Inapp: "In micro e PMI lavoratori anziani e poco formati"

- di: Barbara Bizzarri
 

“In questa era digitale, a causa delle profonde trasformazioni tecnologiche dei processi produttivi e a causa della comparsa di nuovi beni e nuovi servizi nonché di nuovi competitors, sono necessarie azioni e programmi di sostegno alla formazione, al reskilling e all’upskilling di tutto il personale anche, e soprattutto, nelle PMI. Dai dati emersi dalle ricerche del nostro Istituto risulta infatti molto carente la partecipazione dei lavoratori a programmi di formazione durante la vita lavorativa e largamente insufficiente la sensibilità delle imprese, specie quelle di piccola dimensione, verso l’innovazione tecnologica e organizzativa e verso le iniziative formative che ne sono il presupposto. I Fondi Interprofessionali possono rafforzare il loro ruolo in quest’ambito, ma soprattutto l’Anno Europeo delle Competenze e il PNRR possono rappresentare grandi opportunità”. Queste le parole di Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, ovvero l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, a commento dati dell’indagine INDACO Imprese, la rilevazione campionaria svolta dall’istituto che ha coinvolto oltre 20mila aziende, pubblicata nell’ultimo numero della rivista Sinappsi, il periodico scientifico dell’Inapp.

Inapp: "In micro e PMI lavoratori anziani e poco formati"


Solo il 56,7% delle micro imprese organizza corsi di formazione per i propri addetti (contro il 94,1% delle grandi aziende). I corsi sono principalmente legati all’aggiornamento normativo o comunque previsto da obblighi di legge (84,5%), mentre i corsi su specifiche tecniche e tecnologie di produzione/servizio riguardano solo il 32,5% delle imprese. Spesso le aziende coinvolgono nei corsi solo una parte del personale trascurando i lavoratori poco qualificati, che avrebbero invece maggiormente bisogno di aggiornamento e sviluppo delle competenze.

 

Nel frattempo, l’indice di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra la popolazione di almeno 65 anni e la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) resta in Italia tra i più alti in Europa (37%). Come a dire, i lavoratori invecchiano e con loro le competenze.

Dunque, per buona parte delle Pmi, poca formazione, poco mirata e solo se obbligatoria. Sembra, infatti, che le piccole imprese non abbiano piena consapevolezza dei vantaggi prodotti da un investimento regolare e sistematico nello sviluppo delle competenze e considerino la formazione come un adempimento necessario o come via per acquisire qualifiche specifiche che servono per legge. Il ritardo, si legge nell’articolo, è da collegare soprattutto alla scarsa capacità delle piccole imprese di far fronte alle sfide della digitalizzazione e dell’innovazione e di offrire opportunità di sviluppo delle competenze dei propri dipendenti, oltre alla scarsa disponibilità a livello territoriale di corsi adeguati alle esigenze di lavoratori e imprese. Alla base un gap legato alla dotazione infrastrutturale tecnologica e cognitiva, e a modelli organizzativi e di business poco innovativi, ma soprattutto alla mancanza di una cultura dello sviluppo delle competenze.In generale, solo un lavoratore su dieci (9,9%) in Italia partecipa a corsi di formazione professionale, a fronte di un obiettivo posto a livello europeo del 15%, che resta ancora lontano dal realizzarsi. La partecipazione alla formazione è molto bassa anche a causa della grave carenza di offerta di corsi di formazione a livello territoriale, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.

Si fatica anche a cogliere le opportunità legate alle risorse messe a disposizione per la formazione. Un dato per tutti: solo il 4,8% delle imprese ha deciso di presentare un progetto di formazione nell’ambito dei finanziamenti previsti nel Fondo per le nuove competenze mentre il 13% ha scelto di non avvalersene, o non ne ha mai sentito parlare (81,5%).

Per quanto riguarda lo sviluppo delle tecnologie digitali, solo il 5% delle imprese ha adottato quelle hard, cioè quelle indispensabili per competere negli scenari dell’era digitale. Un dato che soprattutto non appare in linea con gli obiettivi europei per le competenze digitali e per la partecipazione degli adulti alla formazione, che puntano in maniera decisa allo sviluppo delle competenze digitali e verdi. Il “Percorso verso il decennio digitale” della Commissione europea parla di portare gli specialisti ICT occupati da 8 a 20 milioni, al 75% le imprese che utilizzano cloud, big data e AI e al 90% le Pmi con almeno un livello base di intensità digitale. Sul fronte della formazione, invece, il Consiglio europeo ha fissato per il 2030 il termine entro il quale almeno il 60% degli adulti tra i 25 e i 64 anni dovrebbe aver partecipato ad attività di apprendimento nei 12 mesi precedenti.

“L’Anno Europeo delle competenze, inaugurato a maggio dalla Commissione Europea e coordinato in Italia dal nostro Istituto – conclude Fadda – può supportare lo sviluppo delle competenze dei lavoratori, in particolare attraverso tre direttrici: promuovendo investimenti nella formazione e nella riqualificazione; garantendo la coerenza  delle competenze dei lavoratori rispetto ai bisogni del mercato del lavoro, grazie alla stretta cooperazione con le parti sociali, le imprese, i servizi per l’impiego e i principali attori dell’istruzione e della formazione professionale; assicurando, infine, la corrispondenza tra aspirazioni e competenze dei cittadini con le opportunità offerte dal mercato del lavoro, in particolare nei settori coinvolti nelle transizioni verde e digitale e impegnati nella ripresa economica”.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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