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Meloni a Bruxelles: "Sì all’Ucraina, no a cambiali in bianco"

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Meloni a Bruxelles: 'Sì all’Ucraina, no a cambiali in bianco'

Alle 9.36, Giorgia Meloni prende la parola al Senato. È la vigilia del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre e la premier rivendica la solidità di tre anni di governo e la “serie A” riconquistata dall’Italia sulla scena internazionale. La sua voce scorre sicura, tra applausi e qualche sguardo trattenuto. «L’Italia – dice – si presenta forte, stabile, con fondamenta economiche solide e credibilità internazionale». È un incipit politico ma anche contabile: la premier vuole chiarire che i margini di manovra ci sono, ma non per ogni battaglia che Bruxelles porterà sul tavolo.

Meloni a Bruxelles: "Sì all’Ucraina, no a cambiali in bianco"

Meloni ribadisce il punto cardine: «Il nostro sostegno al popolo ucraino resta fermo». Nessun passo indietro, dunque, sul fronte del supporto politico e militare a Kiev, ma una linea netta sui limiti dell’impegno italiano. «L’Italia non invierà soldati – spiega –. Puntiamo a una pace frutto di una negoziazione credibile, dove nessuna decisione può essere presa senza l’Ucraina e nessuna decisione sulla sicurezza europea può essere presa senza l’Europa».

È un messaggio che tiene insieme fedeltà atlantica e prudenza interna, una formula che evita di scivolare nella trappola delle pressioni opposte: da una parte Washington, dall’altra la Lega, che guarda con sospetto ai nuovi fondi per la guerra.

Il rebus degli asset russi
Ma è sul capitolo economico che il discorso cambia tono. Meloni punta dritta sugli asset russi congelati: 180 miliardi di euro che la Commissione vuole utilizzare per sostenere Kiev. «Ogni decisione – avverte – deve rispettare il diritto internazionale». Il passaggio non è neutro: l’Italia teme l’effetto boomerang di un meccanismo che, per partire, richiederebbe garanzie finanziarie da parte dei singoli Stati. Nel caso di Roma, la quota potrebbe superare i 20 miliardi. In altre parole, un’esposizione potenziale a bilancio che Palazzo Chigi non intende accettare senza limiti precisi.
Al Mef i conti sono già stati fatti. Il timore è di dover firmare una cambiale, con la Russia pronta a intentare cause internazionali contro i Paesi garanti. «L’Europa deve sostenere l’Ucraina, ma non possiamo accollarci rischi incalcolabili sui bilanci nazionali» è la sintesi che trapela dai tecnici di via XX Settembre.

Gaza, Trump e il nodo mediorientale

Nel cuore del suo intervento, la premier apre anche il capitolo più delicato: la crisi in Medio Oriente. Cita il piano di Donald Trump presentato a Sharm el Sheikh e ringrazia Egitto, Qatar e Turchia per la mediazione. «Dopo molto tempo – sottolinea – esiste una prospettiva credibile di pace giusta e duratura».
L’Italia, ribadisce, è pronta a riconoscere lo Stato di Palestina solo a precise condizioni: l’esclusione di Hamas da ogni ruolo politico e il suo disarmo completo. Poi la lista degli aiuti: oltre 2 mila tonnellate di farina, 200 tonnellate di altri beni umanitari e 39 studenti accolti nei “corridoi universitari” italiani. È il modo della premier per spostare il racconto dalle polemiche ai risultati concreti, rivendicando «la solidarietà vera, non quella a favore di telecamera».

Le “follie verdi” e la neutralità tecnologica
Il secondo pilastro della linea italiana è la revisione del Green Deal. «Non accetteremo leggi europee scritte sull’onda dell’ideologia», dice Meloni, chiedendo un cambio di rotta e l’introduzione del principio di neutralità tecnologica. Tradotto: niente obbligo di auto solo elettriche, spazio ai biocarburanti e alle soluzioni alternative.
La premier cita con orgoglio «l’apertura della presidente von der Leyen» sulla revisione delle norme post-2035. L’obiettivo è non sacrificare la filiera industriale italiana sull’altare di obiettivi climatici “inverosimili”. E qui il messaggio è doppio: rivolto a Bruxelles ma anche alle imprese italiane, che temono il peso di un’economia verde a costi non sostenibili.

L’offensiva sulla semplificazione
Non solo energia. Meloni annuncia una lettera firmata con Merz e altri 15 leader europei per la semplificazione normativa: «È tempo di cancellare ciò che è obsoleto e rendere più facile la vita ai cittadini e alle imprese».
Un modo per affermare la capacità italiana di guidare un fronte riformista interno all’Unione, dopo anni di subalternità. «Bruxelles deve premiare l’innovazione, non soffocarla con la burocrazia», aggiunge. È il tema su cui la premier punta per costruire alleanze trasversali al Consiglio europeo.

La strategia: da alleata a protagonista
Il tono finale del discorso è quello di chi vuole essere interlocutore e non oppositore. «L’Italia non segue bizzarre maggioranze», dice, ma lavora per «un’Europa pragmatica, flessibile e libera da dogmi».
In controluce, la strategia è chiara: usare il capitale politico accumulato in tre anni per orientare il negoziato su clima, finanza e difesa comune. Nessuna minaccia di veto, ma una trattativa serrata.
Il vertice di Bruxelles dirà quanto margine reale avrà Roma. Per ora, Meloni si presenta con il profilo di chi vuole restare nel cuore dell’Europa, ma alle proprie condizioni. Non in solitaria, ma da regista consapevole del proprio peso.

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