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Credit Agricole sale in BPM: ago della bilancia sul terzo polo

- di: Bruno Coletta
 
Credit Agricole sale in BPM: ago della bilancia sul terzo polo

La banca francese rafforza il suo peso mentre si decide il futuro di Mps, Mediobanca e Generali. Opportunità o sabotaggio?

(Foto: Hugues Brasseur, Ceo di Crédit Agricole Italia)

In un agosto torrido ma tutt’altro che sonnolento sul fronte finanziario, Crédit Agricole ha compiuto un passo tanto discreto quanto esplosivo: la sua quota in Banco Bpm è salita al 20,1 %, grazie a un contratto derivato (uno swap sullo 0,3 %) che le consente, con il via libera della BCE, di oltrepassare la soglia tecnica del 20 per cento. Formalmente resta sotto il limite che obbligherebbe al lancio di un’OPA, ma politicamente si è già seduta capotavola.

La mossa è stata notificata alla Consob con puntualità quasi chirurgica: Crédit Agricole – che detiene già il 19,8 % con diritto di voto – si è limitata a definire l’operazione coerente con il proprio ruolo di “azionista di lungo termine e partner industriale”. Un mantra che rassicura i regolatori, ma che non inganna gli analisti.

La lentezza calcolata di una strategia efficace

La strategia francese è quella, dichiarata, della “tartaruga”: avanzare senza strappi, evitando reazioni istituzionali ostili. Un gioco a somma multipla, nel quale la Banque Verte si sta progressivamente affermando come attore centrale nel risiko bancario italiano. La banca ha già aumentato di 15 miliardi di euro la sua esposizione nel Paese rispetto al 2020, mentre altri – come Unicredit o Intesa – hanno imboccato la via opposta, smontando i loro portafogli domestici.

La decisione di Crédit Agricole arriva nel pieno del fermento generato dall’OPS di Mps su Mediobanca: un’offerta da 13,3 miliardi di euro, presentata come una spallata decisiva per costruire un terzo polo bancario italiano. E qui si apre il bivio strategico per la banca francese.

La fusione Mps-Mediobanca e l'effetto domino su Generali

Dietro l’operazione Mps-Mediobanca non c’è solo una logica industriale. C’è la geopolitica del capitalismo finanziario italiano. La fusione farebbe saltare gli equilibri anche in Generali, di cui Mediobanca detiene circa il 13 %, aprendo la porta a una nuova governance targata Caltagirone-Delfin. Gli eredi di Del Vecchio, alleati con il costruttore romano, non fanno mistero di voler estromettere l'attuale amministratore delegato Philippe Donnet, uomo fortemente legato all’asse parigino.

Con Mediobanca in mano a Siena, le leve per cambiare la guida del Leone di Trieste sarebbero alla portata. E così verrebbe spazzato via anche il cantiere europeo tra Generali e la francese Natixis per una grande piattaforma continentale nell’asset management.

Due strade per la banca francese

A questo punto, la domanda è inevitabile: Crédit Agricole giocherà da protagonista o da guastafeste? Le ipotesi sul tavolo sono due, diametralmente opposte.

La prima ipotesi è quella dell’opportunismo strategico: la banca francese potrebbe trarre vantaggio da un’eventuale aggregazione tra Bpm, Mps e Mediobanca, diventando interlocutore chiave e partner influente nel nuovo polo. Con il 20,1 % in BPM, un 4 % in Mps detenuto da Anima (socio alleato e legato a BPM) e un consolidato rapporto industriale con entrambe, Crédit Agricole potrebbe rivestire un ruolo di co-protagonista nella fusione. Senza esporsi, senza rilanciare, ma guadagnando peso e dividendi.

La seconda ipotesi è quella dell’azione di disturbo: la banca transalpina potrebbe usare la propria posizione per impedire la costruzione del terzo polo, bloccando di fatto la fusione. In questo scenario, l’obiettivo sarebbe proteggere l’autonomia e l’indipendenza di BPM – oggi governata da Giuseppe Castagna, figura stimata dai vertici francesi – e al contempo difendere la posizione del connazionale Donnet in Generali. Una sorta di contro-offensiva silenziosa per tutelare l’asse Parigi-Trieste.

Esiste anche una terza via, più sfumata: quella della neutralità tattica. Crédit Agricole potrebbe restare in disparte, senza ostacolare né favorire apertamente, lasciando che siano gli eventi (e i regolatori) a tracciare la rotta. Ma sarebbe una scelta rischiosa, perché l’inerzia in un risiko come questo può voler dire essere tagliati fuori.

Gli effetti sul mercato

In attesa di scoprire la posizione definitiva della banca francese, il titolo Banco Bpm resta monitorato con attenzione. Il 66,7 % degli analisti mantiene un rating “hold”, con un prezzo obiettivo medio di 10,78 euro, vicino alle attuali quotazioni.

Nel frattempo Mediobanca ha reagito duramente all’OPS di Mps, definendola “non concordata e distruttiva di valore”. In risposta ha annunciato un massiccio piano di restituzione agli azionisti per 4,9 miliardi di euro entro il 2028 e ha rilanciato sulla partnership strategica con Banca Generali. In attesa delle assemblee decisive di settembre, Piazzetta Cuccia cerca di blindare il proprio futuro.

Uno snodo decisivo per la finanza italiana

L’operazione Mps-Mediobanca ha scoperchiato un vaso di Pandora. In gioco non c’è solo un polo bancario da affiancare a Intesa e Unicredit, ma l’intera architettura del capitalismo finanziario italiano: i vertici di Generali, i rapporti tra Francia e Italia, il ruolo dello Stato in Mps, la direzione strategica del risparmio gestito.

In questo scenario, Crédit Agricole non è più uno spettatore. Con la sua avanzata in Banco Bpm ha dimostrato che intende contare. Ora resta da capire come. Contribuirà alla nascita del terzo polo o farà valere il suo peso per neutralizzarlo?

La risposta arriverà a breve. Perché nel risiko italiano, le mosse silenziose sono spesso quelle decisive.

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