Le urne romene hanno parlato chiaramente. Il primo turno delle elezioni presidenziali bis, resesi necessarie dopo l’annullamento dello scrutinio di cinque mesi fa per presunte interferenze straniere, ha sancito la netta affermazione di George Simion, leader del partito ultranazionalista AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni).
La Romania vira a destra: George Simion trionfa al primo turno delle presidenziali bis
Con il 40% delle preferenze, Simion si avvia verso un ballottaggio che potrebbe rappresentare un punto di svolta non solo per la Romania ma per l’intero quadrante centro-orientale europeo. Il suo risultato, frutto di una campagna elettorale martellante e basata su parole d’ordine identitarie, ha travolto i partiti tradizionali e risvegliato il consenso di un elettorato sfiduciato da anni di corruzione e instabilità politica.
Una campagna giocata sul filo del nazionalismo e dell’antieuropeismo
Simion ha costruito la propria ascesa puntando su temi sensibili: la difesa della sovranità nazionale, l’opposizione alle élite globaliste, l’attacco al sistema giudiziario e ai vincoli imposti da Bruxelles. Il linguaggio è stato diretto, spigoloso, a tratti incendiario, ma efficace. Ha saputo catalizzare rabbia sociale e disagio economico, specialmente nelle aree rurali e tra le fasce più giovani, presentandosi come “l’uomo del popolo” contro il potere costituito. La sua proposta è un mix di ultranazionalismo, ortodossia religiosa, protezionismo economico e nostalgia per un ordine sociale gerarchico. I suoi comizi, spesso accompagnati da cori e bandiere romene, hanno evocato un’epoca idealizzata, in cui il Paese era "libero da influenze esterne".
Il precedente annullamento del voto e l’ombra delle interferenze
Le elezioni presidenziali erano già state celebrate cinque mesi fa, ma la Corte Costituzionale le aveva annullate a seguito di accuse credibili di ingerenze esterne, presumibilmente legate a disinformazione e operazioni digitali attribuite ad attori stranieri. Il caso aveva scosso profondamente le istituzioni romene e acceso i riflettori sul ruolo sempre più decisivo che la guerra ibrida, fatta di notizie manipolate e operazioni occulte, gioca nei processi elettorali dell’Est Europa. Simion ha cavalcato anche questo elemento, presentandosi come vittima di un sistema che “non vuole il cambiamento” e rilanciando la propria candidatura come gesto di resistenza.
Il ballottaggio del 18 maggio: tra conferme e timori
Il secondo turno si terrà il 18 maggio e si preannuncia carico di tensione. I partiti moderati stanno cercando faticosamente un’alleanza per fermare la corsa dell’estrema destra, ma la frammentazione interna e la perdita di credibilità rendono difficile un fronte comune efficace. Simion, dal canto suo, ha già iniziato a comportarsi da vincitore: ha promesso una presidenza “di rottura”, il ripristino dei valori tradizionali e una politica estera “non subordinata ai diktat europei”. In molti temono che una sua eventuale elezione possa allontanare la Romania dal nucleo dell’Unione Europea e renderla più permeabile alle influenze russo-cinesi.
Salvini si congratula: “Bravo Simion, con buona pace di Bruxelles”
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Matteo Salvini, leader della Lega e vicepresidente del Consiglio italiano, ha espresso pubblicamente il proprio sostegno a Simion. “Bravo Simion, con buona pace di Bruxelles”, ha scritto in un post, facendo eco al lessico sovranista e rilanciando il messaggio di sfida all’establishment europeo. Le sue parole non solo rafforzano il legame tra le destre identitarie del continente, ma evidenziano anche un’Europa sempre più spaccata tra un asse populista e nazionalista e una visione più federalista e inclusiva.
Un segnale continentale: l’onda sovranista torna a salire
Il successo di Simion si inserisce in un quadro più ampio: dalla Slovacchia all’Ungheria, dalla Polonia alla Germania dell’est, i partiti di estrema destra stanno riconquistando terreno, alimentati da crisi multiple – economica, migratoria, identitaria. La Romania potrebbe diventare l’ennesimo laboratorio politico in cui testare un nuovo modello di leadership autoritaria, incentrato sulla retorica del nemico esterno e sulla riconquista della sovranità. Il ballottaggio del 18 maggio non sarà solo uno scontro tra candidati, ma un referendum sul futuro europeo del Paese.