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Cripto o contanti? I giovani alla conquista della finanza personale

- di: Matteo Borrelli
 
Cripto o contanti? I giovani alla conquista della finanza personale
Dai meme coin al libretto postale: guida semiseria alla sopravvivenza economica sotto i 30 anni.
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Cripto o contanti? I giovani alla conquista della finanza personale
È il paradosso del nostro tempo: mai come oggi i giovani parlano di soldi, ma mai come oggi sembrano averne così pochi. Redditi bassi, inflazione galoppante, precarietà cronica e costi della vita fuori controllo. In mezzo, un mondo finanziario sempre più complesso e opaco, diviso tra le vecchie sicurezze dei contanti e le nuove promesse delle criptovalute. Ma come ci si orienta, sotto i trent’anni, in questa giungla di investimenti, budget, conti online, app fintech e sogni di libertà finanziaria?
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Soldi liquidi e tasche vuote: il ritorno del contante (per chi ce l’ha)
Contrariamente a quanto si pensi, i contanti non sono affatto morti. Anzi: secondo un’indagine di Ipsos condotta a marzo 2025, oltre il 60% dei giovani italiani tra i 18 e i 30 anni continua a usare il denaro liquido almeno una volta al giorno. Perché? Perché è tangibile, immediato, non implica controlli, non manda notifiche giudicanti e – dettaglio non trascurabile – aiuta a limitare le spese impulsive. 
“Quando pago in contanti ho la sensazione di avere più controllo. Con la carta, invece, è come se i soldi non fossero veri”, racconta Anna, 26 anni, stagista in un’agenzia di comunicazione a Bologna. È una sensazione condivisa: la fisicità delle banconote, paradossalmente, tranquillizza. Ma è davvero una scelta consapevole o solo una difesa psicologica in un’epoca in cui l’educazione finanziaria latita?
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Criptovalute: moda passeggera o rivoluzione?
Ethereum, Bitcoin, Solana, meme coin come Dogecoin e Shiba Inu: il linguaggio cripto è ormai entrato nel lessico quotidiano dei giovani. Non tutti investono, ma in molti sono curiosi. Uno studio condotto da Consob nel febbraio 2025 evidenzia che circa il 18% dei giovani adulti tra i 20 e i 35 anni ha acquistato almeno una volta criptovalute. La motivazione principale? “Per provare”, “perché l’ha fatto un amico”, oppure – più di frequente – “perché magari ci faccio il botto”.
Ma attenzione: l’investimento in cripto resta altamente speculativo. L’oscillazione dei prezzi è estrema e spesso legata più alla viralità che ai fondamentali. Basta un tweet di Elon Musk o una battuta in un podcast per far crollare o esplodere il valore di una moneta.
Come ricorda Paolo Basilico, ex CEO di Kairos Partners,“le criptovalute sono strumenti che possono convivere con il sistema tradizionale, ma non possono sostituirlo senza una solida base regolamentare. Al momento sono un’avventura, non una garanzia”.
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Le app della nuova educazione finanziaria
Il digitale ha anche un volto positivo: per la prima volta, i giovani hanno accesso a strumenti semplici, intuitivi e – spesso – gratuiti per gestire il proprio denaro. App come Gimme5, Oval, Buddybank o Moneyfarm hanno rivoluzionato l’approccio al risparmio. Offrono micro-investimenti, portafogli automatizzati, consigli personalizzati. Alcune ti sfidano a mettere da parte un euro ogni volta che salti la palestra. Altre ti permettono di arrotondare gli acquisti e investire la differenza.
“Non si tratta solo di guadagnare, ma di costruire abitudini sane”, spiega Valentina De Santis, consulente finanziaria indipendente, durante un seminario per studenti organizzato all’Università di Torino. “Il risparmio, come l’allenamento fisico, è fatto di costanza e disciplina. Serve un piano, e serve tempo”.
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Lavoro e reddito: la vera base della piramide
Ma attenzione: tutta l’educazione finanziaria del mondo non risolve un problema strutturale. Se i giovani non guadagnano abbastanza, risparmiare è un’impresa. Secondo i dati ISTAT aggiornati ad aprile 2025, oltre il 34% dei giovani tra i 20 e i 34 anni ha un’occupazione precaria o saltuaria. L’OCSE certifica che l’Italia è penultima in Europa per retribuzioni d’ingresso nel mercato del lavoro. In pratica: mentre altrove un neolaureato guadagna 1.800 euro netti, da noi spesso si parte con meno di 1.200.
In questo contesto, parlare di piani di accumulo, fondi ETF o strategie di diversificazione suona spesso come un lusso. “È difficile parlare di investimenti quando a fine mese restano trenta euro in banca”, dice con amarezza Marco, 29 anni, operatore culturale freelance a Firenze.
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Il ruolo (assente) della scuola
La grande assente in tutto questo è l’educazione scolastica. L’economia domestica, la gestione del bilancio personale, il significato di un tasso d’interesse o le basi degli investimenti non fanno parte dei programmi ministeriali. Qualche iniziativa c’è – come quella della Banca d’Italia, che promuove corsi durante la Global Money Week – ma si tratta di eccezioni e non della regola.
“Servirebbe una materia obbligatoria, con esercitazioni reali e verifiche”, suggerisce Andrea Bellini, docente di scienze giuridiche al liceo Galilei di Perugia“I ragazzi oggi escono da scuola sapendo cos’è il pleonasmo, ma non sanno come si apre un conto titoli”.
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Quindi, cripto o contanti?
Né l’uno né l’altro, o meglio: entrambi, ma con consapevolezza. I contanti hanno ancora senso per alcune esigenze quotidiane, soprattutto per chi ha bisogno di percepire fisicamente il denaro per gestirlo meglio. Le cripto possono essere un diversivo interessante, ma solo con una piccola parte del proprio patrimonio – e dopo averne capito rischi, volatilità, implicazioni fiscali.
La finanza personale, nel 2025, non è più una questione da esperti in giacca e cravatta: è una forma di autodifesa, uno strumento per provare a vivere meglio. E soprattutto, è un linguaggio che i giovani devono imparare presto. Non per diventare ricchi, ma per non restare fregati.

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