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Export italiano, sprint Usa: perché i dazi non frenano la corsa

- di: Marta Giannoni
 
Export italiano, sprint Usa: perché i dazi non frenano la corsa
Export italiano, sprint Usa: perché i dazi non frenano la corsa
Dati Istat alla mano, l’Italia torna a correre sui mercati internazionali. A settembre 2025 le vendite all’estero sono aumentate del 10,5% in valore e del 7,9% in volume rispetto a settembre 2024, recuperando lo scivolone di agosto e segnando un deciso cambio di passo.
A sorpresa, il motore principale è proprio il mercato statunitense, dove l’export italiano mette a segno un balzo di oltre il 34% su base annua, nonostante i nuovi dazi introdotti da Washington. Sullo sfondo, però, si vede chiaramente unaItalia a due velocità: l’industria spinge, l’agroalimentare made in Italy soffre.

Il governo esulta e rilancia: il ministro degli Esteri Antonio Tajani ribadisce l’obiettivo di portare il valore dell’export a 700 miliardi di euro entro il 2027, rispetto ai circa 623,5 miliardi dell’ultimo anno pienamente consuntivato. Una scommessa ambiziosa che si gioca tra diplomazia economica, dazi, fluttuazioni del dollaro e la capacità del sistema produttivo italiano di presidiare i mercati ad alto potenziale.

I numeri di settembre: recupero dopo lo stop di agosto

I dati diffusi dall’Istat il 14 novembre 2025, relativi al commercio con l’estero di settembre, segnano una netta inversione di tendenza rispetto al mese precedente. Su base congiunturale (cioè rispetto ad agosto 2025), le esportazioni crescono del 2,6%, mentre le importazioni aumentano del 4,1%. Su base tendenziale (confronto con settembre 2024) il quadro è ancora più robusto: export +10,5% in valore e +7,9% in volume, dopo i cali registrati ad agosto sia in termini monetari sia di quantità.

Il rimbalzo riguarda sia i partner dell’Unione europea sia i mercati extra Ue: le vendite verso i Paesi Ue crescono del 10,2%, quelle verso l’area extra Ue del 10,9%. Un dato che conferma come la ripartenza non sia circoscritta a un solo blocco geografico ma rifletta una domanda complessivamente più vivace per il made in Italy, anche se con significative differenze da settore a settore.

Il miglioramento si riflette anche sulla bilancia commerciale. Secondo le elaborazioni del Ministero degli Esteri sui dati Istat, nei primi nove mesi del 2025 il surplus commerciale italiano si attesta intorno ai 35 miliardi di euro e salirebbe oltre i 70 miliardi se si escludesse la componente energetica. Un cuscinetto importante in una fase in cui l’economia globale procede a velocità ridotta.

Gli Stati Uniti tirano la volata all’export italiano

Se si guarda al dettaglio dei mercati extra Ue, un dato spicca su tutti: a settembre 2025 l’export verso gli Stati Uniti vola di oltre il 34% rispetto allo stesso mese del 2024. L’Istat segnala un incremento di circa il 34,4% su base annua, trainato in parte da forniture di mezzi di navigazione marittima ad altissimo valore. Anche depurando il dato da queste commesse eccezionali, la crescita resta comunque a doppia cifra.

Il balzo arriva subito dopo il forte calo di agosto, quando le spedizioni dall’Italia agli Usa avevano registrato una flessione nell’ordine del 20% su base annua. Gli analisti parlano di un effetto “frontloading al contrario”: nella prima parte dell’anno, molte imprese avrebbero anticipato le spedizioni per mettersi al riparo dai dazi decisi dall’Amministrazione statunitense, generando un picco iniziale e un successivo vuoto. A settembre, con l’aggiustamento dei flussi e alcune esenzioni mirate su specifiche categorie di prodotti, le esportazioni sono tornate a salire con forza.

Non va trascurato neppure il lato delle importazioni: sempre a settembre, gli acquisti italiani dagli Stati Uniti risultano in forte crescita rispetto all’anno precedente, riflettendo sia il peso dei prodotti energetici sia quello delle tecnologie avanzate e dei macchinari. Il saldo dell’interscambio bilaterale con Washington rimane comunque in avanzo per l’Italia, con un surplus di quasi 2 miliardi di euro nel solo mese di settembre, in miglioramento rispetto ad agosto.

