Rubio e Lavrov si parlano ma non si vedono; la Casa Bianca congela l’incontro Trump-Putin. Rutte vola d’urgenza a Washington mentre Mosca accusa Ue e Nato di “sabotaggio”.
La partita di Budapest finisce prima di cominciare. Niente vertice Trump-Putin “nel prossimo futuro”: Washington lo congela dopo la telefonata tra Marco Rubio e Sergej Lavrov, definita “produttiva” ma priva di sbocchi concreti. Mosca rifiuta un cessate il fuoco immediato in Ucraina e ripropone condizioni che congelerebbero vantaggiosamente il fronte a est. Per la Casa Bianca, meglio evitare un’altra figuraccia dopo l’Alaska di Ferragosto.
La mossa americana
Il segnale è arrivato netto dalla West Wing: “Non ci sono piani per un incontro Trump-Putin nell’immediato”, spiegano fonti ufficiali. La scelta è politica e tattica insieme. Trump vuole un risultato rapido da rivendere e aveva lasciato filtrare l’ipotesi di chiudere “entro due settimane”. Ma senza una tregua verificabile rischierebbe l’ennesima foto-op a vuoto. A Rubio è bastata una call con Lavrov per capire che un faccia a faccia oggi non serve: il Cremlino non arretra sul nodo decisivo.
Le richieste di Mosca
Le condizioni russe non cambiano. Dietro i toni felpati, Mosca pretende il controllo pieno del Donbass e l’assenza di truppe Nato in Ucraina a intesa raggiunta. È la cornice “di pace duratura” che Vladimir Putin sbandiera da mesi, ma alle sue condizioni. In assenza di concessioni, Budapest diventa un miraggio e Kyiv ribadisce che non cederà territori. “La pressione resta l’unico modo per ottenere una pace giusta”, insiste il presidente Volodymyr Zelensky.
L’Europa tira il freno (e prende l’aereo)
Nel vuoto di risultati, l’Europa si muove. Il segretario generale Mark Rutte vola a Washington per un confronto urgente con Donald Trump. L’obiettivo è blindare la linea della tregua sui fronti attuali e coordinare il sostegno militare dei partner. Nessuna conferenza stampa prevista: segno che il dossier è rovente e che i margini di manovra restano ristretti.
Il controcanto del Cremlino
La contro-narrazione è la solita: “L’Ue è la forza più distruttiva sulla scena internazionale”, accusa il vice ministro Sergej Rjabkov, secondo cui “Ue e Nato tentano di far deragliare tutto”. Tradotto: se il vertice non si fa, la colpa è dell’Occidente. Dmitry Peskov prova a minimizzare: “Nessuna data era stata fissata, serve preparazione seria”. Ma il copione è già visto: rinvii, precondizioni, melina.
Perché salta davvero Budapest
Dietro le formule diplomatiche c’è un fatto semplice: gli addendi sono rimasti gli stessi. Trump cerca una tregua immediata da intestarsi; Putin vuole un accordo strutturale che ratifichi i guadagni sul terreno e limiti la Nato. Kyiv non accetta scambi territoriali. Risultato: stallo. E mentre il Cremlino alza l’asticella (minacciando di rompere con Washington in caso di Tomahawk a Kyiv), gli alleati preparano nuove misure su asset russi congelati e sanzioni.
Gli scenari
Nel breve termine, una tregua è improbabile senza un segnale tangibile da Mosca. Rutte proverà a ricompattare il fronte occidentale e a tenere Trump sul binario della pressione (militare ed economica). Kyiv spinge per armi a lungo raggio e garanzie di sicurezza. Budapest può tornare in agenda solo se il Cremlino ammorbidisce le sue condizioni massimaliste. Ad oggi, non è così.