Non è una mostra come le altre, ma un’operazione che ricompone un patrimonio disperso. Firenze riporta a casa il frate domenicano che, con la sua pittura, ha legato il tardo gotico al primo Rinascimento.
“Beato Angelico”, fino al 25 gennaio 2026, si snoda tra Palazzo Strozzi e il Museo di San Marco, due luoghi simbolo. Il primo ospita un allestimento che esalta il colore, il secondo è il convento dove l’artista visse, pregò e dipinse.
Beato Angelico, Firenze rimette insieme il suo tesoro
Oltre 140 opere, tra tavole, affreschi, miniature, tabernacoli e reliquiari, sono state riunite in un percorso che, per ampiezza e rigore scientifico, non ha precedenti. Molti pezzi non erano mai stati esposti insieme dal Quattrocento.
Il frate che dipingeva la luce
Guido di Piero, nato a Vicchio di Mugello nel 1395, divenne frate domenicano col nome di Giovanni da Fiesole. I confratelli lo chiamarono “Angelico” per la grazia delle sue immagini.
La sua pittura seppe unire la preziosità medievale – oro, punzonature, pigmenti rari come il blu di lapislazzuli – con le prime conquiste della prospettiva e della luce rinascimentale.
Lavorò per i Medici, per grandi chiese e città dell’Italia centrale, da Firenze a Perugia, a Roma, dove morì nel 1455.
Nonostante i rapporti con potenti committenti, mantenne uno stile di vita austero. La sua fama di artista devoto lo rese un simbolo di un’arte che, anche nella modernità, restava legata alla spiritualità.
Il cuore della mostra: la Pala di San Marco
La protagonista assoluta è la Pala di San Marco, eseguita tra il 1438 e il 1442 per l’altare maggiore della chiesa domenicana, commissionata da Cosimo e Lorenzo de’ Medici.
È una delle prime pale rinascimentali a integrare monumentalità e chiarezza narrativa, con figure disposte come in un’architettura reale.
Smembrata intorno al 1678, è stata eccezionalmente ricomposta con 17 delle 18 tavole oggi conosciute, grazie a prestiti di musei europei, americani e collezioni private. Una ricostruzione che restituisce al pubblico un capolavoro mutilato da secoli.
Un itinerario tra musei e città
La mostra è un percorso urbano. Parte dal convento di San Marco, dove Angelico visse e affrescò il chiostro e le celle dei confratelli, creando un ciclo mistico che resta tra le vette della pittura cristiana.
Prosegue a Palazzo Strozzi, dove il visitatore incontra tavole, trittici e pale d’altare che dialogano con l’architettura rinascimentale.
Il percorso racconta anche l’evoluzione stilistica di Angelico, dai primi anni legati alla lezione di Lorenzo Monaco fino ai capolavori della maturità, quando l’uso della prospettiva e la delicatezza dei volti rivoluzionarono l’arte sacra.
Lavoro invisibile: restauri e mecenati
Dietro l’esposizione ci sono anni di ricerche, indagini diagnostiche e oltre 30 restauri. Alcune opere erano considerate perdute, come il Trittico Francescano, recuperato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze con il sostegno di Gucci.
La mostra offre anche ricostruzioni grafiche di sette pale d’altare che, grazie agli studi condotti per il catalogo edito da Marsilio Arte, restituiscono l’assetto originario delle opere disperse.
È un esempio di come pubblico e privato possano collaborare per riportare alla luce patrimoni dimenticati.
Angelico e il suo tempo
Il percorso mette in dialogo Angelico con i maestri e gli allievi che ne hanno segnato il cammino: Lorenzo Monaco, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli, Pesellino, Giovanni di Paolo.
Emergono le radici tardogotiche, la ricerca di armonia del primo Rinascimento, la capacità di dare alle figure un’espressione umana e spirituale insieme.
La mostra rivela un artista che, pur ancorato alla fede, seppe guardare alla realtà con occhi nuovi, offrendo alla Firenze del Quattrocento un linguaggio pittorico che ha influenzato generazioni di artisti.
Un patrimonio per il presente
“Beato Angelico” non è solo un evento culturale ma un laboratorio di memoria e di conservazione.
Mostra come la cura scientifica, il restauro e il mecenatismo possano restituire al pubblico opere fragili e disperse, restituendo dignità a un patrimonio comune.
In un’epoca di turismo rapido e consumo culturale veloce, l’esposizione invita a rallentare lo sguardo: a osservare il dettaglio delle punzonature, la trasparenza dei veli, la luce che sfiora i volti dei santi.
Firenze e il Rinascimento, un legame vivo
Questa mostra è anche un racconto della città. Firenze, che nel Quattrocento fu crocevia di arte, fede e finanza, oggi riscopre il suo frate-pittore come un bene civico.
Riportare insieme le pale smembrate e restituire voce a un maestro che dipingeva la bellezza come riflesso del divino significa ricordare il ruolo che la città ebbe nella nascita dell’arte moderna.
Un invito a riconoscere che il patrimonio non è solo un’eredità da conservare, ma un progetto vivo, che parla al presente e alle generazioni future.