Giovanni Di Corato (Amundi RE Italia Sgr): "Per il 2022 prefiguro un regime di crescita economica nel mondo"

- di: Redazione
 
Il mercato immobiliare italiano, la ‘botta’ selettiva nel 2020 a causa della pandemia da Covid-19, le prospettive di ripresa nel breve e nel medio periodo, i segmenti più promettenti, le trasformazioni in atto e le innovazioni necessarie, l’atteggiamento degli investitori, il ruolo del PNRR, le strategie di Amundi RE Italia SgrNe parliamo con il CEO Giovanni Di Corato.

Parla Giovanni Di Corato, Ceo di Amundi RE Italia Sgr

Nel 2020 lo scenario del mercato immobiliare era caratterizzato da segni meno (in non pochi segmenti anche rilevanti) e l’unico elemento di ottimismo per il futuro era la politica monetaria fortemente espansiva, con molta liquidità sul mercato e tassi di interesse a livello bassissimo. Dottor Di Corato, qual è stato il clima del settore nel 2021, quali i segnali di ripresa e quale robustezza hanno nel breve e medio periodo? E quali le prospettive, a suo parere, per il 2022? Quali rischi si può assumere oggi una realtà come la vostra?
I driver del mercato immobiliare nel 2021 non sono stati molto diversi da quelli dell’anno precedente. Liquidità abbondante concentrata soprattutto in settori e segmenti specifici, supporto offerto da un costo del denaro molto contenuto e redditività negativa degli strumenti finanziari a basso rischio. In aggiunta a ciò il 2021 ha registrato un netto miglioramento della domanda di spazi connessa alla significativa ripresa economica successiva alla pesante recessione. Per il 2022, più in generale per il medio lungo termine, sono orientato a prefigurare un regime di crescita economica nel mondo, ancor più nel nostro paese, non molto differente da quello che ha caratterizzato il quindicennio pre-pandemico, nonostante il prevalere di politiche fiscali più espansive rispetto al passato. Pertanto continuo a pensare che la ripresa dell’inflazione sia un fenomeno prevalentemente temporaneo e che l’ormai scontato inasprimento delle politiche monetarie sarà limitato e produrrà il prevalere di condizioni finanziarie comunque non sfavorevoli all’investimento immobiliare. La nostra realtà continuerà a perseguire politiche d’investimento core, cioè caratterizzate da un profilo rischio rendimento contenuto e continuerà a non impegnarsi in attività cosiddette value added o di sviluppo.

In un’intervista dello scorso anno nell’ambito di un appuntamento di ‘Scenari Immobiliari’ lei parlò di un andamento del mercato immobiliare ‘a macchia di leopardo’, con segmenti che erano andati addirittura andati meglio rispetto al pre-pandemia e altri che avevano sofferto moltissimo. Qual è stata la situazione nel 2021?
L’andamento “a macchia di leopardo” che preferisco definire come caratterizzato da profonde divergenze all’interno dei settori e fra i vari settori del mercato si è confermato nel 2021. Per esempio, anche semplicemente nel settore uffici, immobili completamente ristrutturati ed affittati nel centro di Milano esprimono oggi redditività d’entrata inferiori a quelle prevalenti pre-pandemia, mentre edifici con pari destinazione d’uso nelle aree periferiche della stessa città, relativamente “stagionati” sotto il profilo tecnico impiantistico, non perfettamente connessi e non completamente affittati, continuano a non trovare un sostanziale interesse da parte del mercato, direi indipendentemente dal prezzo.

La pandemia ha mutato in modo sostanziale l’andamento del mercato? Quali saranno, nel medio periodo, i segmenti dell’immobiliare più promettenti nel mercato italiano? E in quello europeo?
Non vedo grandi differenze fra il mercato italiano e quello europeo. Nel medio termine performeranno bene i prodotti top di gamma un po’ in tutti i settori e male quelli con caratteristiche di limitata eccellenza sotto diversi possibili profili articolati in uno spettro molto ampio che va dalla semplice localizzazione alla cosiddetta ESG compliance. Ciò premesso, la residenzialità, permanente o temporanea, destinata alla locazione è entrata significativamente nel mirino degli investitori così come il tema degli immobili sanitari. Specificamente in Italia, penso che il settore degli hotel e degli immobili turistici, in uscita dalla pandemia, possa presentare delle interessanti opportunità.

All’inaugurazione dell’ampliamento del centro commerciale Le Due Torri di Stezzano in provincia di Bergamo, di proprietà del fondo Nexus 3 e gestito da Amundi RE Italia Sgr, ha detto che ‘è fondamentale realizzare strutture che sappiano offrire al cliente un’esperienza, puntando su qualcosa di diverso rispetto al più tradizionale modo di intendere il settore. Una sfida che andrà allargata anche agli altri settori dell’immobiliare, con particolare attenzione a quelli più classici come il direzionale’. Può entrare nel dettaglio di questa affermazione?
Semplicemente il settore della grande distribuzione sta vivendo una crisi strutturale che la pandemia ha soltanto accelerato a causa del radicale cambiamento dei modelli di consumo indotti dall’online. Una forte crescita del numero di questi format nel corso degli ultimi decenni, in tutto il mondo, ha creato un sostanziale eccesso di offerta che ha ormai attivato una forma di selezione darwiniana. I prodotti che meglio reggono oltre ad avere degli ottimi fondamentali sotto il profilo di una scarsa concorrenza di prossimità e di un bacino “naturale” di clientela caratterizzata da un significativo reddito disponibile devono, sempre più, essere capaci di attrarre clientela non solo in base alla qualità distributiva – brand mix e prezzo – ma anche alle “esperienze” che possono offrire ai visitatori diventando, in tal modo, sempre più dei centri di aggregazione sociale. Un discorso simile si sta prefigurando nel direzionale. L’ufficio, anche grazie al diffondersi del cosiddetto “lavoro agile”, è destinato ad essere sempre più uno spazio aggregativo la cui qualità non si giocherà soltanto nella dimensione di una semplice efficienza produttivistica / taylorista. I servizi accessori che le strutture direzionali offriranno agli utilizzatori si prevede diventeranno sempre più importanti.

