Sette donne su dieci. È questa la cifra che, tra tutte, colpisce di più nel nuovo rapporto Univ-Censis. Una percentuale altissima, che racconta una realtà diffusa e persistente: per la maggioranza delle donne italiane, il semplice atto di rientrare a casa dopo il tramonto è vissuto con ansia, paura, tensione. Non si tratta di allarmismo, ma di percezioni radicate in esperienze reali. Ogni sera, per milioni di cittadine, il tragitto tra l’ufficio e l’abitazione, tra una cena con amiche e il portone di casa, non è un momento di libertà, ma un’operazione da pianificare con attenzione.
Censis: Sette donne su dieci hanno paura di rientrare a casa da sole la sera
Le donne non camminano mai “a caso”. Evitano i vicoli, scelgono percorsi più lunghi ma più illuminati, avvertono un’amica quando stanno per uscire, tengono le chiavi in mano. Sono strategie che conoscono da sempre, tramandate con naturalezza da madre a figlia, e che non servono a creare allarmismo, ma a sopravvivere. Questa percezione, secondo l’indagine, è cresciuta negli ultimi cinque anni: l’83% delle intervistate dichiara che oggi, rispetto al passato, girare da sole per strada è più pericoloso. Un dato che interroga profondamente la società, ben oltre le statistiche sulla criminalità.
Numeri che raccontano esperienze, non solo reati
Il 25% delle donne ha dichiarato di aver subito almeno una molestia sessuale nella vita. Il 29% è stata seguita da uno sconosciuto, e il 23% è stata vittima di uno scippo o borseggio. Ma questi numeri – già gravi – non riescono a restituire il senso più profondo del disagio: non sono solo i reati a pesare, ma l’aspettativa del pericolo, il sospetto, la sorveglianza costante del proprio corpo. È un tipo di violenza che non ha bisogno del gesto per ferire. Basta il rischio. Basta l’idea che “potrebbe accadere”.
Un’Italia divisa in due tra chi teme e chi non capisce
Il problema è anche generazionale e culturale. Spesso, chi non vive questa sensazione tende a minimizzare. Gli uomini – che raramente devono porsi il problema di come rientrare a casa senza paura – faticano a comprendere quanto la libertà di movimento femminile sia limitata. Non per legge, ma per condizione. Non per divieti scritti, ma per un reticolo di non detti, occhi addosso, precedenti inquietanti. È un’Italia divisa: da una parte chi si sente al sicuro per default, dall’altra chi ogni sera si domanda se quella strada sia troppo isolata, quel tratto troppo buio, quell’uomo troppo vicino.
La città, il buio e la responsabilità delle istituzioni
Il senso di insicurezza notturna è legato anche alla condizione delle città: illuminazione carente, mezzi pubblici non presidiati, stazioni deserte, percorsi pedonali poco curati. Sono elementi che vanno ben oltre l’estetica urbana. Sono indicatori di presenza – o assenza – dello Stato. Una strada ben illuminata non è solo una questione tecnica: è una dichiarazione di attenzione. È un modo per dire: qui puoi camminare. Qui non sei sola. Le politiche urbane devono partire da qui, da questa quotidianità che troppe donne vivono con disagio.
Non basta dire “abbiamo ascoltato”
La politica, a ogni ondata di femminicidi, dichiara che “serve fare di più”. Ma l’insicurezza non si combatte solo con i numeri della repressione. Richiede formazione nelle scuole, campagne di comunicazione, educazione al rispetto, ma anche gesti concreti: telecamere, pattuglie, progetti di quartiere, trasporti notturni sicuri. Il rispetto non può restare parola astratta. Deve diventare politica concreta. E la sicurezza – quella vera, quella percepita – è parte essenziale del diritto di essere cittadini.
La paura come costante, non come eccezione
Il dato che emerge dal Censis è chiaro: la paura non è l’eccezione, è la regola. È una condizione che accompagna la vita di milioni di donne, spesso senza che nessuno se ne accorga. E non basta dire “è sempre stato così”. Perché proprio questo è il problema: che sia sempre stato così. E che continui a esserlo.