Scendono i volumi, salgono i prezzi. I discount ringraziano, i negozi chiudono. I saldi arrivano, ma non salveranno i consumi.
La crisi silenziosa che svuota le borse della spesa
Gli italiani spendono di più, ma escono dai negozi con meno. È l’ennesimo scatto storto di un’economia che sembra crescere solo sullo scontrino. A maggio 2025, le vendite al dettaglio sono cresciute dell’1,3% in valore rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Ma i volumi – cioè le quantità effettive di beni acquistati – sono scesi dello 0,3%. In parole semplici: i prezzi salgono, i carrelli si svuotano.
Nel confronto con aprile, il quadro peggiora ulteriormente: -0,4% in valore e -0,5% in volume. E la flessione più forte si registra nei beni alimentari: -1,2% nei volumi, -0,9% in valore. La Pasqua, caduta ad aprile, giustifica solo in parte il calo. Il vero colpevole è l’inflazione, che continua a mangiarsi pezzo dopo pezzo il potere d’acquisto.
La grande fuga verso i discount
Aumenta la spesa, ma non nei negozi di quartiere. A maggio, la grande distribuzione ha registrato un +3,2% su base annua. Dentro questo dato si nasconde un dettaglio rivelatore: i discount alimentari volano con un +4,5%, più del triplo rispetto alla crescita media. I consumatori si spostano dove costa meno, e lo fanno in massa.
“Si sta consolidando un modello di consumo difensivo, in cui si privilegiano i punti vendita a basso prezzo e si rinuncia sempre più all’acquisto d’impulso”. I piccoli negozi arrancano: -0,4% in valore, e la prospettiva è ancora più cupa. Il commercio elettronico, dopo anni di espansione, segna -0,9%: segno che nemmeno il digitale è immune alla frenata.
I consumatori: “Non è una spesa, è una rinuncia”
La parola chiave è selezione. Le famiglie italiane stanno diventando chirurgiche nelle scelte: comprano solo lo stretto necessario, puntano sui prodotti in offerta e saltano del tutto intere categorie di beni non essenziali. Una strategia di sopravvivenza, non una libera scelta.
“I cittadini sono costretti a tagliare anche i beni primari. Aumenti di spesa senza aumenti di quantità significano inflazione ancora viva e pungente”.
Profumi su, cultura giù: gli squilibri nei beni non alimentari
Nel non alimentare, la frammentazione è totale. I settori in crescita sono profumeria e cura della persona (+4,3%) e supporti audio, strumenti musicali, foto e ottica (+2,7%). Un segnale, forse, del fatto che il benessere personale e l’intrattenimento privato resistono più del resto.
Ma per ogni nota positiva, c’è un tonfo: cartoleria, libri, giornali e riviste crollano del 3,5%, la tecnologia perde il 2,6%. In pratica, si taglia dove si può: lettura, cultura, informatica, tutto ciò che non è immediatamente necessario. È il ritorno a un consumo essenziale, spinto più dalla necessità che da una vera scelta.
Saldi al via, ma basteranno?
Il 5 luglio partono ufficialmente i saldi estivi in tutta Italia (escluse Trento e Bolzano). Secondo un’indagine realizzata con Ipsos, il 62% degli italiani approfitterà delle svendite, con una spesa media di 218 euro. L’impatto potenziale? Circa 3,5 miliardi di euro.
Ma il dato più interessante è un altro: il 53% degli acquirenti comprerà scarpe, il 50% abbigliamento. Mobili, elettrodomestici, arredamento: tutti fuori dai radar. “La stagione dei saldi può dare ossigeno, ma non invertirà il trend. Il problema resta strutturale: i consumi sono deboli perché le famiglie hanno le tasche vuote”.
Fisco e salari: le due spine nel fianco
La vera emergenza, però, non è nei saldi ma nei fondamentali. Le associazioni del commercio chiedono da mesi una riforma fiscale capace di liberare risorse vere per i consumatori. “Non bastano piccoli aggiustamenti. Servono interventi strutturali per alleggerire il carico fiscale e dare sostegno concreto alle attività di vicinato, sempre più in difficoltà”.
Il mercato del lavoro migliora lentamente, l’inflazione è in discesa (a giugno è scesa all’1,8% nell’area euro), i tassi BCE sono stati tagliati per la seconda volta il 6 giugno. Ma nulla di tutto questo, per ora, si riflette sui portafogli delle famiglie.
I negozi chiudono, le città si svuotano
Dietro ogni -0,4% c’è una saracinesca abbassata. La desertificazione commerciale non è più un rischio, ma una realtà in atto. In molti centri urbani, soprattutto nei piccoli comuni, il tessuto commerciale è in sofferenza cronica. Meno vendite, meno margini, meno personale.
Nel primo semestre 2025 hanno chiuso circa 14.000 esercizi commerciali. Il saldo tra aperture e chiusure è negativo anche nelle grandi città. La progressiva sparizione dei negozi di vicinato ha conseguenze anche sociali: meno presidio del territorio, meno coesione urbana, più insicurezza percepita.
Un Paese che tira avanti a sconti
L’Italia dei consumi 2025 è un Paese che tira avanti a colpi di offerte e saldi. Un Paese che ha imparato a spendere poco, ma non ha ancora imparato a risparmiare. Dove si risparmia non perché si vuole, ma perché si deve.
La vera emergenza non è nel dato mensile, ma nella tendenza: un’economia che cresce solo nel prezzo, non nella sostanza. Se a ogni euro speso corrisponde meno valore reale, allora il problema non è il carrello, ma tutto ciò che lo precede: redditi bassi, pressione fiscale alta, consumi compressi.
I saldi, per ora, servono solo a mascherare la fatica. Ma non durano. E quando finiscono, la realtà torna a presentare il conto.