, Donald Trump aveva lasciato intendere che il paventato dazio del 25% sulle auto importate poteva rientrare. “Non vogliamo danneggiare i consumatori americani”, aveva detto durante un comizio a Grand Rapids il 3 marzo, secondo quanto riportato da Politico. Ma come spesso accade con Trump, una promessa vale solo finché non ne arriva una nuova a smentirla.
Con un’improvvisa dichiarazione dallo Studio Ovale il presidente invece ha ufficializzato la nuova misura: dazi permanenti del 25% su tutte le automobili importate negli Stati Uniti a partire dal 2 aprile. Il giorno è stato ribattezzato “Giorno della liberazione dell’America”, in un tripudio nazionalista che ben sintetizza l’approccio ideologico e muscolare di questa nuova fase della sua presidenza.
Secondo Trump, “molte aziende stanno già cercando siti negli Stati Uniti per riportare la produzione a casa”. Ma la realtà industriale è più complessa di quella elementare narrazione. Il settore auto dipende da filiere globali intricate e altamente integrate. Quasi il 60% delle componenti delle auto assemblate in America arriva dall’estero.
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Divide et impera: un’America che gioca allo sfascio
Non è solo la misura in sé a suscitare allarme, ma la modalità con cui viene gestita. Ancora una volta, Trump adotta una strategia da “Oriazi e Curiazi”, concedendo possibili esenzioni selettive a singoli Paesi. “Saremo indulgenti con chi dimostrerà buona volontà”, ha detto sibillinamente il presidente, senza chiarire chi rientrerebbe in questa categoria.
È la stessa logica divisiva già vista in passato con i dazi su acciaio e alluminio: una manovra per mettere gli alleati gli uni contro gli altri, spingendoli a negoziare bilateralmente concessioni a scapito della coesione europea o multilaterale. Una politica del ricatto, più che della trattativa.
“Gli europei ci hanno trattati molto male”, ha tuonato Trump lo scorso 24 marzo durante un’intervista a Fox Business, definendo l’Unione Europea “un parassita economico”. Parole che non lasciano spazio a dubbi: la volontà non è quella di costruire, ma di colpire.
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L’Europa risponde: “Proteggeremo i nostri lavoratori”
Non si è fatta attendere la replica della Commissione Europea. Ursula von der Leyen, presidente dell’esecutivo comunitario, ha parlato con chiarezza:Le tariffe sono tasse. Dannose per le imprese, peggiori per i consumatori. L’Ue continuerà a cercare soluzioni negoziate, ma proteggeremo i nostri lavoratori, le imprese e i consumatori”.
Il commissario europeo al Commercio, Maroš Šefčovič, ha definito “devastante” l’impatto di una tariffa del 25% sulle auto europee e ha già presentato un pacchetto di contromisure da 26 miliardi di euro, che entreranno in vigore a partire dal 12 aprile. La Francia ha ottenuto il rinvio dell’imposizione del 50% sul bourbon americano, nel timore che Trump rispondesse con dazi monstre sullo champagne.
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Il Canada si ribella: “Un attacco diretto”
Il primo ministro canadese Mark Carney ha parlato senza mezzi termini: “Questa decisione è un attacco diretto al Canada e ai lavoratori dell’industria automobilistica nordamericana”. Carney ha avviato consultazioni d’urgenza con il ministro del Commercio e ha chiesto una riunione straordinaria dei Paesi firmatari dell’USMCA, l’accordo commerciale nordamericano.
Anche il Giappone e la Corea del Sud hanno chiesto chiarimenti immediati a Washington, secondo quanto riferito da Nikkei Asia, preoccupati per l’impatto sui propri marchi automobilistici, già duramente colpiti dalla frenata dei mercati.
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Il mercato reagisce: crollano le azioni del settore auto
Wall Street non ha gradito. Ancor prima dell’annuncio ufficiale, voci sull’imminente stretta doganale hanno fatto chiudere in rosso le principali borse americane. Dopo l’annuncio, le perdite si sono amplificate. General Motors, Ford e Stellantis hanno perso tra il 2% e il 3% in una sola seduta. Anche Tesla, nonostante produca in patria, ha registrato un calo, preoccupata per l’aumento del costo delle componenti d’importazione.
Secondo una stima della National Automobile Dealers Association, i nuovi dazi potrebbero aumentare il prezzo medio di un’auto negli Stati Uniti di oltre 7.000 dollari. Con effetti a cascata su domanda, inflazione e occupazione.
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Una mossa rischiosa, in un mondo che Trump continua a non capire
Trump giura che gli Stati Uniti guadagneranno “tra 600 miliardi e un trilione di dollari nei prossimi due anni” grazie ai nuovi dazi. Ma nessuno – nemmeno tra i suoi consiglieri economici – sembra in grado di spiegare come si arrivi a tali cifre.
Il timore, sempre più diffuso tra osservatori e alleati, è che gli Stati Uniti stiano virando verso una politica commerciale ostile, incoerente, dominata da impulsi elettorali e visioni distorte. L'America trumpiana sembra ignorare la complessità del mondo moderno, in nome di un protezionismo brutale che somiglia più a una vendetta che a una strategia.
Non è solo l’Europa a preoccuparsi. A Washington, diversi senatori repubblicani hanno chiesto una revisione del provvedimento.
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Conclusione: la superpotenza prepotente rischia di isolarsi
Dietro lo slogan del “Liberation Day”, Trump nasconde una guerra commerciale totale che potrebbe ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti. Le contraddizioni nelle sue dichiarazioni, la logica delle esenzioni a geometria variabile e il ricatto costante verso amici e alleati mostrano un’America che ha smesso di essere un punto di riferimento e si trasforma sempre più in una minaccia per l’equilibrio globale.
E mentre Trump gioca a scacchi con il commercio mondiale, l’industria automobilistica – americana, europea, asiatica – rischia il collasso. Ma stavolta il boomerang potrebbe tornare alla Casa Bianca più in fretta del previsto.

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