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Cuba, muore dissidente dopo 51 giorni di sciopero: “Lo hanno ucciso”

- di: Bruno Legni
 
Cuba, muore dissidente dopo 51 giorni di sciopero: “Lo hanno ucciso”

Yan Carlos González si è cucito bocca e occhi contro una condanna senza prove. La moglie accusa il regime. Silenzio dei media di Stato, protestano le ONG.

(Foto: Manuel Carrero Cruz, primo ministro di Cuba).

Una morte annunciata

A Cuba si può morire per aver dato fuoco a un campo di canna da zucchero. Ma si può morire soprattutto perché lo si fa da oppositore, in un Paese dove il dissenso non si processa: si punisce.

Yan Carlos González González, 45 anni, è morto l’8 luglio 2025 all’ospedale Arnaldo Milián Castro di Santa Clara dopo 51 giorni di sciopero della fame. Era detenuto nel carcere La Pendiente, condannato a 20 anni per “sabotaggio” e “danneggiamento di beni culturali e naturali”.

A maggio, per attirare l’attenzione su una giustizia che considerava cieca e feroce, si era cucito bocca e occhi. Ha poi iniziato uno sciopero della fame totale il 17 maggio, dopo aver gradualmente ridotto il cibo a partire dal 4 aprile.

La moglie Elena Pérez Uz ha raccontato: “Era già un morto che camminava quando lo hanno portato in ospedale”. Le sue parole sono un atto d’accusa netto: “Lo hanno trasformato in un prigioniero politico. È il sistema che lo ha condannato senza prove, e lo ha ucciso lentamente”.

Il caso e la condanna

González era stato arrestato a inizio 2024 a Villa Clara. Secondo l’accusa, avrebbe appiccato il fuoco a un campo di canna da zucchero. Nient’altro. Non una vittima, non un danno reale stimato, non un impianto distrutto.

Eppure, la sentenza del Tribunale provinciale parla chiaro: 20 anni. Per l’ONG Cubalex, “il caso di González è emblematico: un processo farsa, nessuna prova concreta, solo la volontà politica di reprimere un dissidente”.

Negli ultimi mesi l’uomo aveva più volte denunciato violenze, isolamento e mancanza di cure mediche adeguate nel carcere. Il 30 giugno era già in condizioni critiche per disidratazione e un’insufficienza renale avanzata. Ma il trasferimento in ospedale è avvenuto solo il 1° luglio, una settimana prima della morte. Troppo tardi.

La protesta estrema

Yan Carlos non è il primo dissidente cubano a scegliere lo sciopero della fame. Il precedente più noto è quello di Orlando Zapata Tamayo, morto nel 2010 dopo 85 giorni senza cibo. Anche allora ci fu un’ondata di indignazione internazionale. Anche allora, tutto tornò alla normalità troppo presto.

Nel caso di González, la protesta ha preso una forma ancora più radicale. “Si è cucito gli occhi e la bocca per gridare il suo silenzio” ha detto la moglie. Un gesto disperato che ha fatto il giro dei canali indipendenti cubani in esilio, ma che sull’isola è stato silenziato.

Reazioni e silenzi

La morte di González ha generato reazioni immediate tra le ONG per i diritti umani e l’esilio cubano. Amnesty International ha chiesto l’apertura di un’indagine indipendente. “Non si può morire per un’opinione, né per un’accusa priva di fondamento. Questo è un caso di morte di Stato”.

Cubalex ha chiesto alla Commissione interamericana dei diritti umani di inserire il caso in una lista prioritaria di violazioni. Human Rights Watch ha definito la morte di González “una tragedia annunciata, conseguenza diretta di un sistema che criminalizza il dissenso e considera i diritti umani un lusso borghese”.

Il governo cubano non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale. La stampa nazionale non ha menzionato l’episodio. Né Granma, né Juventud Rebelde – le due principali testate del regime – ne hanno dato notizia. Un silenzio assordante, che secondo molti è parte integrante del problema.

La repressione continua

Secondo l’ultimo rapporto di Prisoners Defenders, aggiornato a giugno 2025, a Cuba ci sono almeno 1.093 prigionieri politici, tra cui minorenni e anziani. L’arresto di González si inserisce in una più ampia strategia repressiva che, soprattutto dopo le proteste popolari del luglio 2021, ha fatto registrare un’impennata di condanne draconiane.

Tra i più noti ancora detenuti ci sono artisti come Luis Manuel Otero Alcántara, leader del Movimento San Isidro, e numerosi membri di gruppi religiosi, studenti e giornalisti indipendenti. “Cuba è oggi una prigione a cielo aperto per chiunque osi pensare con la propria testa”, ha commentato lo scrittore cubano in esilio Carlos Manuel Álvarez.

Una storia che non si chiude

La morte di Yan Carlos González non chiude una vicenda: la apre. Perché solleva interrogativi pesanti sullo stato di diritto, sulle condizioni carcerarie, sull’impunità dei processi politici a Cuba. Ma anche sul silenzio internazionale che continua a circondare l’isola quando non ci sono telecamere puntate o interessi strategici coinvolti.

La moglie, Elena Pérez Uz, ora chiede giustizia. Ma in un Paese dove la giustizia è spesso strumento del potere, la sua voce rischia di perdersi nel vuoto. “Yan Carlos ha dato la vita per la verità – ha detto –. E la verità, prima o poi, farà il suo corso”.

Ma quel “prima o poi” rischia di essere un’altra condanna. Per un popolo intero.

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