Proteste in oltre dieci facoltà contro le nuove tariffe internet. “È apartheid digitale”. La risposta di L’Avana? Incolpare gli Usa.
(Foto: il presidente della Repubblica di Cuba, Miguel Diaz-Canel Bermudez).
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La miccia accesa da un giga
È bastato un annuncio di ETECSA, l’unico operatore telefonico di Cuba, per far esplodere il malcontento: a partire da giugno, i pacchetti dati saranno accessibili solo in valuta estera e con una soglia mensile massima di 360 pesos cubani per le ricariche interne. Un colpo per studenti e famiglie già schiacciati dall’inflazione e dalla crisi dei servizi. La risposta non si è fatta attendere: è iniziata una protesta che si è trasformata in un’ondata senza precedenti.
Dalle aule alla piazza: il tam-tam digitale
La prima ad alzare la voce è stata la Facoltà di Matematica dell’Università dell’Avana. Da lì, il contagio: Biologia, Filosofia, Storia, Sociologia. “Non è uno sciopero: è un grido collettivo”, scrivono gli studenti in un comunicato pubblicato su 14ymedio, il portale fondato dalla giornalista Yoani Sánchez. “ETECSA ci taglia fuori, ci isola, ci umilia. Lo fa in pesos, ma l’effetto è in dollari”.
Oggi, secondo El País, sono almeno dieci le facoltà in sciopero, in cinque diversi atenei. Un dato che fa tremare il governo, preoccupato per la capacità degli studenti di coordinarsi, scambiarsi messaggi, pubblicare video. Sì, proprio grazie a quella rete sempre più costosa che ora vogliono rendere inaccessibile.
Il governo rispolvera il manuale della crisi
Come da copione, il regime non ammette crepe. Secondo la versione ufficiale, le proteste sono alimentate “da forze ostili agli interessi della rivoluzione”, ovvero dagli Stati Uniti. Ma il tono è nervoso. “Il panico si sente nei corridoi del potere”, scrive ancora 14ymedio oggi. La Federazione degli Studenti Universitari (Feu), da sempre considerata allineata con il governo, è in frantumi. “La Feu non ci rappresenta più”, affermano i rappresentanti della facoltà di Biologia in una lettera aperta. Alcuni chiedono le dimissioni del presidente della federazione.
Dollari per studiare, o per connettersi?
Il cuore della protesta è tutto lì: l’accesso alla rete è diventato il nuovo diritto da difendere. Secondo le stime di Cibercuba, ETECSA propone agli studenti pacchetti da 12 giga a circa 30 dollari mensili, in un Paese dove lo stipendio medio statale è attorno ai 20 dollari. “È apartheid digitale”, scrive El País in un durissimo editoriale. E gli studenti lo ripetono in coro, online e nei cortili universitari.
Alcune università – tra cui la UCI, centro nevralgico per l’informatica – hanno aperto il WiFi nelle aree comuni per placare le tensioni, ma il gesto è apparso tardivo e insufficiente. “Non vogliamo l’elemosina del WiFi. Vogliamo poter studiare, informarci, comunicare come cittadini”, ha detto uno studente a Diario de Cuba, chiedendo di restare anonimo.
Una generazione connessa non torna indietro
Le manifestazioni di questi giorni sono le più organizzate dal luglio 2021, quando le proteste contro la crisi economica e sanitaria furono represse nel sangue. Oggi c’è una differenza: i giovani non solo protestano, ma documentano, trasmettono, archiviano. Una generazione nata con lo smartphone in tasca, pronta a fare della connessione un diritto politico.
Il governo si trova di fronte a un bivio: cedere, o reprimere. Per ora, ha concesso qualche apertura, ma senza toccare la sostanza. La partita è appena iniziata. E la posta in gioco non è solo il costo del traffico dati: è il diritto di parola, di scambio, di critica. In un’isola dove ogni byte è un atto di resistenza.