Le firme e i numeri (che contano davvero)
A Pechino non si è consumata una semplice passerella: Russia, Cina e Mongolia hanno firmato un memorandum giuridicamente vincolante per costruire il gasdotto Power of Siberia 2 e il tratto di transito Soyuz Vostok attraverso la Mongolia, con capacità prevista di 50 miliardi di metri cubi l’anno. Parallelamente, Mosca e Pechino hanno concordato l’aumento dei flussi sulla linea già operativa Power of Siberia da 38 a 44 bcm/anno e sulla rotta dell’Estremo Oriente da 10 a 12 bcm/anno.
“The Power of Siberia 2 project will be the largest and the most capital-intensive project in the global gas industry”, ha rivendicato Alexei Miller, numero uno di Gazprom, rimarcando che prezzi e ripartizione dei costi saranno chiusi in negoziati separati.
La scelta politica dietro i tubi
I tubi sono geopolitica liquida. Con PS-2, Mosca consolida il pivot energetico verso l’Asia dopo il crollo dei volumi verso l’Europa; Pechino, dal canto suo, diversifica fonti e tracciati, assicurandosi forniture su orizzonte trentennale a condizioni competitive grazie a distanza, profilo dei giacimenti e nuove economie di scala.
La Mongolia non è un figurante: dopo il via libera tecnico, Ulaanbaatar offre stabilità di transito e spinge un proprio programma di gasificazione capace di cambiarne struttura energetica e manifattura.
La coreografia: parata, treni blindati e “vecchi amici”
Il calendario è un messaggio. Alla vigilia della parata per gli 80 anni della fine della Seconda guerra mondiale, Xi Jinping riceve Vladimir Putin mentre, in treno blindato, arriva anche Kim Jong-un. Xi e Putin si trattano da “old friends” e il leader cinese rilancia l’idea di un “sistema di governance globale più equo e ragionevole”.
Nato in allarme (con parole pesanti, non da cerimonia)
Mentre a Pechino scorrono strette di mano, il segretario generale Mark Rutte gira l’Europa su spesa e sostegno a Kiev. La sua linea è senza fronzoli: “We will build a better NATO. One that is stronger, fairer and more lethal”. L’Alleanza punta su riarmo accelerato e deterrenza industriale dopo due anni di guerra su larga scala.
Ucraina: le bombe arrivano mentre si firma il gas
Nella notte, un raid russo su Bila Tserkva (regione di Kiev) ha ucciso un civile e ferito altre persone: incendiati capannoni e garage, vetri in frantumi in diversi condomìni. È il promemoria più crudo: la guerra continua mentre altrove si annodano affari ventennali.
Intanto, secondo l’intelligence sudcoreana, sarebbero circa 2.000 i militari nordcoreani morti combattendo in Ucraina a supporto della Russia: una stima che quantifica l’estensione internazionale del conflitto.
Washington alza il prezzo (politico)
Negli Stati Uniti, il segretario al Tesoro Scott Bessent ha avvertito che, dopo le nuove ondate di bombardamenti russi, “all options are on the table” per ulteriori sanzioni. Sul fronte indo-pacifico, l’ex consigliere commerciale Peter Navarro ha attaccato l’allineamento tra Mosca e Pechino e, riferendosi a Putin e Xi, li ha definiti “the two biggest authoritarian dictators”.
Cosa cambia per l’Europa (e perché deve preoccuparsi)
- Minor leva europea sul gas russo, che consolida sbocchi asiatici pluridecennali.
- Necessità di blindare il phase-out residuo del metano russo, con norme più severe su hub e triangolazioni.
La coreografia politico-militare — parata a Tienanmen, presenza di Kim, passeggiata a Zhongnanhai — alimenta la narrativa di una multipolarità alternativa. Ma l’asimmetria resta: Pechino detta ritmo e prezzi, Mosca accetta pur di sostituire mercati perduti.
Messa in sicurezza energetica dell’asse Pechino-Mosca
Qui non c’è solo un gasdotto: c’è la messa in sicurezza energetica dell’asse Pechino-Mosca e la messa in scena di un ordine alternativo. L’Europa deve trarne una conclusione netta: accelerare su infrastrutture interne, contratti flessibili e politica estera coerente. Perché i tubi, quando arrivano a destinazione, cambiano gli equilibri più delle dichiarazioni.