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Il Natale di Zelensky: tra preghiera e stoccata a Putin

- di: Bruno Coletta
 
Il Natale di Zelensky: tra preghiera e stoccata a Putin
Il Natale di Zelensky: tra preghiera e stoccata a Putin

Un discorso che mescola fede, rabbia e politica: “il sogno” che molti sussurrano, la pace che si invoca, e una guerra che non concede tregue nemmeno alla Vigilia. 

La Vigilia di Natale, in Ucraina, non è più soltanto un rito. È diventata un test di resistenza collettiva. E nel suo messaggio del 24 dicembre 2025 Volodymyr Zelensky ha scelto un registro emotivo e tagliente: da un lato il richiamo alla fede e alla pace, dall’altro una frase che ha fatto il giro del mondo perché suona come un augurio di morte rivolto a Vladimir Putin (senza nominarlo direttamente). Il tutto con un’idea fissa: Mosca può colpire infrastrutture e città, ma non può “occupare” la cosa più preziosa, cioè l’unità del Paese.

Il passaggio che incendia il discorso

È un momento preciso a spostare l’asse del messaggio: Zelensky parla di un “sogno” condiviso dagli ucraini e, subito dopo, lascia cadere una formula brutale, come se desse voce a un pensiero che molti, nell’intimità, non ammettono ad alta voce. Poi frena: davanti a Dio — dice, in sostanza — si chiedono cose “più grandi”, la pace per l’Ucraina, la fine della guerra, la possibilità di tornare a casa.

La scelta retorica è doppia e volutamente contraddittoria: sfogo e preghiera nello stesso respiro. Un modo per tenere insieme l’umanissimo rancore di chi vive sotto le bombe e la necessità politica di restare ancorati a un obiettivo dichiarabile, spendibile, difendibile: la pace “giusta”, non la resa.

“Non tutti sono a casa”: il Natale come inventario delle assenze

Il discorso è costruito come un elenco di ciò che manca: chi non ha più una casa, chi è lontano, chi è prigioniero, chi combatte al fronte. Zelensky insiste su un punto: la Russia può distruggere muri e tetti, ma non può bombardare il “cuore” del Paese — inteso come fiducia reciproca e coesione.

Il passaggio sulle preghiere “per chi è in prima linea” e “per chi è prigioniero” non è soltanto liturgia civile: è un modo per ribadire che la comunità politica ucraina include anche chi è fisicamente assente. In una guerra lunga, la parola chiave diventa appartenenza.

Il contesto: attacchi e black-out alla vigilia

Il messaggio arriva mentre diverse fonti ucraine e internazionali descrivono un Natale segnato da nuovi attacchi e disagi energetici. Cronache del 24 dicembre 2025 indicano colpi e danni a infrastrutture in più aree del Paese; nei giorni immediatamente precedenti, altre ricostruzioni hanno parlato di ondate di droni e missili con effetti sulla rete elettrica e con interruzioni di corrente in varie città.

La guerra, insomma, entra nel Natale non come eccezione, ma come regola. E Zelensky usa proprio questa cornice per rafforzare il messaggio: se l’avversario colpisce anche nelle ore simboliche, allora la risposta deve essere ancora più compatta.

Un Natale “occidentale”: perché il 25 dicembre è anche geopolitica

Dietro le parole c’è anche un dato che in Ucraina pesa moltissimo: il Natale celebrato il 25 dicembre non è più solo una scelta liturgica per alcune comunità, ma un segnale identitario. Negli ultimi anni Kyiv ha accelerato il distacco da tradizioni considerate legate alla sfera russa, inclusa la data del Natale (storicamente al 7 gennaio secondo il calendario giuliano per molte chiese ortodosse).

In questo quadro, l’idea di “famiglia” e unità suona come un messaggio interno ed esterno: interno, perché mira a ricomporre le differenze; esterno, perché colloca l’Ucraina dentro un’orbita culturale europea. Anche la religione, qui, diventa linguaggio politico.

La linea sottile tra comunicazione e provocazione

La stoccata su Putin è destinata a dividere l’opinione pubblica internazionale: per alcuni è un cedimento all’odio in un momento in cui servirebbe freddezza; per altri è la fotografia cruda di una guerra che produce frasi crude. Zelensky, però, sembra aver calcolato il rischio: la battuta è immediatamente riassorbita dal richiamo a Dio e alla pace, come a dire che il desiderio di vendetta esiste, ma non è il programma politico.

In termini di comunicazione, è un discorso che fa tre cose insieme:

  • Mobilita il Paese reale con un tono emotivo e riconoscibile.
  • Rimette al centro l’obiettivo alto: pace, sicurezza, ritorno a casa.
  • Sposta l’attenzione sul costo umano della guerra, proprio nel giorno in cui il mondo guarda altrove.

Che cosa resta dopo le parole

Il Natale di Zelensky 2025 si riassume in un paradosso: una frase che sa di maledizione e una preghiera che chiede un domani diverso. Ma il punto più solido del discorso non è lo sfogo: è l’idea che, dopo anni di invasione su larga scala, la Russia non sia riuscita a spezzare la tenuta nazionale.

È una promessa e, insieme, un avvertimento: l’Ucraina non si sente “occupabile” nel profondo. Perché, dice Zelensky, puoi colpire la rete elettrica, ma non puoi spegnere la convinzione di essere un Paese. 

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