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Cucina italiana candidata Unesco: un volano da 18 milioni di presenze. Ma le imprese chiedono politiche strutturali

- di: Alberto Venturi
 
Cucina italiana candidata Unesco: un volano da 18 milioni di presenze. Ma le imprese chiedono politiche strutturali

L’eventuale iscrizione della cucina italiana nel patrimonio immateriale dell’Unesco non avrebbe un valore soltanto simbolico. Le prime stime elaborate da Fiepet Confesercenti, sulla base dei dati Banca d’Italia, Unioncamere e Movimprese, mostrano un potenziale impatto immediato sul turismo: tra il +6% e il +8% di presenze nei primi anni, con un successivo assestamento su una crescita più moderata, tra il +2% e il +3% nei cinque anni successivi.

Cucina italiana candidata Unesco: un volano da 18 milioni di presenze

In termini assoluti, la spinta derivante dal riconoscimento potrebbe tradursi in circa 18 milioni di presenze aggiuntive in due anni. Una dinamica che arriverebbe in un contesto in cui il turismo internazionale verso l’Italia ha già ripreso vigore e in cui la leva gastronomica sta assumendo un peso crescente nelle scelte di viaggio.

Un’opportunità per filiere e territori
L’effetto immagine sarebbe immediato e permeante: dalla dieta mediterranea alle eccellenze territoriali, dal patrimonio agroalimentare ai territori rurali che ne sono il cuore produttivo. L’Unesco, spiegano dalla Fiepet, offrirebbe un’ulteriore piattaforma per consolidare l’appeal dell’Italia nei mercati esteri, stimolando al tempo stesso la domanda interna per modelli alimentari sani e accrescendo il potenziale dell’export agroalimentare, che negli ultimi anni è già in forte espansione.

Il riconoscimento agirebbe come una leva promozionale trasversale: ristorazione, accoglienza, produzione agroalimentare di qualità, formazione professionale, attrattività dei borghi. Tutti comparti che potrebbero beneficiare di un effetto reputazionale difficilmente replicabile con campagne commerciali.

Banchieri (Fiepet): “Serve una strategia, non solo l’effetto annuncio”
Per il presidente Giancarlo Banchieri, riconfermato alla guida di Fiepet Confesercenti (nella foto), i benefici “sarebbero quasi automatici”, ma la loro sostenibilità nel tempo dipende da quanto il Paese saprà accompagnare un’eventuale decisione del Comitato intergovernativo dell’Unesco — atteso a New Delhi tra l’8 e il 13 dicembre — con politiche adeguate.

«Un riconoscimento Unesco – osserva Banchieri – funzionerebbe da moltiplicatore per turismo, economia e immagine del Paese. Ma perché la spinta si traduca in sviluppo reale servono politiche lungimiranti: semplificazione amministrativa, incentivi agli investimenti, formazione qualificata e un quadro regolatorio stabile per le imprese».

Il nodo più pressante resta quello del personale. Una ristorazione su due fatica a trovare lavoratori, non solo per scarsità di candidature ma per la mancanza di competenze adeguate. «Le imprese – prosegue Banchieri – hanno anche bisogno di lavoratori dall’estero, ma serve un salto di qualità: formazione nei Paesi di origine, percorsi di integrazione, sostegni concreti. Per ora, molti operatori hanno fatto tutto da soli».

Settore in crescita, ma frenato dai vincoli strutturali
Il rischio è che il mismatch tra domanda e offerta di lavoro continui a rappresentare un freno mentre le opportunità si moltiplicano. Il comparto della ristorazione, già alle prese con inflazione dei costi, bisogno di investimenti in digitalizzazione e sostenibilità, e la crescente competizione internazionale, guarda al riconoscimento Unesco come a un’occasione per rafforzare la propria competitività — a condizione che l’amministrazione pubblica accompagni il percorso.

Con una filiera che genera oltre il 15% del fatturato complessivo del turismo e che incrocia settori strategici come l’agroindustria e l’housing turistico, l’eventuale sì di New Delhi potrebbe diventare una leva di politica economica oltre che culturale.

Ora la parola passa all’Unesco. Ma, sottolineano da Confesercenti, la vera sfida inizierà il giorno dopo: trasformare un riconoscimento culturale in una infrastruttura economica stabile, capace di sostenere crescita, lavoro e qualità dell’offerta.

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