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Prestiti al rallentatore, Bot people in corsa

- di: Bruno Legni
 
Prestiti al rallentatore, Bot people in corsa
Prestiti al rallentatore, Bot people in corsa
Il credito a famiglie e imprese torna a crescere ma perde velocità, mentre l’Italia si scopre sempre più “popolo dei Bot”: i risparmiatori riempiono il portafoglio di titoli di Stato, spinti da rendimenti ancora generosi e da una fiducia rafforzata sul debito pubblico.

Prestiti che crescono ma non decollano

A ottobre 2025 i prestiti complessivi delle banche italiane a famiglie e imprese sono aumentati di circa l’1,5% su base annua, in rallentamento rispetto al +1,7% di settembre. La corsa del credito, insomma, c’è ma procede con il freno a mano tirato, soprattutto sul fronte delle aziende.

Per le famiglie si registra il decimo mese consecutivo di crescita dei finanziamenti: mutui per la casa, prestiti personali e credito al consumo stanno beneficiando di tassi in graduale discesa rispetto ai picchi del 2023. Per le imprese, invece, la dinamica positiva è più recente e fragile: siamo al quarto mese di aumento dopo un biennio segnato da calo della produzione industriale, costi energetici esplosivi e una lunga fase di attesa sugli investimenti.

Il costo del denaro resta comunque più basso rispetto ai massimi toccati durante la stretta anti-inflazione. Il tasso medio sui prestiti bancari a famiglie e imprese si colloca intorno a poco meno del 4%, in calo rispetto al picco sfiorato nell’autunno 2023, mentre sui nuovi mutui casa l’onere si aggira attorno al 3,3%. Numeri che segnano un sollievo rispetto ai mesi più duri, ma che restano ben sopra la normalità pre-2022, quando l’inflazione non aveva ancora costretto la Banca centrale a blindare il credito.

Il vice direttore generale vicario dell’Associazione bancaria italiana, Gianfranco Torriero, lo ha riassunto con prudenza: «È positivo vedere il credito tornare a crescere dopo due anni difficili, ma non possiamo parlare di una vera accelerazione finché l’economia non offrirà più certezze», ha spiegato, sottolineando come la dinamica dei prestiti sia ancora innanzitutto una questione di domanda debole da parte delle imprese.

Bot people, chi sono e perché raddoppiano

Mentre il credito procede a passo misurato, sul fronte del risparmio si consuma una piccola rivoluzione silenziosa. Famiglie e imprese italiane detengono oggi circa 442,4 miliardi di euro di titoli di Stato (Bot, Btp e altri strumenti), pari a circa il 14,4% del debito pubblico complessivo. È quasi il doppio rispetto al 7,9% scarso che si registrava nel 2021, quando la loro quota di Btp in portafoglio si fermava poco sopra i 200 miliardi.

In quattro anni è quindi raddoppiato il peso dei risparmiatori domestici sul finanziamento del debito pubblico: un fenomeno che ha riportato in auge l’espressione “Bot people”, usata per descrivere un Paese che, dopo anni di disaffezione verso i titoli di Stato, torna a considerarli un pilastro del proprio patrimonio finanziario.

Le ragioni sono molteplici. Da un lato i rendimenti elevati offerti durante la fase di stretta monetaria, dall’altro il grande successo delle emissioni dedicate al retail – Btp Italia, Btp Valore, Btp Più – che hanno riportato in massa allo sportello e alle piattaforme di trading online i piccoli risparmiatori.

A spingere la domanda ci sono anche la percezione di una maggiore stabilità politica e la sensazione che il rischio di scossoni sul debito italiano sia, almeno nel breve periodo, meno acuto di qualche anno fa. In parallelo, la quota di Btp detenuta dall’Eurosistema – la Banca centrale europea tramite la Banca d’Italia – sta gradualmente scendendo per effetto della fine degli acquisti straordinari post-pandemia, mentre si rafforza il peso degli investitori esteri, ormai vicini a un terzo del totale.

In questo quadro, il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, ha rivendicato il ruolo degli istituti: «Il settore bancario si conferma un pilastro di stabilità per il sistema finanziario italiano, accompagnando cittadini e imprese nella gestione del risparmio e nell’acquisto dei titoli di Stato», ha sottolineato, richiamando la responsabilità delle banche nel coniugare raccolta e sostegno all’economia reale.

Domanda di credito debole e incertezze delle imprese

Se i Bot people corrono, le imprese continuano invece a fare i conti con un clima di incertezza. Sul fronte reale, l’economia italiana è reduce da un secondo trimestre in lieve contrazione e da un terzo trimestre sostanzialmente stagnante. Un contesto che rende comprensibile la prudenza nel chiedere nuovo credito per ampliare capannoni, comprare macchinari o lanciarsi su nuovi mercati.

Anche l’indagine sul credito bancario condotta dalla Banca centrale europea conferma il quadro: nel terzo trimestre del 2025 le banche dell’area euro hanno segnalato un irrigidimento dei criteri di concessione dei prestiti alle imprese, legato sia al maggior rischio percepito sia alle tensioni geopolitiche e ai dazi che pesano sulle catene globali del valore. La domanda di prestiti aziendali è rimasta nel complesso fiacca, con le imprese che preferiscono utilizzare liquidità accumulata negli anni scorsi o rimandare i progetti più ambiziosi.

