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Reddito di cittadinanza: capire le proteste, ma non dimenticare la demagogia alla base del RdC

- di: Redazione
 
Reddito di cittadinanza: capire le proteste, ma non dimenticare la demagogia alla base del RdC
I prossimi ore e giorni potrebbero fare registrare le proteste di coloro che, sino a ieri fruitori del reddito di cittadinanza, se ne sono ritrovati esclusi sulla base delle decisioni del governo. La sospensione del contributo - o come lo si voglia chiamare, essendo la sua natura poco definita sin dalla decisione di elargirlo, per volontà dei Cinque Stelle - sta generando proteste, anche se da tempo si sapeva che il governo Meloni aveva deciso di interrompere questo sussidio, controverso tra chi lo ritiene un reddito capace di allontanare lo spettro delle povertà (posto che l'indigenza può avere comunque diverse matrici) e chi, invece, lo ha sempre ritenuto una forma di fidelizzazione politica che certo non incentiva il lavoro ''ufficiale'' essendone nella sostanza una alternativa.

Reddito di cittadinanza: capire le proteste, ma non dimenticare la demagogia alla base del RdC

Mettendo da parte le ragioni degli uni e degli altri, bisogna ragionare sull'impatto che la sospensione del RdC avrà sul Paese, nell'immediato e nel futuro più prossimo, partendo dall'assunto incontrovertibile che la sua istituzione si è ridotta ad una mera elargizione di un contributo e non invece parte di un meccanismo che, dando un aiuto immediato, doveva servire alla creazione di una forza lavoro potenzialmente utilizzabile laddove si creassero domanda e possibilità. Così non è stato perché il reddito non è stato concepito precipuamente per lo scopo di agevolare la formazione e l'inserimento nel mondo del lavoro, ma per essere un ristoro temporaneo ancorché nel medio-lungo periodo.

Quindi un aiuto costante, senza sostanzialmente chiedere niente in cambio, vista la farraginosità del meccanismo di individuazione di occasioni di lavoro, ma soprattutto la facoltà concessa al potenziale occupato di rifiutare la proposta e quindi continuare a percepire l'ammontare del RdC.
Oggi, dopo che l'Inps ha comunicato a quasi 170 mila percettori che il rubinetto è stato chiuso (poi ci sarebbe da chiedersi chi è stato il burocrate che ha vergato il relativo messaggio in modo così impreciso o ambiguo che molti hanno capito che sarebbero stati presi in carico dai Servizi sociali dei Comuni di residenza), la tensione è alle stelle e tutto lascia pensare che possa esplodere, con proteste ben oltre il semplice vociare.
A rifletterci appena un po', quello del Reddito di Cittadinanza era un cammino accidentato già chiaro dall'inizio, perché la sua introduzione fu palesemente decisa sulla spinta di un calcolo politico del momento, e questa è la cosa peggiore perché non ha fatto pensare, alla nutrita pattuglia dei suoi demiurghi, che per essere efficace necessitava di forme di controllo alle quali non si è ricorso, se non in forma molto blanda, quasi inesistente, quasi un invito involontario ad eluderne.

Al tirare delle somme, oggi il numero degli occupato grazie alla formazione prevista del Reddito di Cittadinanza è ridicolmente residuale rispetto a quelli che lo hanno percepito, godendo del beneficio del momento e non pensando al futuro.
Cosa che oggi alimenta il giudizio fortemente negativo (per essere benevoli) da parte della maggioranza di governo, che nel suo programma elettorale ne aveva previsto la cancellazione. Ma tra prevedere un provvedimento ed attuarlo restano nel guado centinaia di migliaia di persone che oggi si vedono private dell'unica forma di sostentamento, pronte a fare valere quello che - erroneamente - considerano come un loro diritto.

Pensare ad una forma di sostegno economico per gli indigenti, come era stato presentato il Reddito di cittadinanza, è un obbligo per uno Stato, a patto che ne siano chiare le finalità e non lo si spacci come una panacea elargita senza chiedere nulla in cambio. E' stato questo l'errore di fondo del RdC. A patto che sia stato solo un errore e non invece una spregiudicata operazione politica.
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