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Inchiesta/Reportage - Lovaglio, Il banchiere che vuole fondere due mondi

- di: Giuseppe Castellini
 
Inchiesta/Reportage - Lovaglio, Il banchiere che vuole fondere due mondi

Da Siena a Milano, il progetto di Lovaglio per un nuovo colosso bancario: tra resistenze aristocratiche, consensi romani e l’ombra di Parigi. Verità nascoste, alleanze segrete e ostacoli istituzionali. Con un piano strategico più ampio, perché comunque lo snodo Mediobanca è fondamentale: con esso Lovaglio potrà poi puntare su BPM per dare vita al polo bancario tutto tricolore, il cosiddetto "terzo polo" alle spalle dei giganti Banca Intesa e Unicredit. E consentirebbe a Caltagirone e Delfin, che avrebbero dalla loro parte anche le azioni di Mediobanca in Generali, di rovesciare il tavolo dell'assetto che oggi governa il Leone di Trieste e salire sulla tolda di comando. Il governo, anche se non ufficialmente, guarda con favore all'operazione perché Il progetto Lovaglio, letto in controluce, ha un chiaro sottotesto: ribilanciare l’influenza francese (sia nel sistema bancario che in Generali) e ristabilire un baricentro italiano. Insomma, la partita su Mediobanca è di quelle epocali: se coronata dal successo, cambierà il corso e il volto del sistema finanziario-assicurativo italiano. 

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L’ambizione che nasce nel silenzio di Siena
La svolta: Luigi Lovaglio (foto), CEO di Mps, presenta il progetto di una fusione con Mediobanca al MEF. Nessuna resistenza pubblica da parte del governo, anzi: fonti interne confermano che il dossier è stato ricevuto positivamente, senza veti, malgrado la partecipazione statale al capitale dell’11,7 % sia ancora significativa. In quei corridoi, si capisce che non si tratta solo di finanza: vale molto di più.
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Alleati strategici tra Stato e investitori privati
A sostenere il progetto, oltre al governo, ci sono attori chiave come Delfin (holding Del Vecchio, primo azionista di Mediobanca con circa il 20 %) e Caltagirone, entrambi azionisti influenti di Mediobanca e già da tempo interlocutori strategici nel dossier Generali. Il governo di Giorgia Meloni, per bocca del ministro Giorgetti, ha definito l’Ops come un’operazione “complementare” all’architettura finanziaria italiana, senza interferenze dirette: “non ho interesse a governare una banca” — chiarisce Giorgetti“ma se la transazione avrà successo, potremmo uscire dal capitale”.
Dietro le quinte, il dossier sarebbe stato sostenuto da una rete di consulenti legati al centrodestra, a partire da personalità economiche vicine a Giorgetti, ma anche da ambienti della presidenza del Consiglio interessati a contrastare l’espansionismo francese. Alcuni retroscena suggeriscono un ruolo di moral suasion da parte di Roberto Garofoli, ex sottosegretario e uomo di raccordo tra tecnici e politici, oggi considerato uno dei “facilitatori” del progetto.
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Il risanamento: alleati nel tempo
Il governo non è l’unico alleato silenzioso: anche le autorità europee, in particolare la BCE, osservano il piano con benevolenza, ricordando che un Monte dei Paschi patrimonializzato e profittevole garantisce stabilità al sistema. Nel 2023 e 2024 Mps torna all’utile (circa 2 miliardi netti), distribuisce dividendi e rassicura i mercati. Un contrappunto posato, confermato dallo stesso Lovaglio: “Siamo una banca affidabile, ora possiamo investire nell’Italia”. 
Ma, per capire il peso di queste parole, occorre ricordare da dove Mps veniva. Dall’acquisizione fallimentare di Antonveneta nel 2007, che bruciò 10 miliardi di euro. Dagli anni dei derivati “Alexandria” e “Santorini”. Dalle indagini per falso in bilancio, dalle dimissioni di Mussari, dal commissariamento di fatto. E poi la nazionalizzazione del 2017, con l’ingresso dello Stato nel capitale e il piano di ristrutturazione imposto da Bruxelles. È su queste macerie che Lovaglio ha costruito la sua operazione: una banca sopravvissuta all’inferno, che ora prova a diventare regina.
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L’offerta: strategia e segnale politico
Mps lancia quindi l’Ops su Mediobanca: circa 13 14 mld, con scambio di 2,533 azioni Mps per ogni titolo Mediobanca. La soglia minima è il 35%, ma Lovaglio ha sempre dichiarato che l’obiettivo vero è superare il 66,7% del capitale, per sfruttare Dta e sinergie — pari a circa 700 mln/anno, secondo i conti ufficiali.
Dall’approvazione all’assemblea di Mps emerge la sensazione netta: nessuna opposizione politica significativa. Il governo, pur non intervenendo in modo formale, trasmette sostegno tramite canali istituzionali, preservando la narrativa di autonomia e unità nazionale.
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Ruolo della BCE e dell’Antitrust:
L’intervento della Banca Centrale Europea è previsto nei tempi successivi all’esito dell’Ops. Francoforte dovrà valutare la solidità patrimoniale post-fusione e il rispetto delle linee guida sulla governance. Più delicata sarà la valutazione dell’antitrust europeo: se Mps e Mediobanca supereranno soglie critiche in alcuni segmenti, come leasing o factoring, potrebbero essere imposti disinvestimenti. Ad oggi non risultano stop ufficiali, ma la vigilanza è “attenta” — riferiscono fonti BCE.