In Italia, questa fotografia europea si traduce in un mix particolare: da un lato le aziende di dimensioni medio-grandi e quelle dei servizi – turismo, digitale, logistica, sanità privata – continuano a investire e a chiedere credito; dall’altro la manifattura più esposta ai mercati internazionali resta in attesa di capire l’effetto delle nuove regole commerciali e del riassetto delle filiere.

Un quadro che, come spiegano i tecnici dell’Abi, rende ancora prematuro parlare di svolta. «La dinamica dei prestiti alle imprese mostra segnali di ripresa, ma i volumi restano inferiori ai livelli precedenti agli shock del 2022 e del 2023», osservano dagli uffici studi dell’associazione bancaria, ricordando che solo i dati di fine anno diranno se la crescita del credito resterà stabilmente sopra l’1% o se assisteremo a un nuovo rallentamento.

I tassi Bce, dai tagli al “pausa e verifica”

Sullo sfondo di questi numeri c’è la scelta della Banca centrale europea, che tra giugno 2024 e metà 2025 ha avviato un percorso di otto tagli consecutivi dei tassi di interesse, portando il tasso sui depositi dal picco del 4% a circa il 2%. Da settembre 2025 in avanti, però, Francoforte ha preferito fermarsi e passare a una fase di “pausa vigilante”, mantenendo invariato il costo del denaro e legando eventuali mosse future all’evoluzione dell’inflazione e della crescita.

Secondo la stessa Bce, l’inflazione nell’area euro appare ormai più vicina all’obiettivo del 2% a medio termine, ma i rischi non sono del tutto svaniti: eventuali nuovi shock sui prezzi dell’energia o sulle materie prime potrebbero rimettere pressione sulle famiglie e costringere a un ripensamento del percorso dei tassi.

Per il momento, la combinazione fra tassi più bassi rispetto ai massimi e criteri di offerta ancora prudenti produce un effetto ambivalente: i prestiti tornano a salire, ma senza riallinearsi ai ritmi del passato, mentre il risparmio sceglie sempre più spesso titoli di Stato e depositi vincolati, che a ottobre hanno offerto rendimenti medi poco sopra il 2%.

Il test dei rating e la fiducia sul debito

La ritrovata passione per Bot e Btp si alimenta anche dello sguardo delle agenzie di rating. Nel maggio 2025 Moody’s ha confermato il rating dell’Italia a Baa3, l’ultimo gradino dell’investment grade, ma ha alzato l’outlook da “stabile” a “positivo”, riconoscendo una migliore traiettoria dei conti pubblici, un contesto politico più stabile e bilanci di famiglie e imprese giudicati robusti.

Da allora i rendimenti dei titoli italiani si sono mossi in un corridoio relativamente tranquillo, con lo spread con il Bund tedesco rimasto sotto controllo anche in vista del nuovo esame di Moody’s di fine novembre. I mercati sembrano scommettere sull’assenza di una bocciatura, e questa percezione di stabilità si riflette anche nella scelta di molte famiglie di spostare una parte crescente dei risparmi dai conti correnti ai titoli di Stato.

È un passaggio non banale: un maggior coinvolgimento dei risparmiatori domestici nel finanziamento del debito significa, da un lato, maggiore resilienza di fronte ai cambi d’umore dei mercati internazionali; dall’altro, espone i patrimoni delle famiglie alle oscillazioni dei prezzi dei Btp, soprattutto in caso di futuri rialzi dei tassi o di nuove tensioni politiche.

Prospettive: credito, crescita e ruolo delle banche

Nei prossimi mesi l’evoluzione del credito bancario dipenderà da tre variabili chiave: la crescita effettiva dell’economia italiana ed europea, la traiettoria dei tassi Bce e la capacità delle imprese di trasformare gli utili degli ultimi anni in nuovi investimenti.

Se il Pil dell’area euro, che nel terzo trimestre 2025 è avanzato di circa lo 0,2% rispetto al trimestre precedente, dovesse consolidare una crescita moderata ma stabile, potremmo assistere a una ripresa più robusta della domanda di prestiti, soprattutto per investimenti innovativi in digitalizzazione, energia pulita e intelligenza artificiale. In caso contrario, la tendenza delle imprese a restare prudenti potrebbe prolungarsi, tenendo il credito su un binario di crescita modesta.

Le banche italiane, dal canto loro, si trovano in una posizione in cui devono bilanciare più obiettivi: continuare a rafforzare i propri bilanci dopo gli anni delle sofferenze, sostenere famiglie e imprese in una fase ancora incerta e, al tempo stesso, accompagnare i risparmiatori nella gestione di portafogli sempre più esposti al debito pubblico domestico.

Una cosa, però, è già chiara: la stagione del denaro facile è finita, ma non siamo più nemmeno nel pieno della stretta. Tra prestiti che crescono a passo ridotto e Bot people in piena forma, l’Italia si muove su un crinale sottile, in cui la fiducia – nel sistema bancario, nel debito pubblico, nella capacità di crescere – è la variabile più preziosa.

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