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Ops su Mediobanca, Lovaglio euforico: “Nascerà il terzo polo bancario”

- di: Matteo Borrelli
 
Ops su Mediobanca, Lovaglio euforico: “Nascerà il terzo polo bancario”
Lovaglio accelera su Mediobanca: “Nascerà il terzo polo bancario”

L’Ad di Mps annuncia dividendi in crescita e difende l’ops: “È di mercato”. Piazza Affari osserva, il risiko riparte. Il governo resta sullo sfondo.

Scommessa Mps su Mediobanca, il risiko bancario entra nel vivo

Dopo Londra e New York, dove ha incassato segnali incoraggianti dagli investitori, Luigi Lovaglio (foto) alza la posta. L’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena rilancia con fermezza la sua offensiva su Mediobanca, convinto che l’ops – l’offerta pubblica di scambio lanciata a inizio luglio – “raggiungerà almeno il 66,7% del capitale”. È questa la soglia strategica che consentirebbe a Siena di controllare l’assemblea straordinaria della banca di Piazzetta Cuccia, mettendo le mani su uno degli snodi storici del capitalismo italiano.

“Abbiamo ricevuto feedback assolutamente positivi”, ha dichiarato Lovaglio poche ore dopo l’ultima tappa del roadshow finanziario. Il messaggio è chiaro: “Tutto ciò che può fare Mediobanca, insieme potremo farlo meglio”.

Un'offerta “di mercato” sotto il fuoco incrociato

Ma il clima resta incandescente. Philippe Donnet, Francesco Gaetano Caltagirone, Leonardo Del Vecchio (tramite Delfin) e, più dietro le quinte, anche Palazzo Chigi, sembrano orbitare attorno all’operazione con interessi divergenti. L’ad di Mediobanca Alberto Nagel, che ha promesso ai suoi azionisti 4,9 miliardi di dividendi entro il 2027, ha bollato l’ops come “piena di anomalie”, suggerendo un eccessivo attivismo politico e troppi silenzi istituzionali.

Lovaglio ha replicato senza mezzi termini: “La nostra è un’operazione di mercato”, ribadendo che non ci saranno correzioni al rapporto di concambio attuale (2,533 azioni Mps per ogni titolo Mediobanca), nonostante in Borsa lo sconto si mantenga intorno al 3,5%, con una differenza di valore di circa 550 milioni di euro. Nessun rilancio? Per ora. Ma la storia delle grandi aggregazioni bancarie insegna che le carte decisive si giocano all’ultimo minuto.

Dividendi, scala e margini di crescita: la visione del nuovo polo

La prospettiva tracciata dall’ad senese è ambiziosa: creare il terzo gruppo bancario italiano per attivi, capace di distribuire il 100% degli utili in dividendi e di garantirne una crescita “a doppia cifra”. Dietro la promessa di valorizzare dipendenti e clienti, Lovaglio punta sul concetto di “scala” come leva strategica per battere la concorrenza, attraendo capitali e aumentando il margine operativo.

“Insieme possiamo far crescere il capitale, distribuire di più, fare meglio”, insiste. Il capitale in eccesso accumulato da Mps – anche grazie agli utili record e alla pulizia dei bilanci post-interventi pubblici – rappresenta oggi una leva cruciale per giocare partite future, sia sul fronte delle aggregazioni sia su quello delle remunerazioni agli azionisti.

Il risiko si riapre: Banco Bpm, il ritorno di un’ipotesi accantonata

Archiviata l’ops di Unicredit su Banco Bpm – congelata dallo stesso Andrea Orcel lo scorso novembre – sul mercato torna in auge una vecchia idea: la fusione tra Siena e l’istituto guidato da Giuseppe Castagna. L’asse Mps-Bpm, da tempo nel radar del governo Meloni, resterebbe tutto italiano e potrebbe ridisegnare la mappa del credito nazionale, affiancandosi ai colossi Intesa e Unicredit.

Un’eventuale operazione a tre – Siena, Mediobanca, Banco Bpm – potrebbe rappresentare un nuovo baricentro per il sistema bancario. Credit Agricole, già forte in Banco Bpm e con posizioni rilevanti anche su Mediobanca, resterebbe nel perimetro come partner industriale, ma il baricentro resterebbe tricolore grazie al pacchetto pubblico ancora presente in Mps e agli azionisti italiani (tra cui Caltagirone) pronti a sostenere il progetto.

Lo spettro dello Stato e il ruolo silenzioso del Tesoro

Il nodo politico resta: qual è, oggi, il vero ruolo dello Stato nell’operazione? Il Tesoro, che ancora detiene circa il 39% di Mps dopo la cessione parziale del 2023, tace ma osserva. L’interesse è palese: traghettare definitivamente il Monte fuori dall’orbita pubblica, rafforzandolo nel frattempo come attore centrale del risiko. Ma un eventuale sbilanciamento degli equilibri – con Mediobanca che passa sotto Siena – solleva interrogativi su governance, vigilanza e potenziali conflitti di interesse.

Il MEF avrebbe già avuto contatti informali con Bruxelles per verificare la compatibilità dell’operazione con le regole sugli aiuti di Stato. La risposta non è attesa a breve, ma eventuali resistenze europee potrebbero complicare la tabella di marcia di Lovaglio.

Delfin, Caltagirone e i giochi incrociati dell’alta finanza

Altro fronte spinoso: gli equilibri azionari. Delfin, il veicolo lussemburghese della famiglia Del Vecchio, è già il primo socio di Mediobanca con il 20% circa. Francesco Gaetano Caltagirone ha posizioni significative sia su Generali (dove Mediobanca ha ancora voce in capitolo) sia su Piazzetta Cuccia. I due non sembrano convinti dell’operazione e potrebbero rappresentare un fronte di resistenza. Ma se Mps raggiungesse davvero il fatidico 66,7%, ogni dissenso verrebbe neutralizzato in assemblea straordinaria.

Una sfida da campione di scacchi

Il progetto di Lovaglio è tanto ambizioso quanto rischioso. Punta a rilanciare Mps come pivot del nuovo sistema bancario italiano, superando lo stigma del passato e guadagnando spazio sui tavoli che contano. Ma la mossa su Mediobanca è una partita a scacchi in piena regola: solo se ogni pedina cadrà al momento giusto, il re resterà in piedi.

Se l’ops fallisse, Siena rischierebbe di bruciarsi sul fuoco delle sue stesse ambizioni. Se invece andasse in porto, l’Italia avrebbe finalmente un terzo polo bancario forte, competitivo, in grado di contrastare l’avanzata francese e di dare nuovo impulso a Piazza Affari. E, forse, di far dimenticare una volta per tutte che Mps era la “banca salvata dallo Stato”.

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