Manovra, notte di ferro: la Lega sfida Giorgetti e cambia tutto
Telefonate, minacce politiche e una premier lontana: così salta la stretta sulle pensioni.
(Fonte: Giovanni Giorgetti, ministro a Economia e Finanze).
È una notte lunga, nervosa, politicamente esplosiva. Nel momento più delicato dell’esame della manovra in commissione Bilancio al Senato, il governo entra in una zona di turbolenza estrema. La Lega alza il muro contro la stretta sulle pensioni e costringe l’esecutivo a fare marcia indietro. Succede tutto tra le undici di sera e le prime ore del mattino, mentre Giorgia Meloni è a Bruxelles, impegnata nel Consiglio europeo che in nottata approva il prestito da 90 miliardi di euro all’Ucraina.
Disturbarla è impossibile. Ma quando verrà informata, poche ore dopo, il suo umore – riferiscono fonti di governo – sarà tutt’altro che disteso. Non è la prima volta che le tensioni interne esplodono mentre la premier è all’estero, ed è un copione che a Palazzo Chigi viene ormai vissuto come un problema politico serio.
La miccia: pensioni usate come copertura per le imprese
Il nodo è tutto lì: una stretta previdenziale pensata dal Mef per garantire le coperture alle misure pro-imprese contenute nel maxi-emendamento del governo. Un pacchetto che include interventi attesi dal mondo produttivo, dai crediti d’imposta alle agevolazioni per la Zes e Transizione 4.0, oltre a risorse rilevanti per il Mit guidato da Matteo Salvini.
Per la Lega, però, toccare le pensioni è politicamente inaccettabile. A cavallo della mezzanotte, il capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo chiama Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e uomo simbolo del Carroccio nelle stanze dei conti pubblici. Il messaggio è durissimo: quelle norme vanno tolte.
La telefonata e la call notturna
La prima telefonata dura pochi minuti, ma non basta. Scatta così una call notturna ad alta densità politica. Al tavolo virtuale siedono Giorgetti, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, il sottosegretario all’Economia Federico Freni, la Ragioniera generale dello Stato Daria Perrotta e i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari. È qui che si costruisce l’uscita di sicurezza.
Secondo quanto ricostruito, la Lega insiste sul fatto che esistono fondi alternativi per coprire le misure alle imprese. Una tesi condivisa anche da Giorgetti, almeno sul piano politico, mentre i tecnici del Mef e della Ragioneria spingono per mantenere la stretta previdenziale. Lo scontro va avanti da ore. Poi la decisione: le norme sulle pensioni vengono stralciate.
“Nessuno scontro”, ma la tensione è reale
Al mattino Romeo prova a gettare acqua sul fuoco. “Nessuno scontro interno alla Lega”, assicura, spiegando che si è trattato di una questione di metodo e di sensibilità politica. “Anche Giorgetti – sottolinea – riteneva possibile usare coperture diverse”.
Dietro le quinte, però, il clima è stato molto più aspro. C’è chi parla di avvertimenti pesanti, chi di un governo arrivato a un passo dalla crisi. Versioni che il Carroccio ridimensiona. “È esagerato dire che fosse in gioco la tenuta dell’esecutivo – spiega una fonte leghista di primo piano –. Ma alcune cose non funzionavano e andavano sistemate”.
Meloni lontana, ma il problema resta
Il fatto che tutto avvenga mentre Meloni è a Bruxelles aggiunge un elemento politico non secondario. La premier viene aggiornata solo a giochi fatti e, riferiscono fonti vicine a Palazzo Chigi, non gradisce affatto. Non tanto per il merito della decisione, quanto per il metodo e per l’immagine di un governo che mostra crepe proprio nei passaggi chiave.
La via d’uscita: decreto legge entro fine anno
La soluzione individuata è una exit strategy tecnica: le norme stralciate dalla manovra verranno recuperate, dove possibile, con un decreto legge da varare entro fine anno. In questo modo le misure per le imprese entreranno comunque in vigore dal primo gennaio, evitando il rischio di un clamoroso esercizio provvisorio.
“Non un centesimo in meno per quanto promesso alle aziende”, garantisce Freni al termine della riunione. Una linea condivisa anche da Giorgetti, che incassa lo stop sulle pensioni ma salva l’impianto complessivo della manovra.
Opposizioni all’attacco
Dall’altra parte dell’emiciclo, le opposizioni affondano il colpo. Parlano di governo ostaggio della Lega, di promesse tradite e di una maggioranza incapace di tenere una linea coerente. Il Partito Democratico accusa Meloni e Salvini di aver sacrificato l’equità del sistema previdenziale per ragioni elettorali.
Un equilibrio sempre più fragile
Formalmente, ai piani alti dell’esecutivo si tende a minimizzare. “Dinamiche fisiologiche”, le definiscono, ricordando che da decenni le manovre si chiudono così, tra strappi e compromessi. Politicamente, però, la notte della manovra lascia un segno: la resa dei conti tra Lega e Giorgetti è solo rimandata, e l’equilibrio interno al governo appare sempre più delicato.