L’immigrazione, nel suo bilancio economico, resta un affare per l’Italia.
Secondo la 35ª edizione del Dossier statistico immigrazione 2025 curato dal Centro studi Idos, gli stranieri residenti nel nostro Paese hanno garantito nel 2023 un contributo fiscale netto di 4,6 miliardi di euro, frutto della differenza tra quanto l’Italia ha speso per l’immigrazione (34,5 miliardi) e quanto ha incassato da imposte, contributi e tributi pagati dagli immigrati (39,1 miliardi).
Migranti, da Idos la fotografia dell’Italia che lavora e paga le tasse
Eppure, osserva il rapporto, «i migranti continuano a essere bersagli della rabbia collettiva per mali endemici mai risolti», in un clima di diffidenza che poco ha a che fare con i numeri.
Un’economia che parla anche straniero
Nonostante condizioni lavorative spesso sfavorevoli e procedure d’ingresso poco efficaci, gli stranieri restano una colonna portante del sistema produttivo.
A fine 2024 si contavano oltre 667 mila imprese condotte da nati all’estero, pari all’11,3 % del totale, in aumento del 47 % rispetto al 2011.
Non solo attività precarie o di passaggio: più di un terzo — 246 mila aziende — è sul mercato da oltre dieci anni.
Un tessuto imprenditoriale che si è radicato nel tempo, in settori che vanno dalla ristorazione all’artigianato, dalla logistica ai servizi alla persona.
Sbarchi in calo, ma il Mediterraneo resta una trappola
Sul fronte degli arrivi, Idos registra nel 2024 un crollo del 57,9 % degli sbarchi via mare: 66 317 persone, contro le oltre 157 mila dell’anno precedente.
Un calo che non significa però minori rischi.
La rotta del Mediterraneo centrale rimane la più pericolosa: 24 585 morti o dispersi nell’ultimo decennio, 1 810 solo lo scorso anno.
Intanto, la cosiddetta Guardia costiera libica ha respinto almeno 22 mila persone verso «condizioni di detenzione disumane», mentre le autorità tunisine hanno intercettato oltre 80 mila migranti, spesso abbandonati in aree desertiche senza tutela.
Il dossier parla di ostilità crescente verso le navi umanitarie: in due anni e mezzo, 29 provvedimenti di fermo hanno bloccato i soccorsi per 660 giorni, cui si aggiungono 822 giorni di navigazione forzata verso porti lontani.
I corridoi umanitari, avviati dieci anni fa, restano un progetto di nicchia: meno di 10 mila beneficiari in tutto, 825 nel 2024.
Asilo, tra procedure accelerate e riconoscimenti al ribasso
I numeri di Eurostat mostrano un’altra contraddizione.
Nel 2024 l’Italia ha ricevuto 158 605 domande d’asilo, +28 mila rispetto al 2023, nonostante il calo degli sbarchi.
Le richieste sono aumentate per l’effetto ritardato dei flussi precedenti e per gli ingressi via terra o aerea.
Le decisioni in prima istanza sono state 78 565, di cui 28 185 positive: 11 455 per protezione speciale, 10 730 per protezione sussidiaria e 6 000 per asilo politico.
Il tasso di riconoscimento si ferma al 35,9 %, contro una media Ue del 51,4 %.
Una differenza che Idos attribuisce anche all’uso estensivo delle procedure accelerate, applicate in 24 865 casi — un quarto del totale europeo — che riducono le possibilità di un esame approfondito delle storie individuali.
Accoglienza ridotta all’emergenza
Al 31 dicembre 2024 i migranti accolti — inclusi i titolari di protezione — erano 139 141, pari allo 0,2 % della popolazione italiana.
Numeri che smentiscono ogni allarmismo, ma che raccontano il progressivo svuotamento del modello Sai, l’accoglienza diffusa gestita dai Comuni, a favore dei Cas, i centri straordinari spesso sovraffollati.
Solo 37 678 persone, meno di un terzo, erano ospitate nel Sai.
Ancora più critica la situazione dei minori stranieri non accompagnati: oltre 16 mila censiti a metà 2025, di cui il 47,9 % in strutture emergenziali dove il rischio di promiscuità è elevato.
Appena il 12 % dei minori in prima accoglienza si trova in strutture dedicate, mentre un terzo è ospitato nei Cas per minori e un 7 % addirittura in centri per adulti.
Un quadro che, secondo Idos, «mette a rischio i diritti fondamentali e l’integrazione futura».
Rimpatri inefficaci e criticità nei Cpr
Il tema della detenzione amministrativa torna d’attualità con il progetto del centro di Gjader in Albania, destinato a ospitare anche migranti già trattenuti in Italia.
Nel 2024 erano attivi 9 Cpr sul territorio nazionale, ma il tasso di rimpatrio effettivo è sceso al 43 % — un punto critico per Idos, che definisce la misura «inefficace e lesiva della dignità delle persone».
Le carenze strutturali e la mancanza di trasparenza continuano a generare polemiche e contenziosi.
Lavoro: più occupati ma sempre in fondo alla scala
Nel 2024 l’occupazione complessiva in Italia è cresciuta dell’1,5 %, ma tra gli stranieri il ritmo è stato quasi quattro volte superiore: +5,9 %, pari a 140 mila nuovi lavoratori.
Oggi sono 2,5 milioni, il 10,5 % del totale.
Eppure la loro condizione resta fragile: le donne sono solo il 41,5 % degli occupati stranieri, ma salgono al 50,3 % tra i disoccupati.
L’occupazione femminile straniera (49,4 %) resta sotto quella italiana (53,7 %), mentre tra gli uomini accade il contrario.
L’inserimento, osserva Idos, rimane subalterno e segregato: meno dello 0,5 % lavora nella pubblica amministrazione, sotto il 2 % nell’istruzione e nel credito, ma oltre la media nei trasporti (13,8 %), costruzioni (16,9 %), alberghi e ristorazione (18,5 %), agricoltura (20 %) e soprattutto nei servizi alle famiglie, dove due terzi degli occupati (65,3 %) sono stranieri.
Solo il 9,1 % svolge professioni qualificate, contro il 39,6 % degli italiani.
Il paradosso dell’integrazione
Numeri che raccontano un Paese ancora incapace di valorizzare il contributo di chi lavora, paga le tasse e tiene in piedi interi settori economici.
Mentre la retorica dell’invasione continua a dominare il dibattito pubblico, il Dossier Idos mostra un’Italia dove l’immigrazione non è un costo, ma una leva di sostenibilità fiscale e produttiva.
Un’Italia che, però, rischia di non accorgersene.