Rubio parla di “caccia alle streghe”, Brasilia risponde: sovranità e democrazia in gioco.
(Foto: il Segretario di Stato Usa, Marco Rubio).
La condanna dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha acceso un riflettore internazionale che va ben oltre il perimetro giudiziario. In poche ore, lo scontro verbale tra Washington e Brasilia è diventato un caso politico a tutti gli effetti: sul tavolo ci sono la tenuta dello stato di diritto, il perimetro dei diritti fondamentali e la sovranità delle istituzioni brasiliane.
La condanna che tutto cambia
La sentenza che riguarda Bolsonaro rappresenta, per il Brasile, una “linea del Rubicone” nella gestione delle responsabilità politiche e penali dopo le tensioni seguite alle elezioni del 2022. Per la magistratura, il messaggio è chiaro: chi mette a rischio l’ordine costituzionale ne risponde. Per una parte del paese, invece, il verdetto alimenta l’idea di una giustizia percepita come militante, con il rischio di irrigidire ulteriormente le faglie del sistema politico.
La denuncia americana
La reazione statunitense è arrivata senza giri di parole. Il segretario di Stato Marco Rubio ha definito la decisione “ingiusta” e ha promesso che Washington “risponderà a questa caccia alle streghe”. Nelle sue parole, l’accusa è esplicita: “Continuano le persecuzioni politiche da parte di chi viola i diritti umani come Alexandre de Moraes”, ha detto Rubio, chiamando in causa il giudice della Corte suprema brasiliana e l’operato dell’alta magistratura. Le frasi, destinate a pesare, collocano il dossier brasiliano dentro la più ampia narrativa americana sulla tutela delle libertà civili all’estero.
La controffensiva brasiliana
Dal lato opposto, la risposta di Brasilia è stata altrettanto netta: la vicenda è una questione interna, governata da garanzie e strumenti di ricorso, e ogni pressione esterna viene letta come interferenza sulla sovranità. L’Itamaraty ha fatto trapelare l’irritazione per toni e contenuti delle dichiarazioni provenienti da Washington, ricordando che la tutela dell’ordine democratico non può essere scambiata per persecuzione politica.
Quali ripercussioni
Se le parole diventeranno atti concreti, lo scontro rischia di avere effetti tangibili: misure restrittive verso singoli funzionari, inasprimenti sui visti, fino a pressioni economiche in alcuni dossier sensibili. Un’escalation di questo tipo complicherebbe i rapporti bilaterali proprio mentre Stati Uniti e Brasile sono chiamati a cooperare su capitoli cruciali come energia, clima, catene del valore e sicurezza regionale.
Il dilemma tra democrazia e ingerenza
La domanda di fondo è semplice e al tempo stesso spigolosa: fino a che punto un paese può invocare la tutela dei diritti per giudicare decisioni assunte da un’altra democrazia? E dove finisce la moral suasion e comincia l’ingerenza? Nel caso Bolsonaro, l’argomento si sdoppia: per i sostenitori della sentenza, prevale l’esigenza di difendere istituzioni e legalità; per i critici, il rischio è quello di una giurisdizione ipertrofica che comprime spazi politici e libertà di espressione.
La posta in gioco
Al netto delle appartenenze, il punto è che la vicenda determinerà, per anni, standard e prassi sulla relazione tra giurisdizione, politica e diritti in America Latina. Non solo: segnerà il modo in cui la diplomazia statunitense interpreterà – e verrà giudicata per – la sua azione in un contesto multipolare dove il richiamo ai valori deve fare i conti con la sensibilità delle democrazie partner.
Un banco di prova
Il “caso Bolsonaro” è ormai un banco di prova. Per Washington, misurare la propria coerenza sui diritti evitando di scivolare nella coercizione. Per Brasilia, dimostrare che la forza della legge non coincide con la legge del più forte. Nel mezzo, l’opinione pubblica internazionale: chiamata a distinguere tra difesa della democrazia e strumentalizzazione politica. Da questa distinzione passerà la qualità delle relazioni tra due democrazie che, piaccia o no, hanno bisogno l’una dell’altra.