Nel complesso, gli Stati Uniti si confermano uno dei principali mercati di sbocco per il made in Italy, e in questa fase sono il Paese che offre il contributo più consistente alla crescita dell’export nazionale. Subito dietro, nelle statistiche Istat, compaiono Francia, Polonia, Spagna, Svizzera e Germania, mentre i Paesi Opec mostrano un incremento dell’ordine del 24% su base annua.

Il rovescio della medaglia: l’agroalimentare made in Italy soffre

Dietro la cifra complessiva dell’export, però, si nasconde un comparto che arranca: l’agroalimentare. Secondo l’analisi dell’ufficio studi di Cia–Agricoltori Italiani, a settembre il settore registra il quarto mese consecutivo di calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti, con una flessione a doppia cifra di circa l’11% solo nel mese e una perdita complessiva di centinaia di milioni di euro dall’inizio dell’anno.

In un recente aggiornamento, la Cia ha calcolato che, considerando il periodo estivo da giugno a settembre 2025, rispetto allo stesso quadrimestre del 2024, sono “evaporati” quasi 282 milioni di euro di prodotti agroalimentari italiani sul mercato Usa. Già a metà settembre, un precedente studio stimava in circa 600 milioni il valore dell’export perso tra gennaio e luglio 2025 a causa della combinazione tra i nuovi dazi e il rallentamento dei consumi statunitensi.

I prodotti più colpiti sono quelli simbolo del made in Italy alimentare: vino, formaggi Dop, olio extravergine d’oliva, pasta, salumi. La Cia parla di aziende schiacciate tra l’aumento dei costi di produzione e la difficoltà di ritoccare i listini in un mercato iper-competitivo, dove i buyer americani cercano in parte sostituti più economici, in parte spostano ordini su altri Paesi non colpiti dai dazi.

La confederazione agricola, rivolgendosi al governo italiano e alle istituzioni europee, chiede misure di sostegno mirate, come nuove campagne promozionali sul mercato nordamericano, fondi per la diversificazione dei mercati e, soprattutto, una pressione politica costante per ampliare la lista dei prodotti esentati dalle tariffe. Nel frattempo, per molte piccole e medie imprese dell’agroalimentare la priorità è semplicemente restare agganciate alla distribuzione statunitense.

Il piano del governo: quota 700 miliardi entro il 2027

Di fronte ai numeri positivi di settembre, il governo rivendica la propria strategia sull’export. Nel corso di diversi interventi pubblici e audizioni parlamentari, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha indicato come bussola un traguardo molto preciso: raggiungere i 700 miliardi di euro di esportazioni annue entro la fine della legislatura, nel 2027, partendo da un livello intorno ai 623,5 miliardi.

Alla Camera, l’11 settembre 2025, Tajani ha ricordato il peso dell’export per la nostra economia: “L’obiettivo che mi sono dato è arrivare a 700 miliardi di export all’anno entro la fine del 2027, visto che oggi siamo intorno ai 623,5 miliardi. Vogliamo rafforzare la nostra presenza nei mercati a più alto potenziale e consolidarla in quelli tradizionali”, ha spiegato il ministro, sottolineando il ruolo della diplomazia economica.

Il Piano d’azione per l’export, presentato dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale nel 2025, punta infatti su un doppio binario. Da un lato la difesa e l’espansione delle quote di mercato nei Paesi storici di riferimento – come Germania, Francia e Stati Uniti – dall’altro un’offensiva su aree considerate di “alto potenziale”: India, Sud-est asiatico, Paesi del Golfo, Canada, Messico, alcune economie africane in rapida crescita.

In questo quadro, gli accordi bilaterali, le missioni del Sistema Italia e gli strumenti pubblici di sostegno all’internazionalizzazione (dalle garanzie Sace ai fondi per la promozione) vengono presentati come leve per accompagnare le imprese nel salto di scala. Resta però aperta la questione di quanto velocemente il tessuto produttivo, fatto in larga parte di piccole e medie imprese, riuscirà a sfruttare davvero queste opportunità.

I settori che corrono: farmaceutica, metalli e mezzi di trasporto

La fotografia per settori conferma che la ripresa dell’export è tutt’altro che omogenea. Dai dettagli diffusi dall’Istat emerge che a trainare la crescita tendenziale di settembre sono soprattutto:

  • Articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici, con un incremento di quasi il 40% rispetto a settembre 2024;
  • Metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti, in crescita di circa il 19%;
  • Mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli (inclusa la cantieristica navale), con aumenti nell’ordine del 25–30%;
  • Macchinari e apparecchi n.c.a. (non classificati altrove), in salita di oltre il 7%;
  • Prodotti alimentari, bevande e tabacco, comunque in crescita di circa il 7% complessivo, pur con le difficoltà specifiche sul mercato Usa.