Le dichiarazioni di Lovaglio: fermezza e visione
Lovaglio non ha usato giri di parole:
• “Siamo concentrati sulla Mediobanca. L’offerta è giusta, non prevediamo rilanci. Puntiamo al 67% del capitale”.
• “La soglia del 35% è un requisito minimo; l’obiettivo reale è il controllo. Gli investitori sembrano positivi”.
• “Costruiremo un gruppo da 1.200 consulenti e 400 private banker: il terzo polo del wealth management italiano”.
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Avversari e resistenze: chi sta contro l’Ops
Sullo sfondo c’è un muro d’opposizione. Il board di Mediobanca boccia l’offerta definendola “ostile e non concordata”, giudicandola priva di razionale industriale e ritenendo il prezzo “non congruo e del tutto inadeguato”, riflettendo studi di advisor come Centerview, Equita e Goldman Sachs: il premio implicito è 32% sotto il fair value identificato dal board.
Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, rappresenta un ostacolo politico simbolico: sceglie Mediobanca, sottolineando dimensioni territoriali e tensioni tra Roma e Milano, e definisce il progetto “politico più che industriale”.
Gli analisti tecnici, tra cui Equita Sim, prospettano difficoltà: sinergie rischiano di essere illusioni, i costi di integrazione elevati e la compatibilità tra culture aziendali in dubbio: “rischio diluzione del brand di Mediobanca” aggiungono gli esperti.
In aggiunta, un’inchiesta di Report solleva dubbi sulle vendite passate delle partecipazioni statali, meccanismi di cessione e possibili intrecci con Del Vecchio/Caltagirone. La Procura di Milano ha chiesto documenti alla Cassa dei Medici (Enpam) e Enasarco su acquisti azionari: è chiaro che l’attenzione giudiziaria ha messo sotto la lente i passaggi societari e l’influenza degli stakeholder.
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Alleanze dentro e fuori l’Ops
Alleati interni:
Il governo (MEF, governo Meloni) fornisce copertura istituzionale discreta.
Delfin, con circa 20 % in Mediobanca e quasi 10 % in MPS dopo la privatizzazione statale, valuta l’offerta come “molto interessante”, pur sollecitando un miglioramento del prezzo.
Caltagirone, altro socio influente vicini a Delfin, si muove in modo sinergico su questi dossier.
Alleati esterni / strategici:
Le autorità europee, interessate a un MPS stabile e capace di partecipare a consolidamenti futuri.
Unioni sindacali: sostengono l’operazione perché promette pochi esuberi e presuppone sinergie soft.
Avversari dichiarati:
Il board di Mediobanca, contrario per prezzo e mix post-fusione.
Il sindaco Sala e parte della politica milanese, che vedono Roma impadronirsi dell’istituto.
Alcuni analisti e investitori internazionali, scettici sul piano d’integrazione e sul potenziale re-rating complessivo del titolo Mps. Ma il quadro generale delle agenzie di rating è, in maggioranza, favorevole all’operazione, anche se in maniera condizionata e con toni prudenti.  

Il ruolo delle fondazioni bancarie
Un ruolo tutt’altro che marginale è quello delle fondazioni e casse previdenziali. La Fondazione Mps, sebbene oggi meno influente rispetto al passato, resta un simbolo identitario fortissimo a Siena e osserva con attenzione. Ma i soggetti chiave sono Enpam (medici) ed Enasarco (agenti), presenti nel capitale sia di Mps che di Mediobanca. Intanto la Procura di Milano ha chiesto atti su investimenti incrociati, per verificare eventuali sinergie sospette tra enti previdenziali pubblici e banche private. “Vogliamo solo massimizzare il rendimento dei nostri iscritti” — ha replicato un portavoce Enpam — ma la trasparenza resta una preoccupazione attiva.
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Zoom sulle differenze culturali Mps–Mediobanca
C’è anche una questione di cultura aziendale. Mps ha un dna territoriale, fatto di filiali e relazioni dirette, radicato nel centro Italia. Mediobanca è tutt’altra cosa: una boutique finanziaria, con relazioni internazionali, specializzazione nel corporate e nell’investment banking, un brand costruito sull’élite e sulla selezione. “Fondere queste due identità non è solo questione di bilanci, ma di visione” — osserva un ex dirigente di Piazzetta Cuccia, oggi consulente — “e finché non sarà chiaro chi detta la linea, gli investitori resteranno guardinghi”.

