Uno studio dell’Osservatorio CPI di Cottarelli e Franzetti mostra che vivere a Milano costa fino al 70% più che in Basilicata. E, e si considerano questo, nel pubblico impiego le retribuzioni reali cambiano radicalmente tra le varie aree del Paese e tra comuni grandi e piccoli.
(Foto: Carlo Cottarelli).
Riemerge, come un nodo mai sciolto, il tema delle “gabbie salariali” in Italia. Ma, come affermano Carlo Cottarelli ed Enrico Franzetti in un’analisi dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (Osservatorio CPI), di cui Cottarelli è direttore e Franzetti economista junior, le vere disuguaglianze non derivano da contratti diversi, bensì dal diverso costo della vita. “A parità di lavoro e di stipendio nominale, chi vive dove tutto costa di più guadagna molto meno in termini reali”, osservano i due economisti.
Le vere gabbie del potere d’acquisto
Il report dell’Osservatorio CPI calcola che nelle aree metropolitane il costo della vita sia in media più alto dell’11% rispetto ai piccoli comuni. La forbice si allarga tra Nord e Sud: “nei piccoli comuni lombardi la vita costa il 43% in più che in quelli della Basilicata”, affermano Cottarelli e Franzetti, aggiungendo che tra Milano e Napoli la differenza raggiunge il 50%, mentre tra area metropolitana lombarda e piccolo comune lucano il divario supera il 70%.
Secondo l’indagine dell’Osservatorio, “questa disparità spiega perché in certe aree d’Italia è difficile trovare personale per il pubblico impiego”: retribuzioni nominalmente uguali si traducono in salari reali molto diversi, erodendo il potere d’acquisto e disincentivando i concorsi nelle regioni più costose.
Le differenze tra città e aree
Nel lavoro di Cottarelli e Franzetti, basato sulle soglie di povertà assoluta, emerge che il costo della vita cresce con la dimensione del centro abitato. “Le aree metropolitane sono in cima alla classifica in quasi tutte le regioni”, puntualizza il report, con Milano e Roma ai vertici e Palermo e Napoli più in basso.
L’Osservatorio CPI mostra che a Milano il paniere di spesa necessario è del 19% più caro rispetto a un piccolo comune lombardo, mentre a Roma la differenza sale al 20% rispetto ai centri minori del Lazio. In Piemonte, Campania e Sicilia le variazioni restano invece più contenute, “inferiori al 5%”, sottolineano gli autori.
Le macroregioni e la frattura Nord-sud
Cottarelli e Franzetti precisano che le differenze interne a Nord, Centro e Sud sono generalmente modeste, ma la spaccatura tra le macroaree è netta. “In un piccolo comune del Lazio la vita costa il 28% in più che in uno della Basilicata; tra Lombardia e Basilicata il divario sale al 43%”, evidenzia l’indagine.
Tra le aree metropolitane il confronto è altrettanto eloquente: vivere a Milano costa il 10% in più che a Roma o Firenze, ma oltre il 50% in più che a Napoli o Palermo. Dati che, come commentano gli autori, “disegnano un’Italia divisa non solo dal reddito, ma dai prezzi”.
Un problema di equità reale
“L’uguaglianza a parità di prestazione si avrebbe solo se la retribuzione fosse adeguata al costo della vita locale”, affermano Cottarelli e Franzetti, che vedono nelle rigidità del sistema pubblico il vero ostacolo all’equità. La mancanza di contrattazione di secondo livello impedisce di correggere gli squilibri: chi lavora a Milano o Torino guadagna nominalmente quanto un collega del Sud, ma spende molto di più per vivere.
Il risultato, conclude l’Osservatorio CPI, è un Paese dove le “gabbie salariali” non sono più imposte da legge o contratti, ma dai prezzi dei beni e dei servizi. “Non è più una questione ideologica, ma di semplice realtà economica: l’Italia non è uguale nel costo della vita, e dunque non può esserlo nelle retribuzioni reali”, rilevano Cottarelli e Franzetti.