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Meloni ferma sui dazi, mentre Trump colpisce: così l’Italia rischia di andare a sbattere

- di: Giuseppe Castellini
 
Meloni ferma sui dazi, mentre Trump colpisce: così l’Italia rischia di andare a sbattere
La premier resta in silenzio davanti ai dazi americani basati su falsità, mentre le imprese italiane rischiano perdite pesanti. Le opposizioni: “Serve una risposta in Aula, non un pellegrinaggio a Washington”.
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Giorgia Meloni continua a tacere. E mentre lo fa, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti si preparano a subire un colpo durissimo, causato da una raffica di dazi annunciati da Donald Trump e giustificati con numeri che non reggono a nessuna verifica. Una scelta che penalizza anche i consumatori americani – destinati a pagare prodotti europei più cari – ma che colpisce soprattutto un’Italia lasciata scoperta da un governo attendista, più preoccupato di non irritare l’ex presidente che di difendere il proprio tessuto produttivo.
Le accuse delle opposizioni si fanno ogni giorno più feroci. “Meloni è rimasta finora inerte, attendendo di essere ricevuta dalla Casa Bianca da Trump, e invece è stata ricevuta solo al congresso di Calenda”, attacca Giuseppe Conte, che denuncia una strategia fallimentare: abbandonare l’asse con la Cina, uscire dalla Via della Seta, senza costruire un piano alternativo in grado di proteggere le esportazioni italiane.
Elly Schlein rincara la dose: “Giorgia Meloni ha usato il condizionale fino a ieri per non urtare l’amico Donald e fa arrivare l’Italia impreparata a questo disastro”. Dazi “devastanti”, che colpiranno “imprese e lavoratori” e che rivelano l’inconsistenza dell’asse tra la destra italiana e l’America trumpiana. Matteo Renzi è tagliente: “Questa destra fa male, fa male a tutti, forse finalmente il mondo produttivo lo capirà”.
Il danno è concreto: secondo le stime, l’impatto dei dazi sull’economia italiana potrebbe superare mezzo punto di PIL. Il settore agroalimentare, la meccanica di precisione, il lusso, i veicoli industriali: colonne dell’export nazionale che rischiano di vedere le proprie merci respinte da tariffe punitive, decise unilateralmente da un presidente ossessionato dal protezionismo e dalla guerra commerciale.
E tutto questo sulla base di dati infondati. Le accuse lanciate da Trump sull’eccesso di export europeo verso gli USA sono state smentite da economisti indipendenti e dallo stesso Ufficio studi del Congresso americano: il disavanzo commerciale è molto meno ampio di quanto affermi l’ex presidente, e tiene conto di dinamiche globali, non di dumping o scorrettezze. Ma Trump non cerca verità: cerca nemici.
Nel mirino, però, non c’è solo l’Europa. Questi dazi danneggiano anche il consumatore statunitense, che si troverà a pagare di più per il parmigiano, l’olio, i macchinari italiani. Un boomerang che potrebbe ritorcersi anche contro l’economia americana. Ma la strategia trumpiana – divide et impera – punta proprio a spezzare il fronte europeo. E Meloni, con il suo silenzio, gioca esattamente questa parte.
Un’ambiguità che Bruxelles non può più permettersi. Come ha detto il presidente Mattarella, serve una risposta “forte e unitaria”. Ma l’Italia, invece di guidarla, la sta sabotando. “Meloni rischia di diventare complice della politica di Trump contro il Made in Italy”, ha denunciato Nicola Zingaretti da Bruxelles. E Carlo Calenda, ironizzando su Salvini, lo inchioda: “Dovresti decidere se continuare a fare la groupie di Trump o preoccuparti dell’interesse nazionale”.
In nome della “prudenza” – parola usata da Meloni in un’intervista– il governo italiano si è infilato in un vicolo cieco. Non ha sostenuto la Commissione Ue nella minaccia di controdazi sulle Big Tech, non ha partecipato con decisione al fronte comune con Francia e Germania, e ha preferito aspettare. Ma ora il tempo è scaduto.
L’Italia sta per pagare un prezzo altissimo per la sua sudditanza strategica a Washington. Un prezzo che non si limita all’economia: si tratta di credibilità, autonomia e voce in capitolo nelle scelte europee. Mentre l’Europa inizia a reagire, Meloni continua a giocare una partita personale, pensando a futuri incontri bilaterali e lasciando il Paese scoperto nel momento più delicato.
Se davvero il governo italiano vuole difendere gli interessi nazionali, è ora che la premier lasci da parte i tweet prudenti e si presenti in Aula con una strategia. Altrimenti sarà troppo tardi.

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