Prospettive future: scenari aperti
Se l’Ops raggiungerà oltre il 66,7% entro la scadenza dell’8 settembre 2025, si spalancherà la possibilità di trasformare le Dta in crediti fiscali per circa 1,1 mld e realizzare le sinergie dichiarate (risparmi costi, ricavi al rialzo, rinegoziazione funding). Un nuovo top management verrà nominato e il piano industriale rilanciato con forza.
In caso contrario, Mps potrebbe guardare ad altre opzioni industriali. Banco BPM, già azionista Mps, resta una possibile evoluzione, sebbene Castagna abbia aperto ma anche frenato il dialogo con Lovaglio. Anche un reinvestimento sul fronte Generali, alla fine del contratto con Axa, resta sullo sfondo. E comunque lo snodo Mediobanca è fondamentale: perché con esso Lovaglio potrà puntare su BPM per dare vita al polo bancario tutto tricolore, il cosiddetto "terzo polo" alle spalle dei giganti Banca Intesa e Unicredit. E consentirebbe a Caltagirone e Delfin, che avrebbero dalla loro parte anche le azioni di Mediobanca in Generali, di rovesciare il tavolo dell'assetto che oggi governa il Leone di Trieste e salire sulla tolda di comando.

Analisi della stampa estera e delle agenzie di rating
Sull’operazione si è espressa anche la stampa estera. Il Financial Times ha parlato di “giocata aggressiva” da parte di Lovaglio, mentre Bloomberg sottolinea il rischio che il nuovo gruppo venga considerato troppo esposto al debito sovrano italiano. Le agenzie di rating, in particolare Moody’s e Fitch, hanno chiesto chiarimenti su governance, tempi di integrazione e qualità del credito. Se la fusione andrà in porto, è probabile che il nuovo soggetto sarà monitorato da vicino anche sotto il profilo regolamentare europeo.
Agenzie di rating
Fitch ha promosso MPS a rating Investment Grade (da BB+ a BBB ) nel luglio 2025, citando la solida struttura patrimoniale e l’adeguata capacità di assorbire i rischi derivanti dalla fusione. Secondo Fitch, l’impatto sul rating sarebbe gestibile se l’operazione fosse integrata con successo nelle attività di wealth management e consumer finance di Mediobanca.
Moody’s ha confermato il rating a Mediobanca (Baa1 per depositi, outlook stabile), sottolineando come l’analisi del profilo creditizio della banca sia bilanciata da una diversificazione dei ricavi che include vantaggi potenziali derivanti dalla fusione.
Fitch, inoltre, ha inserito Mediobanca sotto osservazione (“rating watch evolving”) suggerendo che il potenziale impatto negativo del deal potrebbe essere compensato da una crescita strutturale, ma con rischio elevato sul fronte esecutivo.________________________________________
Analisti e gestori finanziari
Il proxy advisor Glass Lewis ha raccomandato agli azionisti di MPS di approvare l’aumento di capitale necessario per sostenere la fusione con Mediobanca, riconoscendo la validità strategica dell’operazione, pur ricordandone i rischi strutturali e culturali.
Gestori come Pimco e Algebris (fondo di Davide Serra) si sono detti favorevoli: Pimco ha supportato il rafforzamento patrimoniale legato alla transazione, mentre Algebris ha definito l’operazione “coerente e ben strutturata”.
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Contesto internazionale e strategico
La partita non è solo nazionale. Con Crédit Agricole che ha messo piede in Banco BPM, AXA ancora dentro Mps e le voci su un possibile interesse francese per Generali, l’Italia rischiava di perdere il controllo su una fetta consistente della propria infrastruttura finanziaria. Il progetto Lovaglio, letto in controluce, ha un chiaro sottotesto: ribilanciare l’influenza francese e ristabilire un baricentro italiano. Anche per questo, osservatori internazionali lo definiscono “sovranismo bancario soft”.

Visione futura: come sarà il polo tra 10 anni
Dieci anni dopo, cosa sarà il terzo polo? Se l’operazione funzionerà, il gruppo potrà competere nel private banking, diventare un hub per M&A nazionali, accedere a linee internazionali e, forse, quotare la nuova entità anche all’estero. Altrimenti, resterà l’ennesimo tentativo di consolidamento abortito. Ma se Lovaglio avrà ragione, la sua sarà ricordata come la mossa più visionaria nella finanza italiana post-pandemia: un banchiere che ha trasformato una banca data per morta in un perno strategico del sistema.

Un atto politico e industriale 
La scalata di Lovaglio non è una semplice fusione: è un atto politico-industriale, una manovra silenziosa ma determinata che ha fatto leva su alleanze pubbliche e private. Gli alleati interni, dallo Stato a Delfin, hanno lavorato in sintonia mentre i nemici raffinati — Mediobanca, la finanza milanese, gli analisti — si sono mobilitati contro.
L’8 settembre 2025 sarà il giorno della verità: se la soglia sarà superata, nascerà il terzo polo bancario italiano, con sede nella triplice alleanza tra Siena, Milano e Roma. In caso contrario, il sogno si dissolverà. Di sicuro, resta che Mps non è più una banca da salvare: è diventata una banca da far contare.


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