Un missile lanciato dallo Yemen ha colpito l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, generando panico e causando il ferimento di sei persone. L’attacco, rivendicato dai ribelli houthi, segna una nuova e pericolosa escalation nello scenario mediorientale, già profondamente instabile. Lo scalo, principale punto di accesso internazionale per Israele, è rimasto chiuso per alcune ore prima di essere riaperto, ma le conseguenze si stanno già facendo sentire: diverse compagnie, tra cui ITA Airways, hanno sospeso i voli da e per Israele per i prossimi giorni.
Il missile yemenita che scuote il Medio Oriente: colpito l’aeroporto di Tel Aviv
È il primo attacco diretto a una struttura civile strategica in Israele proveniente dal fronte yemenita, e rappresenta un salto di qualità militare e simbolico nella guerra a distanza tra le milizie sciite e lo Stato ebraico.
Netanyahu punta il dito contro l’Iran: “Pagheranno un prezzo altissimo”
La reazione del governo israeliano non si è fatta attendere. Il premier Benjamin Netanyahu ha parlato alla nazione poco dopo l’attacco, attribuendo la responsabilità non solo agli houthi ma, come spesso accade, al loro grande sponsor regionale: l’Iran. “Teheran ha armato, addestrato e finanziato i nostri nemici. Pagheranno un prezzo altissimo per questo atto di aggressione”, ha detto Netanyahu, facendo intendere che Israele si riserva il diritto di colpire obiettivi iraniani diretti o indiretti. Il messaggio, rivolto tanto all’opinione pubblica interna quanto agli alleati internazionali, rafforza la retorica israeliana sull’accerchiamento e prepara il terreno a una possibile risposta militare, che potrebbe estendersi ben oltre i confini yemeniti.
Gli houthi rivendicano: “Colpiremo ancora”
Dallo Yemen, i ribelli houthi hanno rivendicato con orgoglio l’operazione, definendola una “risposta legittima alle aggressioni israeliane contro i nostri fratelli palestinesi”. Il portavoce militare del gruppo ha dichiarato che l’attacco all’aeroporto Ben Gurion è solo il primo di una serie di raid contro obiettivi israeliani e ha invitato le compagnie internazionali a sospendere i voli “fino a nuovo ordine”. Gli houthi, sostenuti dall’Iran e coinvolti da anni in una guerra civile contro il governo yemenita appoggiato dall’Arabia Saudita, hanno dimostrato di possedere capacità balistiche di lungo raggio più avanzate di quanto si pensasse. La portata simbolica dell’attacco a Tel Aviv non è secondaria: significa che nessun angolo d’Israele può ritenersi al sicuro.
Un nuovo fronte si apre, mentre gli altri restano in fiamme
Il Medio Oriente vive una fase in cui i fronti si moltiplicano e le alleanze si irrigidiscono. Dopo le tensioni in Libano e in Siria, l’estensione del conflitto al fronte yemenita segna un ulteriore passo verso la regionalizzazione della guerra israelo-palestinese. L’attacco di ieri indica che lo scontro non è più limitato alla Striscia di Gaza o al confine settentrionale, ma coinvolge ora anche la penisola arabica. Per Israele, ciò significa dover ridefinire le priorità strategiche, difendere più direttrici e ricalibrare l’intelligence. Per gli Stati Uniti e l’Europa, invece, rappresenta un campanello d’allarme: il rischio che il conflitto degeneri in un confronto generalizzato tra Iran e alleati occidentali si fa sempre più concreto.
Impatto economico e isolamento aereo: Israele più vulnerabile
La sospensione dei voli da parte di ITA Airways, così come di altre compagnie, è solo una delle prime ripercussioni tangibili dell’attacco. Il trasporto aereo è uno dei nervi scoperti di Israele, che in larga parte si affida alla connettività internazionale per il commercio, la diplomazia e la mobilità interna. La chiusura temporanea dell’aeroporto di Tel Aviv e l’incertezza legata alla sicurezza dei voli in arrivo e in partenza rischiano di alimentare ulteriormente l’isolamento. Non solo: l’instabilità ha un impatto immediato sui mercati finanziari e sulla fiducia degli investitori internazionali. Se gli houthi riusciranno davvero a colpire con continuità le infrastrutture israeliane, il danno economico potrebbe rivelarsi più grave di quello provocato dalle operazioni militari a Gaza.
Un messaggio agli alleati occidentali: la guerra non ha più confini
L’attacco al cuore del sistema aeroportuale israeliano rappresenta anche un messaggio rivolto agli Stati Uniti e all’Unione Europea: il conflitto mediorientale non può più essere confinato in un perimetro ristretto e ignorato come una crisi periferica. Se Israele, con la sua tecnologia avanzata e il suo apparato militare sofisticato, può essere colpito da un missile lanciato da 2.000 chilometri di distanza, allora nessuno è al sicuro. La pressione sull’amministrazione Trump e sugli alleati europei aumenta: da un lato c’è l’urgenza di difendere Israele, dall’altro la consapevolezza che un intervento diretto potrebbe far precipitare la situazione verso una guerra regionale totale.