Pnrr, riforme avanti ma spesa reale al palo. Corte dei conti: “Serve un’accelerazione”
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Nel meccanismo complesso e multilivello del Piano nazionale di ripresa e resilienza, lo scarto tra gli obiettivi formalmente raggiunti e l’effettiva capacità di spesa torna ad allargarsi. È questo il nodo centrale che emerge dalla nuova relazione semestrale della Corte dei conti al Parlamento, un documento articolato di 290 pagine che scandaglia a fondo la macchina del Pnrr alla fine del 2024. Secondo i giudici contabili, l’Italia mostra un tasso medio di avanzamento pari al 57% rispetto agli obiettivi concordati con la Commissione europea, un dato che riflette la piena attuazione di molte misure e l’avvio verso la fase conclusiva di altre. Ma se sul piano normativo e procedurale il ritmo appare sostenuto, la spesa effettiva delle risorse comunitarie continua a essere gravemente insufficiente.
Pnrr, riforme avanti ma spesa reale al palo. Corte dei conti: “Serve un’accelerazione”
Il bilancio tracciato dalla Corte è nitido: il piano “marcia”, ma i flussi di spesa rallentano. Su 40 target previsti entro giugno 2024, solo tre risultano già centrati. Una percentuale che non preoccupa formalmente – poiché legata a scadenze in parte ancora future – ma che riflette un grado di complessità crescente man mano che si entra nel cuore operativo delle iniziative. La fotografia per missioni è fortemente disomogenea: gli ambiti legati al personale mostrano un avanzamento pieno, così come quelli riferiti alla connettività (71%) e alla formazione (70%), mentre restano in forte ritardo i comparti infrastrutturali, e in particolare i trasporti, fermi a un 13% penalizzato da iter autorizzativi, progettazione lunga e rigidità realizzative.
Il nodo cruciale della spesa effettiva
Sul fronte della spesa reale, il quadro si fa più critico. Al 31 dicembre 2024 l’Italia ha contabilizzato pagamenti per 63,9 miliardi di euro, con un incremento annuo di 18,8 miliardi rispetto al 2023. Una variazione positiva (+12%), ma ancora lontana dalle esigenze del cronoprogramma aggiornato: la spesa corrisponde infatti al 44% del totale previsto. La Corte avverte che il 71% delle misure ha speso finora meno del 25% delle risorse assegnate, e in quasi la metà dei casi (45%) non si arriva neppure al 10%. Il divario, spiega la relazione, è attribuibile a fattori organizzativi, alla diversa maturazione degli interventi, ma anche a una certa fragilità strutturale dei soggetti attuatori.
Performance a macchia di leopardo tra i soggetti attuatori
Lo scostamento rispetto agli obiettivi non è uniforme: la scuola registra un +22,8%, l’università +13,7%, e anche le società pubbliche mostrano segnali di vitalità (+7,4%). All’opposto, le amministrazioni centrali e le agenzie registrano un calo dell’8%, mentre le amministrazioni territoriali, pur rimanendo sotto media, si fermano a un -3,2%. A emergere, quindi, è una disomogeneità funzionale e territoriale che rischia di compromettere la coerenza complessiva del piano. “Lo sforzo richiesto nei prossimi semestri sarà ingente – avverte la Corte – e dovrà coinvolgere l’intera filiera pubblica e privata coinvolta nella gestione dei progetti”.
Il ritardo della sanità e il nodo infrastrutture
Preoccupa in particolare il ritardo del settore sanitario, uno dei pilastri del Pnrr nato come risposta alla crisi pandemica. Secondo la Corte dei conti, i livelli di spesa dovranno aumentare di oltre sette volte rispetto a quelli finora registrati, un obiettivo definito “impegnativo” e reso ancora più complicato dalla frammentazione territoriale e dalla complessità delle gare d’appalto. Anche per i lavori pubblici si prevede una fase di massima pressione: nei primi anni il Piano ha potuto contare sulla spinta dei crediti d’imposta edilizi, ora esaurita. Al netto di bonus e incentivi, l’avanzamento della spesa scende a un modesto 21,9%, segnale di una difficoltà sistemica a trasformare le risorse teoriche in cantieri e realizzazioni concrete.
Anticipazioni più ampie, ma il rischio è solo contabile
Un segnale positivo arriva dal versante delle anticipazioni, che nel 2024 hanno toccato quota 1,3 miliardi (+34,5% rispetto all’anno precedente) grazie all’innalzamento del limite dal 30% al 90% del valore complessivo dell’opera, introdotto dal decreto Omnibus. Una misura che ha sbloccato liquidità in favore degli enti attuatori, ma che – avverte la Corte – potrebbe produrre solo effetti contabili se non accompagnata da una corrispondente capacità di realizzazione. La vera sfida, infatti, resta l’attuazione concreta degli interventi: trasformare anticipazioni in avanzamenti reali, spesa in impatti misurabili.
Verso il 2026, il tempo della verità
Mentre il tempo stringe – la scadenza naturale del Pnrr è fissata per il 2026 – l’Italia si avvicina a un bivio cruciale. La Corte dei conti ribadisce che “nulla può essere dato per scontato”: se l’attuazione dovesse mantenere i ritmi attuali, il rischio di disimpegno delle risorse aumenterebbe in modo esponenziale. Non sarà sufficiente mantenere un buon tasso di adempimento normativo: serve un’accelerazione visibile e omogenea della spesa, con particolare attenzione ai comparti in ritardo. Il Pnrr si gioca ora nella sua fase più concreta: quella in cui la politica non potrà più contare sui numeri dei provvedimenti, ma dovrà rispondere sullo stato di avanzamento dei lavori. Con il rischio, sempre più tangibile, che la macchina si inceppi proprio sul traguardo.