La legge italiana collega l’età pensionabile all’aspettativa di vita calcolata ogni biennio dall’Istat. Il prossimo aggiornamento, previsto per il 2027, determinerebbe un aumento dell’età per accedere alla pensione di vecchiaia di tre mesi: da 67 anni a 67 anni e 3 mesi. Si tratta di una conseguenza diretta dell’incremento della speranza di vita dopo il periodo pandemico, ma i suoi effetti stanno sollevando un ampio dibattito politico e sociale.
Pensioni, il governo verso lo stop all’aumento dell’età: il nodo dei tre mesi
Il governo ha già dato segnali chiari di voler evitare l’aumento. Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha dichiarato che “il meccanismo sarà sterilizzato”, lasciando intendere che l’esecutivo interverrà per bloccare l’adeguamento. Anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha chiarito che il decreto interministeriale che formalizzerebbe l’innalzamento non sarà emanato in assenza di un indirizzo politico. Una presa di posizione che mira a evitare effetti distorsivi sull’uscita dal lavoro di decine di migliaia di italiani.
I numeri dell’aspettativa di vita
Secondo l’Istat, la speranza di vita a 65 anni è tornata a salire, raggiungendo i 21,2 anni: un dato che recupera la contrazione registrata durante il picco del Covid-19. In base ai meccanismi previsti dalla legge Fornero, ogni incremento dell’aspettativa di vita superiore a tre mesi comporta una revisione al rialzo dell’età pensionabile. Il prossimo scatto è previsto proprio nel 2027, e senza interventi da parte del governo, scatterà in modo automatico.
Impatto sulle pensioni anticipate
Le modifiche non riguarderebbero solo la pensione di vecchiaia. Anche le pensioni anticipate ne risulterebbero coinvolte. Per gli uomini, il requisito contributivo salirebbe da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 1 mese; per le donne da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e 1 mese. Si tratta di un allungamento che, seppur limitato a tre mesi, rischia di avere conseguenze concrete sui piani di vita e di lavoro di migliaia di italiani, soprattutto tra coloro che avevano già sottoscritto accordi di uscita con aziende e pubbliche amministrazioni.
Contributivo puro e penalizzazioni aggiuntive
La categoria più esposta è quella dei lavoratori soggetti al sistema contributivo puro, entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996. Per loro, l’accesso alla pensione anticipata salirebbe da 64 a 64 anni e 3 mesi, mentre la pensione di vecchiaia dal 71 a 71 anni e 3 mesi. Anche i contributi richiesti aumenterebbero da 20 a 20 anni e 3 mesi. Questo impatta soprattutto i giovani e i precari, già penalizzati da carriere discontinue.
La stima del rischio: 44 mila lavoratori coinvolti
Uno studio dell’Osservatorio Inps ha stimato che il blocco dell’adeguamento automatico è essenziale per proteggere circa 44.000 lavoratori che hanno già siglato accordi di uscita. In caso contrario, resterebbero scoperti per tre mesi, senza stipendio e senza pensione, a causa della frattura tra il termine del periodo lavorativo e il nuovo requisito per il pensionamento. Una situazione che rischia di generare disagio sociale e un aumento delle richieste di ammortizzatori.
La tensione politica e il pressing dei sindacati
Il tema è diventato centrale nel dibattito politico. Mentre la maggioranza promette l’intervento, le opposizioni chiedono chiarezza e un provvedimento rapido, temendo che l’annuncio possa rimanere lettera morta. I sindacati, Cgil in testa, parlano di “bomba sociale innescata” e chiedono un confronto strutturale sulla riforma delle pensioni, che comprenda anche flessibilità in uscita e tutela delle categorie fragili.
Il calendario e la necessità di una scelta rapida
Il governo ha tempo fino alla fine del 2025 per bloccare formalmente il meccanismo, ma una decisione tempestiva è fondamentale per dare certezze a imprese e lavoratori. In gioco non c’è solo il tema dell’adeguamento tecnico, ma una riflessione più ampia sull’equilibrio tra sostenibilità finanziaria e giustizia sociale nel sistema previdenziale italiano.
Un test per la credibilità politica
Nel frattempo, cresce l’attenzione per come l’esecutivo trasformerà gli annunci in azione concreta. La promessa di “non cambiare le regole in corsa”, come ha affermato più volte il premier Giorgia Meloni, sarà presto messa alla prova. E mentre il 2027 sembra ancora lontano, le scelte fatte nei prossimi mesi diranno molto su che idea di equità intergenerazionale voglia portare avanti il governo.