Quali sono oggi gli elementi cruciali che fanno di un investimento immobiliare da parte di una realtà come la vostra un’operazione di successo? Quanto è importante, in questo contesto, la qualità del ‘tenant’ e qual è l’orizzonte temporale migliore della durata di un fondo? Sul tema della durata lei è intervenuto pubblicamente più volte…
Gli elementi cruciali ai fini del successo di un’operazione immobiliare core sono sempre gli stessi: localizzazione e connessione alle reti di trasporto pubblico, qualità tecnico impiantistica dell’immobile, fruibilità effettiva delle superfici e, sempre più, adeguatezza del bene sotto il profilo ESG. Il tenant in un investimento core è centrale visto che la value proposition di un simile approccio è essenzialmente quella di generare flussi di cassa stabili e ricorrenti. Tenant di qualità e finanziariamente solidi, oltre alla lunga durata dei contratti di locazione sono chiave. L’orizzonte temporale di un investimento immobiliare core non può sostanzialmente essere inferiore alla durata media dei contratti di locazione standard nell’ordinamento di riferimento. Quindi per l’Italia direi non inferiore ai 6 anni. Da ciò discende la durata ottimale dell’investimento in un fondo che porrei in un orizzonte compreso fra i 7 e i 10 anni.

Quanto, realisticamente, il PNRR potrà spingere gli investimenti nell’immobiliare così che torni ad essere a pieno titolo un pilastro strategico dello sviluppo? E in quali segmenti questa spinta sarà maggiore?
Gli oltre 200 miliardi del PNRR saranno in gran parte dedicati alla riconversione energetica e alla digitalizzazione, ciò non toglie che una parte significativa del piano sarà focalizzata sulle infrastrutture e la rigenerazione urbana. Soprattutto questa voce avrà un impatto positivo sul settore immobiliare in chiave di profonda riqualificazione di numerose aree del paese, auspicabilmente finalizzata a dare ad esse una vocazione realmente produttiva e comunque a creare una reale domanda di spazi da parte degli utilizzatori, peraltro ciò dovrà offrire una risposta adeguata alla domanda di cosiddetto social housing.

Ha affermato in un’intervista di essere rimasto sorpreso che, nel 2020, le strutture commerciali, anche le piccole, abbiano tenuto meglio di quelle dell’high-street, contrariamente alle previsioni. E questo perché – nei periodi di apertura – le strutture commerciali non high-street hanno lavorato più di quelle ubicate in zone di alto prestigioso, colpite invece dal crollo del turismo. Qual è ora il quadro della situazione?
La crisi degli high street, indotta dal blocco dei flussi internazionali, in primo luogo turistici è congiunturale e non strutturale. Prima o poi la pandemia si esaurirà e con la connessa ripresa dei flussi si assisterà a una significativa ripresa del comparto.

Voi operate con vari fondi: Amundi Re Italia, Amundi Re Europa, Nexus. Può farci il quadro del loro andamento e delle loro potenzialità nel futuro?

Amundi RE Europa è stato liquidato mentre Amundi RE Italia è in fase di liquidazione. Al momento il nostro fondo flagship è Nexus 1, un prodotto core, dedicato ad investitori professionali, lanciato nel 2014. Al 30 settembre 2021 vantava un portafoglio immobiliare di € 821 milioni, composto da 16 immobili. Dal lancio ha registrato una performance del 3,1% annuo. Il fondo pianifica ulteriori investimenti core nei suoi settori di riferimento - direzionale e commerciale - per i prossimi trimestri che dovrebbero condurlo a raggiungere la soglia di un portafoglio tipico di un miliardo di euro.

Ha citato, nell’intervento effettuato al RE Italy Meeting 2021, l’esempio della Francia affermando che ‘nonostante la crisi, nel caso francese c’è stata una continua capacità di raccogliere decine di miliardi di euro’. Perché in Italia questa capacità è mancata? Piuttosto, manca ancora oggi?
Molto semplice, perché in Italia a differenza delle Francia o della Germania non è possibile promuovere e distribuire sui cosiddetti canali retail, cioè quelli dei piccoli risparmiatori, fondi immobiliari aperti. Si tratta di un vincolo regolamentare importante che c’è stato in passato, c’è ancora e ci sarà in futuro in assenza di sostanziali interventi legislativi nella disciplina del settore.

Alla Borsa di Milano, gli indici del settore immobiliare, dopo essere pesantemente caduti nel 2020, nel 2021 hanno mostrato un recupero di circa a metà di quanto perso, ma restano ancora lontani dai livelli pre-pandemia. Quale è oggi l’atteggiamento degli investitori?
L’immobiliare quotato in Italia esprime una ridottissima capitalizzazione ed un’inesistente liquidità. Negli USA i REITs che vantano una capitalizzazione di 1.250 miliardi di dollari hanno recuperato i livelli pre-pandemia e negli ultimi trimestri li hanno superati anche se la loro performance, post pandemica, è stata inferiore a quella dell’S&P 500 ed a maggior ragione del NASDAQ. Ciò premesso, in uno scenario economico non recessivo, di non sostanziale rialzo dei tassi d’interesse reali e di politiche monetarie non particolarmente restrittive l’immobiliare quotato, nei paesi sviluppati, a condizione che sia liquido, ha delle ottime potenzialità.
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