Al contrario, registrano una flessione l’export di articoli sportivi, giochi, strumenti musicali, preziosi e strumenti medici, che scendono di oltre il 7% su base annua, e quello di sostanze e prodotti chimici, in lieve calo intorno all’1–2%. Segno che la domanda internazionale continua a premiare in modo particolare i comparti ad alto contenuto tecnologico e sanitario, ma resta più debole su alcuni beni di consumo non essenziali.

Dazi, dollaro, crescita mondiale: le incognite sulla strada dei 700 miliardi

I dati di settembre invitano all’ottimismo, ma non autorizzano trionfalismi. Sul percorso verso i 700 miliardi di export indicati dal governo si affollano diverse incognite. La prima riguarda proprio il dossier dazi con gli Stati Uniti. Le ultime mosse dell’Amministrazione statunitense, che ha alleggerito le tariffe su alcuni prodotti agricoli ritenuti strategici, hanno contribuito a rasserenare in parte il clima, ma una parte significativa del made in Italy agroalimentare continua a subire barriere tariffarie pesanti.

La seconda variabile chiave è l’andamento del cambio euro–dollaro. Un dollaro forte, come accaduto in più fasi degli ultimi anni, aiuta la competitività dei prodotti italiani sui mercati extra Ue, ma rende più costose le importazioni di energia e materie prime. Un euro troppo forte, al contrario, può comprimere i margini delle imprese esportatrici, in particolare quelle di piccola dimensione che hanno meno strumenti per coprirsi dal rischio cambio.

Infine, pesa il contesto della crescita mondiale rallentata. Molte economie avanzate viaggiano su tassi di espansione modesti, mentre alcune aree emergenti affrontano instabilità politica o tensioni sul debito. In questo scenario, per l’Italia diventa decisivo puntare non solo sui volumi, ma anche sulla capacità di spostare l’export su segmenti di fascia più alta, dove la concorrenza sul solo prezzo è meno feroce.

Cosa significa per imprese e lavoratori

Per le imprese italiane più dinamiche sui mercati esteri, il rimbalzo di settembre è una boccata d’ossigeno. Molte aziende della meccanica, della farmaceutica, della metallurgia e dei mezzi di trasporto possono contare su carnet ordini robusti e su clienti fidelizzati, che permettono di programmare investimenti e assunzioni con un po’ più di serenità.

Ma la fotografia non è uniforme. In particolare nel Mezzogiorno e nei settori più legati alla domanda interna, l’accesso ai mercati esteri resta ancora limitato. Per chi esporta poco o nulla, le statistiche record sull’export rischiano di rimanere numeri astratti. Ecco perché molti economisti insistono sulla necessità di affiancare alla diplomazia economica anche un forte investimento in competenza, innovazione e rete: competenze linguistiche e commerciali, digitalizzazione dei processi, capacità di aggregarsi tra imprese, utilizzo strutturale degli strumenti messi a disposizione da Sace, Ice, Simest.

Per i lavoratori, infine, l’andamento dell’export si traduce in opportunità occupazionali soprattutto nei comparti più integrati nelle catene globali del valore. Il rischio è che si allarghi il divario tra chi opera in filiere fortemente internazionalizzate e chi è impiegato in attività poco esposte ai mercati esteri, con salari e prospettive professionali molto differenti.

Una corsa da non dare per scontata

In sintesi, i dati di settembre dicono che l’export italiano è più forte dei dazi, almeno nel breve periodo, e che il made in Italy continua a esercitare un grande appeal, soprattutto negli Stati Uniti e nei principali partner europei. Ma ricordano anche che ci sono comparti – l’agroalimentare in primis – che rischiano di pagare un prezzo salato alla nuova stagione di protezionismo.

La sfida per i prossimi mesi sarà capire se il boom verso gli Usa rappresenti un nuovo trend o solo un rimbalzo tecnico dopo il crollo di agosto. E, ancora di più, se il target dei 700 miliardi potrà essere raggiunto con una crescita diffusa e non solo trainata da pochi settori e da alcune grandi commesse. Nel frattempo, per l’Italia che vende nel mondo settembre 2025 resta una tappa da segnare in agenda: la dimostrazione che, con politiche mirate e imprese reattive, anche i dazi non sono necessariamente una condanna.

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